“In fabbrica” di Francesca Comencini

Immagini contemporanee degli stabilimenti FIAT, in un notturno soffocato dal rumore dei macchinari. Stacco: secondo dopoguerra, un’intervista al alcuni bambini siciliani: “Dove sono i vostri padri?” Risposta: “In Germania”. Così inizia In fabbrica, documentario di Francesca Comencini vincitore del premio Cipputi nel 2007 come miglior film sul mondo del lavoro. Un altro premio Cipputi è stato attribuito quest’anno alla stessa regista, alla carriera.L’Italia degli anni ’50 si affida all’industria, alla ricerca di un lavoro migliore per una vita migliore. Uno scambio di battute tra un giornalista e un operaio che desta non poco stupore nello spettatore contemporaneo abituato al precariato: “Si trova lavoro subito?” “Sì, ce n’è molto”. Questo è il boom economico, il momento più felice dell’economia italiana: in tutta la Penisola ci si sposta per poter lavorare nelle grandi fabbriche del Nord. “Tornerebbe a casa a Napoli?” “No, neanche se mi facessero d’oro”, così una ragazza difende la sua nuova posizione di operaia. Gli intervistati sono sempre soddisfatti, in un’epoca il cui il lavoro era fonte d’orgoglio nonché di guadagno e sostentamento. Ma si assiste anche a uno strana coesistenza tra lavoro garantito e lavoro in nero, talvolta minorile.

Si sta progressivamente formando una coscienza di classe che sfocia nella prima rivolta operaia alla Fiat, nel 1962. Si ottengono migliori condizioni lavorative ma i problemi si sommano, come per esempio la negazione della casa ai meridionali. Un’operaia nel 1968 scrive che chi lavora sempre con le braccia perde l’elasticità della mente, la memoria e la capacità di ragionamento. Assistiamo alla disumanizzazione dell’operaio, il lavoro diventa solo sopravvivenza. Questo comporta nuovi scioperi volti ad eliminare la catena di montaggio: l’operaio vuole mettere parte di se stesso in quello che crea, non gli basta più girare dei bulloni.

Arrivano gli anni ’80, si pensa al profitto e al progresso, si adotta l’automazione che comporta tagli al personale. Gli operai organizzano picchetti e per 35 giorni assediano la Fiat; l’azienda risponde imponendo la cassa integrazione. Il 14 ottobre 1980 gli impiegati e gli operai, non toccati da questi provvedimenti sfilano per le strade di Torino. E’ la marcia dei quarantamila, una massa che si oppone alle manifestazioni operaie. Si tratta di un evento senza precedenti che rivela l’individualismo crescente della gente, la negazione della coscienza di classe. Da allora non ci furono più scioperi alla Fiat.

Al giorno d’oggi le fabbriche continuano ad esistere, ma gli operai sono diventati invisibili; nessuno pensa a scioperare, a protestare. Manca l’unità che permetterebbe il cambiamento, ma soprattutto nessuno più crede al cambiamento: si è ormai diffuso un senso di accettazione e menefreghismo che porta al mantenimento dello status quo, ottenuto con fatica in quegli anni caldi che hanno formato l’Italia operaia.

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