Archivi categoria: Torino Film Festival

“Fahrenheit 451” di François Truffaut

Tratto dal romanzo omonimo di Ray Bradbury, il lungometraggio del 1966 diretto da François Truffaut s’inserisce nella retrospettiva “Cose che verranno”.

La società prospettata nel film, in un futuro non ben definibile, prevede un divieto assoluto e tremendo: leggere libri. Questi sono vietati, messi al bando, e se trovati, bruciati dai pompieri che non spengono incendi, ma li provocano. E’ proprio uno di loro il protagonista del film, un tranquillo esecutore di ordini che ha deciso di non porsi alcuna domanda sul perché debba mettere in atto questa barbarie. Sarà l’incontro con una vicina di casa, un’insegnante lettrice clandestina, a instillare in lui dei dubbi e infine un impeto rivoluzionario che cambieranno per sempre la sua esistenza.

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“The Lady in the Van” di Nicholas Hytner

Mary Shepherd (interpretata da una fantastica Maggie Smith) è una vivace donna anziana che vive dentro il suo caro, vecchio e puzzolente furgone. Vaga gironzolando per le strade di Londra in cerca di un posto sicuro dove stare, fino a quando non arriva a Camden Town, un  quartiere nel Nord della città. Qui la gente si dimostra subito gentile nei suoi confronti, nonostante l’odore che porta con sé davanti alle loro case.

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“Akira” di Katsuhiro Ôtomo

Neo Tokyo, 2019. Dopo la Terza Guerra Mondiale il Giappone è in crisi. Economia allo sbando, politica corrotta e inefficace non riescono a trovare il modo di far ripartire un Paese in cui il crimine e la violenza la fanno da padrone. Unica cosa che sembra importare al Governo è Akira, sorta di progetto segretissimo volto al controllo di un potere enorme, che ha causato il proliferare di sette di invasati in tutta la città, i quqli predicano l’avvento di una divinità chiamata Akira. In questo caos sfrecciano su bolidi truccati gang di motociclisti, tra cui anche Kaneda e Tetsuo, ma un incidente inaspettato durante una scorribanda notturna come tante cambia per sempre le loro vite e quelle dell’intera nazione.

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Akira by Katsuhiro Ôtomo

Article by: Matteo Merlano

Translation by: Kim Turconi

Neo Tokyo, 2019. After the third World War, Japan is in crisis. Economy in ruin in addition to corrupted and ineffective politics cannot find a way to start up again a Nation where crime and violence rule the roost. The only thing which seems to be of a certain relevance to the government is the Akira Project, sort of super secret project intended to control an enormous power, which has caused sects of obsessed people to flourish all around the city, preaching the arrival of a divinity called Akira. In this chaos, gangs of bikers speed across the city on modified beasts. Among them there are Kaneda and Tetsuo. An unexpected accident during one of the many raids, will change their lives and those of the entire nation forever.

Undisputed masterpiece of Japanese animation, the movie of Katsuito Otomo is not just a cinematographic opera, but a whole experience, leaving the audience breathless. Produced in 1988 (in Italy came out only in 1992) it was the most expensive anime in History (with a budget of one billion yens) and brought to the creation of a specific production house to realize it, the Akira Committee, with Otomo himself as the chairman, who employed for years more than one thousand animators. All the fears and the contradictions of that decade are contained in this dystopia which draws fully from western cult movies. An elaborate, chaotic and colossal Neo Tokyo is the spitting image of the rainy Los Angeles from Blade Runner (the time of setting is, for this reason, not randomly chosen) ruled by lawless riders (Mad Max) who go all around the city on futuristic bikes (Kaneda’s motorcycle design is identical to the lightcycles from Tron). The aesthetic magnificence is something which leaves everyone amazed and the masterly sound work, overseen by composer Shoji Yamashiro, was an epochal evolution in the animation field.

The concept of Evolution itself is the base of Akira. What is this mysterious energy, so devastating that it needs to be hidden in the bowels of the earth? Who controls it? Where it comes from? Who owns it and how can it be used? The spiritual aspect of the film lies in this ambivalence of the concept of Evolution – especially technological evolution – which often leads to a regression when technology goes too far.
Is it creative or destructive? Otomo is certainly a son of Hiroshima and Nagasaki. That “sun” – which kills tens of thousands people in a few seconds – has affected his worldview. Evolution is a powerful force, but it can cause pain if mishandled. Akira embodies this philosophy and make it to burst with an explosion of visual effects and visionary experiences that leave an impression on one’s mind. The future portrayed by Otomo is crazy, chaotic and illuminated only by neon signs and skyscrapers lights. It is a future in which people run at full speed without any purpose, or they run for the wrong reasons.

