“Fahrenheit 451” di François Truffaut

Tratto dal romanzo omonimo di Ray Bradbury, il lungometraggio del 1966 diretto da François Truffaut s’inserisce nella retrospettiva “Cose che verranno”.

La società prospettata nel film, in un futuro non ben definibile, prevede un divieto assoluto e tremendo: leggere libri. Questi sono vietati, messi al bando, e se trovati, bruciati dai pompieri che non spengono incendi, ma li provocano. E’ proprio uno di loro il protagonista del film, un tranquillo esecutore di ordini che ha deciso di non porsi alcuna domanda sul perché debba mettere in atto questa barbarie. Sarà l’incontro con una vicina di casa, un’insegnante lettrice clandestina, a instillare in lui dei dubbi e infine un impeto rivoluzionario che cambieranno per sempre la sua esistenza.

La televisione è onnipresente nella vita delle casalinghe benestanti (come la moglie del protagonista) ed è molto ben vista l’installazione di sempre nuovi dispositivi che permettano a tutti di riempire il proprio tempo; le conduttrici dei programmi tv vengono chiamate “cugine” e allo stesso modo vengono appellati gli spettatori, come se facessero tutti parte di una grande famiglia: nessuno si deve sentire solo. Mentre le donne, a casa, vengono impegnate da questo passatempo (che talvolta si trasforma in una specie di antesignano reality show), gli uomini lavorano e i ragazzi fanno sport “per non pensare”.

I libri, al contrario, suscitano emozioni, fanno porre delle domande sulla propria esistenza, fanno sognare delle vite impossibili e desiderabili o raccontano i peggiori incubi, ma soprattutto, mettono in moto la consapevolezza di sè, di cosa si ha e di cosa si vorrebbe avere. Il mondo distopico descritto qui è, al contrario, convinto che non si debba pensare, che chi non legge non soffre perché in tal modo le emozioni non vengono stimolate. La solitudine è bandita, ma è normale assumere stimolanti e psicofarmaci come fossero caramelle.

I richiami a 1984  di Orwell sono parecchi, primo fra tutti la presenza perenne della televisione-occhio che chiama chi guarda non fratello, ma cugino. Anche la necessità di coinvolgere la vita privata di ogni cittadino è tipica di tutti i regimi totalitari, solo che in questo caso è mascherata dal benessere apparente di chi si attiene agli ordini.

Chi si ribella può scappare e “diventa un libro”, ovvero impara a memoria un romanzo a sua scelta e ne assume il nome, in modo che esso potrà essere tramandato alle generazioni a venire.
Questi fuggitivi che vivono in mezzo ai boschi sono i detentori della cultura e della libertà e sperano che in epoche meno oscure la ricchezza costruita in secoli di scrittura possa continuare a forgiare l’umanità e a renderla meno cieca, impedendo, forse, di essere comandata da chi pensa che la soluzione sia un’apparente stato di felicità e da chi appiattisce il pensiero critico e annulla il libero arbitrio, veri motori della storia dell’uomo.

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