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Cinque cortometraggi sull’amore – TFF 2015

Nella sezione del TFF denominata My Son, My Son, What Ye Have Done (dal titolo di un  film di Werner Herzog) sono stati presentati cinque cortometraggi che hanno in comune la tematica dell’amore. Tutti diversi nel modo di raccontare. Mai banali.

Il foglio di Silvia Belotti
Fino dall’alba in via Oberdan a Napoli molte persone scrivono il proprio nome su un foglio attaccato al muro della sede delle Agenzia delle Entrate, necessario per dare ordine alla fila interminabile di coloro che si recano in questo ufficio. Il foglio separa la società (esterna) dalla burocrazia (interna) degli uffici. Tra litigi e riflessioni, tra chi aspetta il suo turno, la macchina da presa riprende quanto avviene con taglio giornalistico tralasciando qualsiasi intento narrativo.

Il suo nome di Pedro Lino
Una carrellata inquadra un muro a secco che sembra interminabile, poi un anziano che cammina a fatica tra i campi. Qua e là qualche pecora. Inquadrature fisse e movimenti lenti scandiscono questo ritratto-intervista di un anziano che vive da solo in campagna dal 1966. Scopriamo la sua vita dalle sue parole e dalla sue fotografie: la gioventù, il servizio militare, la sorella, i suoi tentativi di sposarsi con una donna di cui non ricorda il nome. Tutto è conservato, compresa la Lancia Prisma che non ha mai guidato, come in un museo della memoria. Il vecchio racconta la propria vita senza rimpianti, con parole e gesti molto spontanei.

Il dossier di Mari S. di Olivia Molnar
Olivia Molnar ci racconta, nel suo primo cortometraggio, la storia di sua zia Mari attraverso inquadrature fisse di foto e libri e brevi filmati. Mari S., ungherese, vive la controrivoluzione del suo Paese negli anni Cinquanta e fugge a Genova. La sua vita dal 1953 al 1989 è documentata attentamente dai Munka Dossziè, i rapporti stilati da due incaricati dei servizi segreti che Olivia recupera nel 2014 tramite l’Archivio di Stato. Gli anni successivi sono ricostruiti dalla regista per non permettere che tutto venga cancellato dall’Alzhaimer di Mari.

DOSSIER-DE-MARI-S_01

Neuf cordes di Ugo Arsac
La lira di Orfeo aveva nove corde. I primi musicisti furono gli dei. Orfeo fu colui che riuscì ad incantare anche loro con la sua musica. Il mito di Orfeo, che torna dagli inferi senza Euridice, si intreccia a storie di rivoluzione in Ucraina attraverso le opere di due scultori. Il trait d’union tra Orfeo e l’Ucraina è il marmo di Carrara: l’inferno può essere anche bianco. Una fotografia meravigliosa ci guida all’interno di paesaggi suggestivi, con immagini molto contrastate cromaticamente. Denuncia e poesia, disagio e arte, viaggio interiore del protagonista e dello spettatore si mescolano in un’opera prima matura e lirica, scritta, diretta e prodotta dal giovane regista francese.

 

Neuf Cordes

Scherzo di Fabio Scacchioli e Vincenzo Core
Il secondo movimento della Nona di Beethoven accompagna un pout-pourri di immagini che si susseguono rapide: il mare, i viaggi nello spazio, spezzoni di film hollywoodiani e documentari si muovono insieme alla musica, alle voci, agli applausi in sottofondo in un viaggio surreale, divertente, in un percorso che sale e scende, che si avvicina e si allontana. Il cortometraggio celebra la magia del cinema: nessuna storia, ma uno sfiziosissimo e sapiente montaggio.

“Hamlet” di Lyndsay Turner

 

Lo scorso 15 ottobre il National Theatre di Londra, consolidando una tradizione iniziata nel 2009, ha trasmesso in streaming la diretta della rappresentazione di Amleto con regia di Lyndsey Turner (produzione di Sonia Friedman) superando ogni suo record: 225.000 spettatori, 1.400 schermi in 25 paesi live e/o in lieve differita.  In Italia uscirà nelle sale il 19 e 20 aprile 2016, in occasione dell’anniversario della morte del drammaturgo inglese.
Ieri sera Hamlet è stato presentato da Emanuela Martini al Torino Film Festival: pochi posti liberi al Reposi e tantissimi giovani che si sono lasciati attrarre dalla storia immortale del principe danese.