The title of this review is taken from the famous Blade Runner monologue of Roy Batty/Rutger Hauer. Our choice has not been accidental, because the Future is already here – and perhaps already experienced. Otomo, just like Scott, “has seen things”. And we have seen them with him.

“La Patota – Paulina” di Santiago Mitre

Santiago Mitre, dopo il successo di El estudiante, vincitore del Gran Premio della giuria al Festival di Locarno 2012, arriva sulla scena torinese con quest’opera seconda, La Patota –Paulina, film in concorso nella corrente edizione del Festival. Al regista è bastata una sola visione del film Patota (1961) di Daniel Tinayre per rimanere colpito dal personaggio di Paulina e accettare di dirigerne il remake.

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“The War of The Worlds” (“La guerra dei Mondi” ) di Byron Haskin

In una calda notte d’estate, dalla volta celeste che sovrasta un’America sonnecchiante si staccano alcune stelle. Meteoriti incandescenti si schiantano al suolo e da essi emergono sinistre navicelle spaziali armate di raggi laser. I marziani devono lottare per la sopravvivenza e sferrano un potente attacco alla Terra con l’intento di colonizzarla, trascinando l’umanità in una guerra dei mondi dagli esiti potenzialmente distruttivi.

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“Moonwalkers” di Antoine Bardou-Jaquet

“Un piccolo passo per l’uomo…”

Moonwalkers è il primo lungometraggio di Antoine Bardou-Jaquet. Si tratta di un’action-comedy incalzante e con una trama molto originale. Un susseguirsi di azioni e colpi di scena mai banali fanno procedere la narrazione in modo fluido. In concorso nella sezione After-Hours. Le risate sono assicurate.

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“Oggi insieme domani anche” di Antonietta De Lillo – Conferenza stampa

Torino, 23 novembre 2015 – Gremita la sala Conferenze stampa del TFF per il briefing del film Oggi insieme domani anche inserito nella sezione Festa Mobile. Presenti la regista Antonietta De Lillo e le sue collaboratrici Maria Di Razza, Teresa Iarpoli, Erika Tasini e Fabiana Sargentini.

Antonietta De Lillo ha spiegato l’articolato progetto del “film partecipato” che ha portato alla realizzazione di Oggi insieme domani anche, mosaico di sguardi, volti e storie raccolte da numerosi autori in giro per l’Italia.

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“Westworld” (“Il mondo dei robot”) di Michael Crichton

Chi non ha mai desiderato fare un viaggio nel tempo, vivere anche solo per una settimana in un’epoca mitica e lontana nella più completa immedesimazione storica?
Westworld di Michael Crichton dice che il sogno della maggior parte delle persone si può realizzare al modico prezzo di 1000 dollari nel parco di divertimento Delos che è diviso in tre parti: Roman World, Medieval World e Westworld. Ognuno può scegliere in quale ambiente storico trascorrere la propria vacanza; durante tutto il periodo di permanenza ogni desiderio potrà essere realizzato, dal partecipare ad un autentico banchetto medievale all’uccidere un cowboy insolente. Tutto sembra vero, ma solo in apparenza. Gli esseri che abitano questo mondo fittizio, infatti, benché simili agli essere umani, sono macchine, robot antropomorfizzati.

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“Sexxx” di Davide Ferrario

Il corpo è l’assoluto protagonista del nuovo lungometraggio di Davide Ferrario. Sexxx, presentato al 33° TFF all’interno della sezione Festa Mobile. Cos’è? un documentario? sì. Videoarte? anche. Un film insolito e affascinante, ipnotico per lo spettatore.

Tutto nasce quando Ferrario assiste al balletto di Matteo Levaggi Sexxx alla Lavanderia a Vapore di Collegno (magnifico spazio che è la sede del Balletto Teatro di Torino diretto da Loredana Furno) e se ne innamora, se ne appropria, come lui stesso ha dichiarato, decidendo di farne un film. Ad ispirare il coreografo era stato il libro di Madonna, intitolato proprio Sex: Matteo Levaggi decise di farne uno spettacolo di danza e aggiunse altre due x al titolo per portare all’estremo il concetto di sensualità. In Sexxx, secondo il coreografo, il corpo è portato all’esasperazione da un mondo sempre più esteticamente esigente.

Davide Ferrario ha plasmato con la macchina da presa i  corpi della coreografia di Levaggi e ci ha restituito una visione evocativa e affascinante. Decomponendo, e poi ricostruendo, il balletto del coreografo, Ferrario ce ne offre una sua personale interpretazione: la macchina da presa è parte integrante del movimento dei ballerini e ci offre una visione ravvicinata e scomposta dei movimenti che in teatro non potremmo mai vedere. Il regista inserisce poi delle digressioni, attraverso brevi inserti di riprese fatte sul set di Guardami e un breve film a soggetto (Room 423) in cui sono protagonisti due amanti (Gloria Cuminetti e Saverio D’Amelio). Il tutto sempre senza dialoghi né voce off.

