Archivi categoria: Film

“Roberto Bolle – L’arte della danza” di Francesca Pedroni

Nella danza classica solo due ballerini hanno creato delle cesure con il passato. Sono stati grandi spartiacque, figure che hanno saputo porre le basi per l’inaugurazione di una nuova era. Il primo è Rudolf Nureyev. L’altro, Roberto Bolle. Non è poca cosa paragonare un ballerino a Nureyev, ritenuto quasi all’unanimità uno dei più grandi danzatori del XX secolo. Ma Bolle e Nureyev hanno una caratteristica comune oltre, non c’è bisogno di dirlo, al sovrumano talento: hanno abbattuto le barriere della danza classica, raggiungendo un pubblico vastissimo e cambiando le regole del gioco.

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“Sully” di Clint Eastwood – Conferenza stampa

Nel gennaio 2009 un aereo di linea decollato dall’aeroporto La Guardia di New York si scontrò con uno stormo di uccelli e fu costretto a un ammaraggio di emergenza nelle gelide acque del fiume Hudson. Miracolosamente, passeggeri e equipaggio restarono tutti illesi. Sette anni dopo, Clint Eastwood ha diretto un bel film dal titolo Sully, dedicato al comandante Chesley “Sully” Sullenberger, pilota di quell’aereo. A presentare il film al trentaquattresimo Torino Film Festival è proprio il comandante Sully che, grazie alla sua esperienza e al suo team, quel giorno ha sventato una tragedia.

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“Goksung” (“The Wailing”) di Na Hong-Jin

La tranquilla cittadina di Goksung viene sconvolta da una serie di omicidi efferati e da una malattia che sembra rendere pazzi gli uomini. Un poliziotto della zona inizia ad indagare per salvare la vita di sua figlia colpita dalla malattia e i sospetti ricadono su un misterioso uomo giapponese, arrivato da poco in città…

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Torino Short Film Market – Conferenza Stampa


Alle 11:00 ha aperto la mattinata di conferenze stampa Jacopo Chessa, direttore del Torino Short Film Market con Paolo Manera, direttore della Film Commission Torino Piemonte. Con loro i due selezionatori dell’evento, Enrico Vannucci e Massimiliano Nardulli.  Le due giornate di incontri (18-20 novembre) sono state organizzate dal Centro Nazionale del Cortometraggio e dai media partner Rai, Regione Piemonte, Mibact e Intesa San Paolo.

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Yoga Hosers by Kevin Smith

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Silvia Villani

Translation by: Silvia Restelli, Chiara Tomasetta

Thanks to what they have learnt in yoga class, two young girls fight against a würstel-looking Nazi army with a bad copy of Jason from “Friday the 13th”. After having turned the terrible creature into cheddar paste, the only thing the girls worry about is not having their smartphones with them to immortalize the event. This is Yoga Hosers by Kevin Smith. It is the standard-bearer of the new Z-movies: a fair budget, a carefully chosen cast with some relevant names from the American movie industry and a specific attention to the filmed material both before and after the shooting.

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“Yoga Hosers” di Kevin Smith

Due giovani ragazze combattono un esercito di nazisti con le sembianze di würstel a suon di posizioni di yoga dopo che questi si sono agglomerati in una brutta copia di Jason di Venerdì 13. Dopo aver ridotto la creatura dell’orrore ad una poltiglia di cheddar, si disperano per non avere con sé i loro smartphone per immortalare l’evento. Questo è Yoga Hosers di Kevin Smith. Questo è il portabandiera del nuovo volto degli Z-movies: budget ad ampio respiro, un cast gremito di nomi rilevanti nell’industria cinematografica americana e particolare cura del filmico e del profilmico.

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Notte Horror TFF34

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Mattia Capone

Translation by: Federica Betti, Ilaria Loiacono

After last year’s success, the Horror Night returns to the Torino Film Festival 2016. They projected three consecutive horror movies from midnight to the first lights of dawn. The event was widely expected and a lot of people were queuing in front of the movie theatre Cinema Massimo. The audience warmly welcomed the announcer of the Horror Night, Emanuela Martini, with applauses and enthusiasm.