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“London Road” di Rufus Norris

Questo film diretto Rufus Norris, tratto da una pièce teatrale, si ispira a un fatto realmente accaduto: l’omicidio di cinque prostitute nella cittadina di Ipswick nel Suffolck, in Inghilterra. Le testimonianze dei residenti di London Road, una via di Ipswick, sono state raccolte dalla sceneggiatrice Alecky Blythe per essere portare in teatro attraverso il suo approccio verbatim: il copione è, infatti, lo script di interviste registrate a persone realmente coinvolte nella vicenda.

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“London Road”di Rufus Norris – Conferenza Stampa

Ieri alle 13:00 in Sala Stampa nei locali della Rai, l’ultima conferenza stampa della giornata vedeva protagonista London Road di Rufus Norris. Erano presenti Adam Cork, autore delle musiche, e Alecky Blythe, la sceneggiatrice. Entrambi hanno curato l’allestimento sia del musical che del film. Se il trasformare in musical un evento così tragico come quello di cinque omicidi di prostitute (realmente accaduti a Ipswick) meritava attenzione, ancora più attenzione era necessaria nel momento in cui questo evento veniva trasposto al cinema. “Lo spettacolo nasce come spettacolo teatrale ma questo non ci ha esentato dalla responsabilità di riflettere in quest’opera uno spaccato di vita reale. Normalmente al musical si associa la commedia, numeri di danza, canzoni d’amore e tutta una spettacolarità che invece in London Road non troviamo. La nostra preoccupazione principale è stata quella di essere fedeli e rispettosi nei confronti delle vittime degli omicidi ma anche nei confronti degli intervistati che avevano affidato la loro testimonianza ad Alecky” ha dichiarato Cork.

Il lavoro di Cork e Blythe è stato quello di rendere esattamente non solo le parole dei residenti di London Road ma anche la modalità nella quale erano state espresse. Alecky Blythe adotta infatti, in teatro, la tecnica verbatim: cioè la riproduzione letterale delle dichiarazioni rese da testimoni con tutte le variazioni della voce di chi parla, il tono e le esitazioni. Questo andamento ritmico della voce ha richiesto una strutturazione melodica e ritmica sia per i dialoghi recitati che per i dialoghi cantati: una vera e propria partitura in cui alle parole recitate si è soprapposto un accompagnamento musicale che le ha trasformate in “canzoni”.

Adam Cork ha sottolineato che la transizione dal palcoscenico teatrale allo schermo cinematografico lo preoccupava molto anche in considerazione del successo che aveva avuto il musical, perché temeva la perdita di immediatezza tra gli attori e gli spettatori: “Il cinema ha il suo quarto muro che è lo schermo e temevamo che questo avesse un impatto molto forte sull’interazione tra il pubblico e gli attori. Poi però la riflessione che abbiamo fatto a posteriori è che ciascuno di noi è molto più abituato a vedere una rappresentazione drammatica su uno schermo piuttosto che in teatro: la televisione la guardiamo tutte le sere, a teatro non andiamo tutte le sere, e quindi abbiamo capito che sarebbe stato più facile per il pubblico riuscire ad assorbire una tessitura documentaristica in una forma filmica, più immediata, rispetto a quella teatrale ”.

24/11 - conferenza stampa London Road

Alecky Blythe non è stata solo la sceneggiatrice di London Road per il teatro e per il cinema, ma si è anche occupata di condurre e montare le interviste. Ha raccontato di essersi recata a Ipswich nel 2006, quando erano già stati rivenuti i corpi delle cinque prostitute: “Sono andata con il mio registratore raccogliendo le testimonianze di persone che avevano vissuto, più o meno direttamente, i terribili eventi. Ipswick è una città piccola, la popolazione era scioccata dai fatti che avevano gettato scompiglio in una situazione di apparente tranquillità: c’era un assassino latitante, problemi di droga e di prostituzione”.

