“NE CROYEZ SURTOUT PAS QUE JE HURLE” DI FRANK BEAUVAIS – “SIX PORTRAITS OF PAIN” DI TERESA VILLAVERDE

Un flusso continuo di immagini in movimento scandito da un monologo diaristico in voce fuori campo: Ne croyez surtout pas que je hurle, in italiano “Non pensare che io stia urlando”, aderisce alla tendenza cinematografica delle opere “parlate”, in cui i registi-scrittori controbilanciano l’onnipotenza delle immagini con il significato delle parole. Alternando la narrazione di vicende intime e digressioni, il regista stesso confida allo spettatore la personale successione di eventi e di pensieri che, dall’aprile all’ottobre 2016, lo hanno condotto allo sviluppo di una “dipendenza cinematografica” quasi autodistruttiva: in questo breve periodo di tempo egli ha infatti visionato quasi 400 film. Opere cui Beauvais rende un sentito omaggio utilizzandone i frammenti come unica componente visiva del suo film .

Dalla separazione con il compagno, insieme a cui si era trasferito in un villaggio sperduto dell’Alsazia, alla riconciliazione con il padre in punto di morte, dalla vacanza in Portogallo con gli amici alla descrizione degli attacchi terroristici sul suolo francese, dal trasferimento a Parigi alle problematiche sociopolitiche dell’Europa, i racconti di Beauvais trapelano solitudine, dubbi esistenziali e impotenza davanti a un oblio sempre più concreto, che lo porta non solo a sviluppare una forma di autismo sociale, ma anche a rifugiarsi nell’unica cosa in grado di offrirgli una fragile pace neuronale: la bulimia cinematografica.

La visione di Ne croyez surtout pas que je hurle viene preceduta dal cortometraggio Six Portraits of Pain della regista portoghese Teresa Villaverde, che torna al Torino Film Festival (dopo Colo, presentato sempre per la sezione Onde nella 35esima edizione) con un’opera metodicamente sperimentale creata a partire dalla composizione musicale omonima di António Pinho Vargas.

Intento principale del film è una sostanziale emancipazione del prodotto cinematografico dai fini strumentali ed esclusivamente illustrativi che ultimamente lo caratterizzano, rivendicandone al contrario la potenza evocativa e il fascino poetico: le immagini che Villaverde propone, spogliate da effetti speciali e cariche di una sensibilità quasi primitiva, mostrano gli episodi storici del dolore del nostro tempo. Immagini che però esistono in funzione della musica, apparentemente inquieta, ma veicolo di suggestioni capaci di far accedere lo spettatore a una dimensione misteriosa, una dimensione in cui la vista non è più sufficiente, una dimensione – citando le parole della regista -, di “trance”.

Noemi Castelvetro

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