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Notte Horror TFF34

Dopo il successo dell’anno scorso, la Notte Horror torna al Torino Film Festival 2016. Tre film horror proiettati in fila a partire da mezzanotte fino alle prime luci dell’alba.
Grande attesa per l’evento, confermata dall’interminabile fila di persone davanti al cinema Massimo, e calorosissima accoglienza del pubblico che si fa sentire fin da subito con applausi ed acclamazioni per Emanuela Martini alla presentazione.

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“Lady Macbeth” di William Oldroyd

Nel momento in cui sullo schermo cominciano a scorrere – muti – i titoli di coda di Lady Macbeth, la sala è immersa in un silenzio totale, perché quello che si è appena visto si è rivelato essere molto più di quanto ci si potesse aspettare. Spiazzante.

William Oldroyd, affermato regista teatrale con alle spalle un paio di corti, approda al lungometraggio portando in scena l’adattamento del racconto di Nikolaj Leskov Lady Macbeth del Distretto di Mcensk. Con la complicità della sceneggiatrice Alice Birch, lo trasforma però in una storia che potrebbe tranquillamente essere opera di un autore o di un’autrice della Gran Bretagna di metà Ottocento, quasi si trattasse di una versione gotica e lugubre delle vicende delle sorelle Brontë. Continua la lettura di “Lady Macbeth” di William Oldroyd

“Porto” di Gabe Klinger

Porto è una città nella quale studenti e gabbiani vivono a proprio agio e che riesce a incantare chi, come Jake e Mati, ha perso la propria libertà. Jake, sbandato disposto a qualsivoglia tipo di mestiere pur di stare alla larga dalle imposizioni familiari e Mati, studentessa attraente e brillante, ma non per questo meno afflitta da disagio esistenziale, si avventurano in un amore condannato a cedere alle imposizioni del destino. Continua la lettura di “Porto” di Gabe Klinger

“Manazil bela Abwab” (“Houses Without Doors”) di Avo Kaprealian

“Dopo che sono stato arrestato per la seconda volta, ho provato il bisogno di realizzare un film rivoluzionario e , così, ho deciso di mettermi al balcone e riprendere la vita reale attraverso l’obiettivo”   Avo Kaprealian

L’emancipazione di un bambino, attraverso la separazione dal suo peluche e dal ritratto di sua madre, apre le porte allo spettacolo inquietante della guerra in Siria e condivide con lo spettatore l’esistenza dei rifugiati nel quartiere Al Minadi di Aleppo. “La storia è quella di una madre qualunque, di un padre qualunque, è una storia di Tutti”: con queste parole Avo Kaprealian descrive il cuore pulsante del suo documentario, che trova la sua radice nella necessità di assumere una prospettiva riguardo ciò che stava accadendo attorno al regista.

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“Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti

Roma, giorni nostri. Protagonista Enzo Ceccotti, ladruncolo di periferia che si barcamena tra piccoli furti nella speranza di non essere preso. Ma in fondo non è nessuno, mai riuscito ad entrare nel giro della criminalità che conta, schivo, deluso dalla vita e ancor più da se stesso.

Claudio Santamaria calza a pennello nel ruolo del nuovo superhero italiano, per interpretare il quale è dovuto aumentare di peso di ben 20 kg, 100 in tutto. Il film, ispirato alla serie manga Jeeg Robot d’acciaio di Go Nagai, è un film d’azione moderno, a cui viene però aggiunta una buona dose di ironia. È il mito dell’uomo qualunque che, in seguito ad un incidente, riceve super poteri tali da poter cambiare il mondo. O così crede Alessia (Ilenia Pastorelli), protagonista femminile che, vittima di violenza domestica e mentalmente disturbata, è ossessionata dall’idea che Hiroshi Shiba, eroe della serie, esista nel mondo reale e che proprio Enzo sia il fatidico Jeeg Robot d’acciaio. L’uomo compie così un percorso verso la redenzione, maturando la consapevolezza di avere un obbligo morale.

Nel cast, minuziosamente scelto dal regista Gabriele Mainetti, in stretta collaborazione con lo sceneggiatore Guaglianone, risalta un personaggio eccezionale: lo Zingaro, Luca Marinelli, boss eccentrico fino alla follia, innamorato della propria immagine e del sogno di diventare famoso e rispettato dalla malavita, che cerca di carpire i segreti della sovraumana forza fisica, ma non solo, del protagonista.