L’inizio e la fine di Sexxx sono emblematici: il film si apre e si chiude all’interno di un museo. Arte del corpo nel passato (attraverso i quadri di Palma il Vecchio e Tintoretto, Diana e Callisto e Susanna e i vecchioni) e arte del corpo nel presente attraverso la performance di una coppia di persone anziane. L’intento di Ferrario è quello di celebrare il corpo come qualcosa di sacro e la citazione finale, tratta da Footnote to Howl di Allen Ginsberg, lo chiarisce benissimo.

Regista e coreografo ci insegnano che un corpo non è volgare quando diventa oggetto dell’arte, anche quando imita o mima gesti direttamente riconducibili alla sessualità. Anche se i ballerini sono sempre quasi nudi, non siamo mai disturbati da questa visione, totalmente estranea a qualsiasi tipo di strumentalizzazione o volgarità. Non si tratta dell’esaltazione di un’esasperata sessualità, ma di arte visiva, danza nel senso più puro perché mette in risalto la fisicità senza timori, senza filtri.

I ballerini (Kristin Furnes Bjerkestrand, Manuela Maugeri, Viola Scaglione, Denis Bruno, Marco De Alteriis, Vito Pansini) sono preparatissimi dal punto di vista tecnico e hanno un’espressività che va ben oltre il corpo: si intravede quasi la loro anima danzare, talmente sono coinvolti nella coreografia. Le musiche scelte, tra cui spiccano It’s No Game di David Bowie e My Sex di Currie-Allen-Leigh eseguita da Ultravox, accarezzano i movimenti dei danzatori senza mai sovrastarli, ma esaltandone la perfezione coreutica.

Il risultato è un lungometraggio di pura bellezza, da vedere per “spogliarsi” letteralmente da qualsiasi pregiudizio sull’espressione corporea e la sessualità e vestirsi di consapevolezza del nostro essere pelle, materia, corpo.

“In fabbrica” di Francesca Comencini

Immagini contemporanee degli stabilimenti FIAT, in un notturno soffocato dal rumore dei macchinari. Stacco: secondo dopoguerra, un’intervista al alcuni bambini siciliani: “Dove sono i vostri padri?” Risposta: “In Germania”. Così inizia In fabbrica, documentario di Francesca Comencini vincitore del premio Cipputi nel 2007 come miglior film sul mondo del lavoro. Un altro premio Cipputi è stato attribuito quest’anno alla stessa regista, alla carriera. Continua la lettura di “In fabbrica” di Francesca Comencini

“Oggi insieme domani anche” di Antonietta De Lillo

Antonietta De Lillo è “nata condivisa”, come piace dire a lei. 
Ce l’ha fatto capire con Pranzo di Natale nel 2011 e ce lo ha rispiegato in occasione di questo Torino Film Festival, in una sala del Cinema Massimo senza nemmeno una poltrona  libera.
Oggi insieme domani anche è il suo secondo film partecipato, realizzato selezionando decine di filmini di famiglia, interviste, immagini d’archivio, contributi video improvvisati da chi ha accettato il suo invito a raccontare cos’è l’amore. C’è spazio per tutti, soprattutto per corti d’autore già conosciuti e premiati, come Solo da tre giorni di Yuki Bagnardi e Teresa Iaropoli, che ha vinto MoliseCinema nel 2013.

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“The Quiet Earth” (“La terra silenziosa”) di Geoff Murphy

La terra silenziosa. È proprio il silenzio la caratteristica più scioccante di questo lungometraggio del 1985 diretto da Geoff Murphy presentato all’interno della retrospettiva “Cose che verranno”.
Abituati ad un perenne brusio di sottofondo che circonda tutti noi, la completa solitudine del protagonista Zac spiazza lo spettatore soprattutto per la mancanza di rumori di qualsiasi tipo, dal cinguettio degli uccelli al perenne parlottio umano.

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“Tangerine” di Sean Baker

Siamo a Los Angeles, è la vigilia di Natale. Sin-Dee Rella, una ragazza transessuale, scopre dalla sua amica Alexandra che il suo ragazzo l’ha tradita mentre era in prigione. E, cosa ancor peggiore, l’ha fatto con una donna. Decide così di scoprire l’identità della ragazza. In giro per i quartieri depravati della città degli angeli, Sin-Dee inizia la sua caccia, accompagnata per breve tempo dall’amica.

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“Antonia” di Ferdinando Cito Filomanico – Conferenza stampa

Antonia Pozzi, una donna contemporanea

Gli ospiti attesi in questa seconda giornata di Conferenze stampa sono stati Ferdinando Cito Filomanico (regista), Linda Caridi (attrice), Alessio Praticò (attore),  Luca  Guadagnino (produttore), con il film Antonia nella sezione Festa Mobile.

