In 1982, a mysterious disease strikes the inhabitants of a remote Chilean village. The “plague”, as they call it, seems to stem from one of human beings’ primal impulses: the scopic drive. This killer gaze is not that of some petrifying Gorgon, nor that of the mechanical eye of a cinematographer who’s filming, trying to capture death. The deadly mirada (“gaze” in Spanish) is that of a Medusa whose snakes are replaced with eccentric jewelry and colorful sequins.
Nel 1982, un contagio colpisce gli abitanti di uno sperduto villaggio cileno. La “peste”, così la chiamano tutti, pare sia causata da una delle pulsioni primarie dell’essere umano: la spinta al guardare. Lo sguardo che uccide però non appartiene a una Gorgone pietrificante, né a un cineoperatore il cui occhio meccanico cattura la morte sulla pellicola. La mirada (“sguardo” in spagnolo) mortale è di una Medusa che non ha serpenti ma gioielli camp e lustrini colorati.
On a farm in northern Germany, four generations across four different eras — the 1910s, the 1940s, the 1980s and the 2000s — take turns inhabiting the same space over the course of a century. They appear separated by time, yet they are linked by the same thoughts, fears and desires. What happens in the past resonates in the present, and unresolved traumas return with force in the generations that follow.
In una fattoria nel nord della Germania, quattro generazioni in altrettante epoche (anni ’10, anni ’40, anni ’80 e anni 2000) si alternano in un secolo di storia, apparentemente separate dal tempo, ma intimamente accomunate da pensieri, paure e desideri. Ciò che succede nel passato, dunque, si riverbera sempre nel presente e i traumi irrisolti ritornano pungenti nelle generazioni successive.
Just like Magellan (Gael García Bernal), who keeps veering off course as he crosses the oceans, Lav Diaz probes new stylistic perspectives for his cinema: with Albert Serra as producer, Diaz shoots for the first time in a language other than Tagalog and adopts color. He brings the violence of colonialism back to its archaic roots, reinterpreting the figure of the explorer and the myth of the Age of “Discoveries.”
Come Magellano (Gael García Bernal) che devia continuamente la sua rotta attraverso gli oceani, Lav Diaz sonda nuove prospettive stilistiche per il suo cinema: con la produzione di Albert Serra, per la prima volta non gira in lingua tagalog e adotta il colore. Diaz riporta la violenza del colonialismo alle sue radici arcaiche, rilegge la figura dell’esploratore e il mito dell’Età delle “scoperte”.
Carlos riattacca il telefono e si appoggia al muro. Ha gli occhi lucidi e vorrebbe sfogarsi ma non lo fa perché, come dice lui, “gli uomini non piangono”. Questo è il conflitto che Un varón, il nuovo film di Fabian Hernández, si propone di indagare: quello di un ragazzo che tenta di conformarsi all’ideale di mascolinità che vige nelle strade di Bogotá mentre nel privato vorrebbe solo essere se stesso. Il Natale si avvicina e il suo unico desiderio è quello di passarlo con la sorella, sempre più sfuggente, e con la madre che è in carcere. Uscito dal centro giovanile che l’ha accolto, si ritrova a fare i conti con la vita di strada e la legge del maschio alpha.
Il magazine delle studentesse e degli studenti del Dams/Cam di Torino
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