“MI PIACE LAVORARE (MOBBING)” DI FRANCESCA COMENCINI

Mi piace lavorare (Mobbing) è la storia di Anna, una segretaria contabile – interpretata da Nicoletta Braschi – che vive con la figlia Morgana. Quando l’azienda in cui è impiegata viene assorbita da una multinazionale, il suo lavoro viene snaturato e le sue giornate si susseguono all’insegna di microaggressioni e di un progressivo isolamento. Job Film Days ne presenta una rara copia in 35mm per chiudere l’omaggio a Francesca Comencini.

Nato come raccolta di interviste riguardanti la problematica del mobbing e nello specifico delle persecuzioni subite dalle donne sul posto di lavoro, Mi piace lavorare (Mobbing) è poi diventato un film di finzione. Il personaggio di Anna racchiude in sé le vicende di tutte le donne intervistate, pertanto la sua storia dipinge un quadro completo e chiarissimo di come il mobbing viene messo in atto e di quali conseguenze può avere sui lavoratori e sulle lavoratrici: dalla violenza psicologica ai continui atti di emarginazione. La finzione si nutre di realtà ed è a essa che rimanda costantemente.

Nicoletta Braschi ha reso propria la storia di migliaia di donne: il suo sguardo ormai apatico di fronte all’ennesima pretesa del capo, la sua voce provata che cerca di farsi sentire tra le grida dei magazzinieri e il suo corpo seduto e rassegnato all’ennesima mansione svilente, sembrano essere percorsi dalle identità di quelle donne, dai loro sguardi, dalle loro voci, dai loro corpi che davvero hanno subito quanto si vede sullo schermo. Il rapporto madre-figlia, gravemente incrinato dalla tensione lavorativa che Anna subisce ogni giorno, è il termometro del dramma: Morgana, interpretata con estrema sensibilità da Camille Dugay Comencini, percepisce il disagio della madre, si fa da parte per lasciarle lo spazio e il tempo di processare ciò che le accade ogni giorno sul posto di lavoro, anche se nel profondo si sente a sua volta frustrata e impotente e vorrebbe delle spiegazioni. Quando il mobbing ha la meglio sul corpo e sulla mente di Anna, i ruoli si scambiano: la madre viene accudita e ascoltata dalla figlia che nel mentre si è creata un mondo personale in cui è completamente autonoma.

“Non pensare che sei l’unica, che è qualcosa che è successo solo a te, sono storie di mobbing” così viene confortata Anna che a quel punto chiede “Si può fare qualcosa?”. La sua rivalsa legale ha la funzione di ricordare alle vittime che non sono sole, che devono denunciare e che è possibile ottenere giustizia. Non si tratta di una risoluzione scontata e priva di significato dacché il film è legato a doppio filo con la realtà e con essa deve dialogare, trasmettendo un messaggio di speranza a chi guarda. Si tratta di una storia tutta italiana, filtrata dallo sguardo internazionale di Francesca Comencini, quello sguardo che lei stessa definisce “necessario”: “Io vorrei dare un incoraggiamento soprattutto alle giovani registe, alle ragazze che vogliono cominciare a fare questo lavoro, perché penso che il loro sguardo sia necessario. Siamo ancora una scandalosa minoranza però abbiamo una grandissima fortuna: la vita, anche le forme del lavoro, dal nostro punto di vista sono state raccontate pochissimo. Quindi imponetevi e fatevi avanti perché siete necessarie a questo paese”.

Alice Ferro

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