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Il primo a dare avvio al botta e risposta è stato Cito Filomanico, che ha spiegato come è nato il progetto di un film sulla poetessa Antonia Pozzi, raccontando che l’idea è venuta per primo a Luca Guadagnino. In un secondo tempo, Filomanico ci ha messo del suo, immergendosi completamente nella vita della poetessa, svolgendo un lavoro di ricerca sulle sue opere e facendo interviste a gente che poteva raccontare qualcosa su di lei.

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“Lace Crater” di Harrison Atkins

A 22 anni Harrison Atkins dirige il suo primo lungometraggio, non nascondendo di aver tratto ispirazione dal film Begotten di Edmund Elias Merhige, dove i personaggi sono tutti incappucciati o in costume, non parlano mai né fanno capire alcunché di sé stessi, un po’ come il fantasma del film di Atkins.

Proprio per quanto riguarda il il fantasma, il regista rivela di aver scelto questo tipo di costume creato con sacchi di iuta, proprio per allontanare il personaggio dai soliti cliché riguardanti gli spettri. Inoltre dichiara di aver preso a modello le maschere del teatro kabuki, anche se difficilmente si trovano congruenze tra il film e il suddetto teatro giapponese.

Per quanto concerne la protagonista, la sua seconda vita su un gioco di realtà virtuale viene spiegata dalla relazione con l’alienazione postmoderna generata dai social media, dove nonostante la morte, l’account continua ad esistere.

I tratti stilistici dell’horror soprannaturale si mescolano con sfumature melodrammatiche che in alcuni casi spiazzano lo spettatore, come si nota nelle prime fasi dell’incontro fra Ruth ed il fantasma, dove la protagonista quasi psicoanalizza il suo interlocutore. Tutto ciò ammorbidisce la tensione del film nei momenti più intensi.

La colonna sonora è composta prevalentemente da musica elettronica combinata in alcuni casi a effetti rallenty in altri a fasi spaesanti con immagini che tendono allo psichedelico. Atkins rivela che queste immagini sono frutto del caso, in quanto in postproduzione copiando i file su hard disk, accidentalmente si scollegò il cavo, creando questo effetto che poi il regista ha voluto lasciare, per sottolineare lo stato di alienazione e le fasi di malattia che la protagonista Ruth vive in scena.

Per concludere, vi invito caldamente a tenere d’occhio questo regista che al suo esordio nonostante la giovane età, è riuscito a portare al Torino Film Festival un ottimo film e a stupire.

“Lamerica” di Stefano Galli

Ci sono autori come Wim Wenders, David Lynch, i fratelli Coen, che con i loro film hanno mostrato un’America diversa dall’immaginario classico delle grandi città o delle palme hollywoodiane, un’America profonda, fatta di grandi distanze e grandi diversità.

In linea con la concezione di tali autori è l’opera prima del regista e fotografo Stefano Galli, Lamerica, un documentario on the road in 16mm che ci porta nel cuore di questo continente, ancora poco conosciuto a noi d’oltreoceano.

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“La felicità è un sistema complesso” di Gianni Zanasi – Conferenza stampa

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Domenica mattina, alla Conferenza stampa del Torino Film Festival era presente quasi l’intero cast de La felicità è un sistema complesso, tanto che non sono bastati i posti a sedere dietro il tavolo. A parte il regista Gianni Zanasi e la montatrice e produttrice Rita Rognoni, infatti, abbiamo assistito agli interventi di Valerio Mastandrea, Giuseppe Battiston, Hadas Yaron, Teco Celio, Filippo De Carli e Camilla Martini.

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“Lo scambio” (“Nameless Authority”) di Salvo Cuccia

Lo scambio, film diretto da Salvo Cuccia, è uno dei quattro film italiani presenti nella sezione Film in concorso del 33° Torino Film Festival.

Il soggetto prende spunto da una storia vera. Il regista lo ha scritto dopo diversi incontri con il magistrato Alfonso Sabella, durante i quali questi ha parlato di un omicidio di mafia in cui erano morti tre ragazzi, due dei quali sicuramente non avevano niente a che fare con la criminalità.

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“Symptoma” di Angelos Frantzis

Dopo Into the Woods del 2010, Symptoma è il nuovo lavoro del regista greco Angelos Frantzis. A chi si avvicinasse solo adesso al cinema greco, questo film potrebbe risultare straniante, un groviglio in cui si disperdono onirismo e deliri concettuali. Il cinema greco contemporaneo è la meticolosa fusione di elementi fantastici, surrealistici e, a tratti, esoterici ma riesce raramente a plasmarli nella maniera corretta.

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