Le premesse di Pornocratie. Les nouvelles multinationales du sexe sono molto interessanti: mai come oggi si è consumata così tanta pornografia, eppure l’industria pornografica sta affrontando la crisi più nera dal momento della sua nascita, e a farne le spese sono spesso gli interpreti.
Ovidie, un’ex attrice porno francese, conduce un’indagine alla scoperta dei “Tubes”, i siti per lo streaming di materiale pornografico gratuito, che dal 2006, seguondo il modello del capostipite You Porn, sono il motivo principale di questa crisi. La regista fa partire la sua indagine da quello che è il gradino più basso della filiera di questa industria cinematografica: l’attrice. Più cose scopre su questo mondo, più si infittiscono i dubbi su chi realmente si celi dietro a colossi come Pornhub o Livejasmin, tutte proprietà di una serie di multinazionali con sede nel Lussemburgo che, come scatole cinesi, sembrano ricondurre tutte alla misteriosa MindGeek (prima ManWin), azienda multimiliardaria di cui non si conoscono proprietari o figure di rilievo, ma che muove mensilmente milioni di dollari, da una succursale a un’altra, in un sistema che sembra progettato più per riciclare il denaro che per finanziare la produzione e gli stessi siti pornografici.
Il documentario ha un ritmo di montaggio blando, puramente espositivo, che in alcuni punti fatica a mantenere l’attenzione dello spettatore, cercando spesso la via del facile patetismo con un accompagnamento musicale che vorrebbe essere drammatico ma che rischia di cadere nel cliché. Tuttavia il film riesce a sollevare quesiti importanti, ed è questo che risulta importante ai fini dell’operazione della regista. La forza di Pornocratie sta nel farci sorgere dei dubbi: nessuno afferma che MindGeek sia una società gestita da criminali eppure, quando dei giornalisti ci spiegano che difficilmente una banca avrebbe finanziato un progetto di tipo pornografico e che verosimilmente i fondi per un progetto simile potrebbero venire dal mondo del crimine organizzato, noi iniziamo a porci delle domande; allo stesso modo nessuno accusa direttamente MindGeek di riciclaggio di denaro, ma la descrizione del sistema con cui finanziano questi siti non può che farcelo supporre. Purtroppo l’assenza di un’accusa diretta costituisce anche il limite del documentario e dell’indagine stessa; l’impenetrabilità di queste aziende impedisce di raccogliere prove effettive, costringendo la regista (e con lei noi) a restare nel territorio della speculazione e dell’ipotesi.
L’elemento più forte ed interessante dell’operazione di Ovidie, a mio parere, sono i numeri. Spaventosi sia per la loro grandezza, come i 64.000 contatti giornalieri sul solo sito PornHub o il fatto che il 78% dei guadagni di una live cam sia trattenuto dal sito di hosting; sia per la loro miseria, come il guadagno delle performer (meno del 22% dato che è tassato) o il fatto che MindGeek, che per tutto il documentario ci è stata mostrata come un moloch gigantesco e impenetrabile, costituisca soltanto il 2% dell’industria pornografica dei tubes online.