Ciò che emerge dal lungometraggio è la facilità con cui le storie che assorbiamo influenzano la nostra vita. Alessia crede che Jeeg Robot esista; Enzo, nonostante sappia non sia così, lentamente comincia a crederci e a ragionare da eroe (emblematico il gesto di sostituire i film porno con i dvd della serie animata).

Si tratta di un film come non se ne vedono molti in Italia, che prende solo il meglio dai più gettonati superhero movies americani. Un cinema di intrattenimento che nonostante il basso budget (1.700.000 euro) guadagna più di un posto d’onore alla premiazione dei David di Donatello e soprattutto riesce a far nascere in ciascuno di noi la domanda: possono ancora esistere, fra noi, uomini così fuori dall’ordinario?

Alice Dall’Agnol, studentessa del Corso di Critica cinematografica (DAMS, a.a. 2015-2016)

 

“Microbo & Gasolina” di Michel Gondry – 1

Quanti di noi da piccoli davanti a un foglio bianco non hanno mai disegnato una casa? Tetto rosso triangolare e finestre come occhi sorridenti, oppure assi di legno inchiodate? E quanti, spinti da un’immaginazione un po’ stereotipata, non ci hanno mai aggiunto quattro ruote, e un asfalto su cui zigzagare? Il film di Michel Gondry dà tridimensionalità a quel sogno comune, calandolo in una Francia problematica nell’istruzione e nei nuclei familiari. Microbo e Gasolina sono le vittime di questi due mondi: troppo “diversi” per adattarsi alla scuola (i soprannomi provengono proprio da lì, e dal bullismo dilagante), troppo liberi per restare nel nido di famiglie dure e distanti. Continua la lettura di “Microbo & Gasolina” di Michel Gondry – 1

“Sole alto” di Dalibor Matanić

Metafora di amore flagellato da guerra culturale, sociale e politica nella ex Jugoslavia.

Sole alto, film croato del 2015 vincitore del Premio della Giuria di Cannes dello stesso anno, è metafora di vita e amore, di conflitto e passione, di lotta umana e natura. Quest’ultima invade il film in tutta la sua interezza: in ogni episodio; in ogni scena, inquadratura.

Natura in contrasto con la modernità e con l’uomo che tenta di piegarla, uscendo sempre sconfitto. I protagonisti del primo episodio, Jelena e Ivan, 1991 fumano di fronte ad un lago e qualche minuto dopo alcune camionette, con degli uomini armati a bordo, attraversano un prato incontaminato. Case devastate e i loro scheletri si ergono tra gli alberi con sottofondo di fruscio di foglie e canto di uccelli nel secondo episodio, Nataşa e Ante, 2001. Il Rave del terzo episodio, Marija e Luka, 2011 appare circondato dalla natura, la quale infine vince quando Luka torna dalla donna amata. La natura vittoriosa, quindi, fa riflettere Luka, ossia l’uomo.

È esemplare l’uso del dettaglio: il ragno sotto un quadro o su una finestra, il cibo in una busta prima che Jelena parta, la valigia della stessa, la campanella e il libro tra le macerie della scuola, la tromba in mano ad Ivan. Il dettaglio onnipresente è quello di un cane, nero. Un cane guida è davanti a Luka mentre torna a casa, un cane spettatore guarda l’auto di Ante che va via dalla casa di Nataşa.

Un uso eccellente del Primo Piano mette in risalto l’elevata interpretazione degli attori protagonisti (Tihana Lazović e Goran Marković): si vedano gli sputi di Goran durante i litigi, la riflessione di Tihana accovacciata tra due muri, la scena di sesso tra Nataşa e Ante, prima che lei rifiuti il bacio e gli dica: “abbiamo finito”.

Insomma, un film d’autore che potrebbe delineare delle basi solide per un ritorno di tematiche ancora forti.