A seguito degli omicidi, London Road si è trasformata da strada tranquilla a comunità spaventata che organizza turni di sorveglianza notturna. Nei due anni successivi la Blythe è tornata più volte a Ipswick e il suo interesse è passato dai cittadini di Ipswich ai residenti di London Road, perché nel frattempo Steve Wright era stato arrestato come responsabile degli omicidi e si era scoperto che viveva in quella strada divenuta ormai il punto centrale del “quartiere a luci rosse” di Ipswich. “Il lavoro che ho fatto, in teatro e in cinema, è stato diverso perché la sceneggiatura cinematografica ha esigenze diverse partendo dal fatto che mantengo le parole cosi come sono state dette durante le dichiarazioni. Nel film ho dovuto ridurre i dialoghi perché il racconto avveniva anche per immagini: ho rinunciato a una parte dei dialoghi, ma non ho rinunciato alla caratterizzazione dei dialoghi, al sapore della testimonianza resa” ha precisato Alecky.

Alla domanda se ci fosse un intento di critica verso i residenti che in alcune parti del film pronunciano parole molto dure nei confronti delle prostitute, la Blythe ha risposto che non c’è mai stata nessuna volontà di criticare i residenti, né c’è stata da parte degli stessi protagonisti alcuna percezione di critica nei loro confronti: “Abbiamo cercato di essere il più possibile rispettosi della sincerità delle dichiarazioni rese dai residenti. Quando sono andata la prima volta a condurre le interviste, naturalmente, percepivo i diversi punti di vista e le tensioni che c’erano, ma tutte le loro rivelazioni erano sincere. Le dinamiche e i  conflitti sono via via cambiati nel tempo: questo aveva a che fare con lo scoprire cose che avvenivano nella strada che loro non sapevano stessero avvenendo, e percepivano tutto con un senso di possesso della strada, come se qualcuno si sentisse più o meno titolato a controllarla. La sensazione che probabilmente arriva al pubblico nell’ascoltare le loro dichiarazioni è la difficoltà nel capire quello che loro hanno provato in questo percorso che poi è quello che ha generato certi toni nell’esprimere le loro opinioni. Credo che nessuno di noi che non ha vissuto gli eventi, possa capire cosa significhi avere la vita completamente stravolta”.

Durante la lavorazione del film, ha poi aggiunto Alecky, sia lei che Cork, che Norris, sono stati molto attenti a mantenere aggiornati i residenti sulle scelte effettuate e su come intendevano portare sullo schermo questa vicenda. Hanno ad esempio mostrato loro la location che avevano scelto per il film, una strada molto diversa dalla vera London Road, ma che consentiva al regista di mostrarne l’evoluzione: da strada tetra, squallida, oscura dell’inizio a strada bella e pieni di fiori che vediamo alla fine del film. La reazione da parte di tutti i residenti  è stata molto positiva al punto che per la scena conclusiva del film molte delle comparse erano proprio i residenti stessi.

La reazione, invece, del pubblico italiano, come faceva notare un giornalista presente in sala stampa, è stata anche di riso in alcuni momenti del film. La sceneggiatrice ha risposto che questo è normale, e in parte anche voluto, proprio in virtù del fatto che quando lei lavora ad un progetto  preferisce concentrarsi non sull’occhio del ciclone ma sulle onde che questo propaga, lasciando anche un po’  “respirare” la storia e permettere al pubblico di provare empatia e simpatia per i protagonisti. La volontà di decentrare lo sguardo è anche la motivazione alla base dell’assenza di Steve Wright sia nel musical che nel film: “Il motivo per cui sono andata a Ipswich è perché le vicende che mi stavano a cuore erano quelle della popolazione della città, in particolare dei residenti della strada, per capire come la vita di queste persone sia stata completamente sconvolta  per la casualità di abitare vicino ad un serial killer. In più Steve Wright era già coperto dai media di tutto il mondo. E’ la percezione che mi hanno dato le persone che ho intervistato che volevo rendere in questo lavoro”.

Adam Cork, in chiusura, ha aggiunto che il riso spontaneo che può sorgere guardando il film non è un riso di derisione, ma appunto un riso empatico rispetto a qualcosa che il pubblico riconosce come familiare, una reazione che potrebbe avere chiunque nella medesima situazione.