Davide Ferraro, studente del Corso di Critica cinematografica (DAMS, a.a. 2015-2016)

“SLAM – Tutto per una ragazza” di Andrea Molaioli

Si è svolta, negli affollatissimi spazi Rai di Via Verdi, la conferenza stampa dedicata alla commedia italiana Slam – Tutto per una ragazza, uno dei titoli di punta della sezione Festa Mobile. Hanno risposto alle numerose domande dei giornalisti il regista Andrea Molaioli, le produttrici Francesca Cima e Paola Malanga e gli attori Ludovico Tersigni, Barbara Ramella e Jasmine Trinca, la quale è anche madrina di questa edizione del festival. Continua la lettura di “SLAM – Tutto per una ragazza” di Andrea Molaioli

“Nodo alla gola” (“Rope”) di Alfred Hitchcock

Il primo film a colori di Alfred Hitchcock, basato interamente sul piano sequenza, non è semplicemente un film sperimentale. La cura con cui vengono descritte due menti deviate che si macchiano di un omicidio per il puro gusto di farlo sfida il codice Hays con la sottintesa omosessualità di Brandon e Philip. I due sono legati da un rapporto servo-padrone: Brandon, la mente criminale attratta dal brivido del delitto perfetto, architetta un buffet sopra il sarcofago del morto, invitando – qui sta l’humour necrofilo e perverso – i parenti della vittima, nonché la sua fidanzata e il suo migliore amico. La provocazione di Brandon sta anche nell’invitare un suo vecchio insegnante di filosofia, Rupert Cadell (interpretato da James Stewart), intollerante verso le convenzioni sociali e sostenitore di una nietzschiana teoria sull’omicidio riservato a pochi eletti, ovviamente presa alla lettera e fraintesa dagli assassini.

Sarà il nervosismo di Philip, anello debole della catena, a fare insospettire Rupert e a portarlo allo svelamento dei colpevoli. Il titolo del film, infatti, non si riferisce soltanto allo strangolamento, ma anche al senso di angoscia provocato dall’uccisione. Ma la vera protagonista del film è la macchina da presa che segue i personaggi non solo nei loro movimenti, ma talvolta anche nei loro ragionamenti: lo dimostra la finale ricostruzione del delitto da parte di Rupert. I raccordi sulla schiena (la tecnica di allora non avrebbe permesso di realizzare un unico piano sequenza) e la recitazione degli attori condizionati dagli ostacoli del set e dall’ingombro dei macchinari tecnici, aumentano il senso di claustrofobia e tensione nevrotica. Non a caso, oltre a Nietzsche, viene più volte citato Freud: gli oggetti non sono semplicemente “prove” ma veri e propri “simboli”, come il portasigarette che serve a Rupert per incastrare i colpevoli.

Carlo Montrucchio, studente del Corso di Critica   cinematografica (DAMS, a.a. 2015-2016)

Press conference: Gabriele Salvatores and his Cinque Pezzi Facili

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Giorgia Bertino

Translation by: Chiara Mutti, Giulia Epiro

Last but not least in the busy morning is the press conference with Gabriele Salvatores, guest director for the 34th edition of the TFF. He was inevitably asked about the Cinque Pezzi Facili, naming five films he chose to include in one of the sections of this year’s festival. His favorite feature, says the director, is undoubtedly Jules et Jim, both emotional and delicately evocative and also the loyal keeper of a young Salvatores’ memory, who from ordinary viewer became an aware cinéphile.

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“Marie et les naufragés” (“Marie and the Misfits”) di Sébastien Betbeder

Una commedia divertente dal retrogusto agrodolce che racconta la storia di un triangolo d’amore dai risvolti stravaganti alla Wes Anderson, ma con la comicità leggera della commedia francese. È questa la squisita ricetta che propone Sébastien Betbeder in Marie et les naufragés, un film deliziosamente anticonvenzionale, che parte dalla commedia per farne qualcosa di più complesso: si ride parecchio, questo è certo, ma la comicità delle singole situazioni porta sempre ad una riflessione sulla complessità della vita e dei rapporti umani.

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Sully by Clint Eastwood

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Marco Bellani

Translation by: Silvia Cometti, Miriam Todesco

Almost ten years after “Gran Torino”, Clint Eastwood is back with another means of transport as a vehicle of ideas, stories, values. Then, it was a legendary Ford, symbol of national identity and anti-racism; now, it is the Airsways 1549 scheduled flight, driven by Captain Chelsey Sullenberger. Or, more simply and tenderly, it is like a “Cactus” flown by Sully in New York’s skies as if it were a kite.

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