“Sexxx” di Davide Ferrario

Il corpo è l’assoluto protagonista del nuovo lungometraggio di Davide Ferrario. Sexxx, presentato al 33° TFF all’interno della sezione Festa Mobile. Cos’è? un documentario? sì. Videoarte? anche. Un film insolito e affascinante, ipnotico per lo spettatore.

Tutto nasce quando Ferrario assiste al balletto di Matteo Levaggi Sexxx alla Lavanderia a Vapore di Collegno (magnifico spazio che è la sede del Balletto Teatro di Torino diretto da Loredana Furno) e se ne innamora, se ne appropria, come lui stesso ha dichiarato, decidendo di farne un film. Ad ispirare il coreografo era stato il libro di Madonna, intitolato proprio Sex: Matteo Levaggi decise di farne uno spettacolo di danza e aggiunse altre due x al titolo per portare all’estremo il concetto di sensualità. In Sexxx, secondo il coreografo, il corpo è portato all’esasperazione da un mondo sempre più esteticamente esigente.

Davide Ferrario ha plasmato con la macchina da presa i  corpi della coreografia di Levaggi e ci ha restituito una visione evocativa e affascinante. Decomponendo, e poi ricostruendo, il balletto del coreografo, Ferrario ce ne offre una sua personale interpretazione: la macchina da presa è parte integrante del movimento dei ballerini e ci offre una visione ravvicinata e scomposta dei movimenti che in teatro non potremmo mai vedere. Il regista inserisce poi delle digressioni, attraverso brevi inserti di riprese fatte sul set di Guardami e un breve film a soggetto (Room 423) in cui sono protagonisti due amanti (Gloria Cuminetti e Saverio D’Amelio). Il tutto sempre senza dialoghi né voce off.

L’inizio e la fine di Sexxx sono emblematici: il film si apre e si chiude all’interno di un museo. Arte del corpo nel passato (attraverso i quadri di Palma il Vecchio e Tintoretto, Diana e Callisto e Susanna e i vecchioni) e arte del corpo nel presente attraverso la performance di una coppia di persone anziane. L’intento di Ferrario è quello di celebrare il corpo come qualcosa di sacro e la citazione finale, tratta da Footnote to Howl di Allen Ginsberg, lo chiarisce benissimo.

Regista e coreografo ci insegnano che un corpo non è volgare quando diventa oggetto dell’arte, anche quando imita o mima gesti direttamente riconducibili alla sessualità. Anche se i ballerini sono sempre quasi nudi, non siamo mai disturbati da questa visione, totalmente estranea a qualsiasi tipo di strumentalizzazione o volgarità. Non si tratta dell’esaltazione di un’esasperata sessualità, ma di arte visiva, danza nel senso più puro perché mette in risalto la fisicità senza timori, senza filtri.

I ballerini (Kristin Furnes Bjerkestrand, Manuela Maugeri, Viola Scaglione, Denis Bruno, Marco De Alteriis, Vito Pansini) sono preparatissimi dal punto di vista tecnico e hanno un’espressività che va ben oltre il corpo: si intravede quasi la loro anima danzare, talmente sono coinvolti nella coreografia. Le musiche scelte, tra cui spiccano It’s No Game di David Bowie e My Sex di Currie-Allen-Leigh eseguita da Ultravox, accarezzano i movimenti dei danzatori senza mai sovrastarli, ma esaltandone la perfezione coreutica.

Il risultato è un lungometraggio di pura bellezza, da vedere per “spogliarsi” letteralmente da qualsiasi pregiudizio sull’espressione corporea e la sessualità e vestirsi di consapevolezza del nostro essere pelle, materia, corpo.

“Suffragette” di Sarah Gravon – Conferenza stampa

Se ieri sera la proiezione del film Suffragette ha inaugurato il 33° TFF, stamattina la prima conferenza stampa dell’edizione 2015 ha visto protagonista lo stesso film.  A rispondere alle domande dei giornalisti erano presenti la regista Sarah Gravon, la sceneggiatrice Abi Morgan, e una delle due produttrici, Faye Ward.

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