“THE PLAINS” DI DAVID EASTEAL

The Plains, primo lungometraggio di David Easteal, è lo sperimentale tentativo di ricostruire, tramite un vero e proprio reenactment, il tempo trascorso dal regista australiano nella macchina di Andrew Rakowski, avvocato sulla cinquantina che torna a casa alla fine della giornata lavorativa nella periferia esterna di Melbourne. Un’opera che sfugge alle definizioni, un cinema del reale radicale, eppure malleabile.

Nel corso dei dodici mesi di riprese, la vita di Andrew interferisce sulla sceneggiatura, scritta da Easteal con lo scopo di rievocare i racconti condivisi nei quattro anni precedenti la lavorazione, ma modificata in favore degli eventi più recenti, non previsti e, quindi, non ricreati. Aperto alle variazioni narrative ma intransigente nella messa in scena, Easteal priva lo spettatore degli elementi che più comunemente si ritrovano in un’esperienza cinematografica: l’empatia e l’azione. Il pubblico infatti è costretto ad ascoltare il chiacchiericcio del guidatore dall’immutabile e scomodissima posizione di passeggero relegato nei sedili posteriori, incapace di osservare il volto di Andrew e pertanto impossibilitato ad avvicinarsi emotivamente al protagonista. Non rimangono che le sue parole. E il tempo, dilatato e onnipresente – il quale, tramite l’orario presente nel monitor della vettura, al centro esatto dell’inquadratura – si fa costante promemoria della possibilità di trasformare la quotidianità in rituale, attimi inutili in momenti significativi, poiché condivisi, non solo con il regista/coprotagonista/spalla, ma anche con noi. Se il paragone di riferimento più affine, per la comune scelta di rinunciare ai volti e all’azione, può essere identificato in El sicario – Room 164 (Gianfranco Rosi, 2010), l’opera del regista australiano sembra ancora più estrema nel rinunciare a qualsiasi dispositivo in grado di veicolare il racconto (nel film di Rosi, il quaderno che il sicario utilizza come strumento per raccontare la sua vita).

Un cinema dallo stile documentaristico ma intrinsecamente finzionale, scheletrico e votato alla componente narrativa, unico elemento capace di tenere insieme le tre ore che lo compongono. The Plains è un esperimento di puro storytelling che pretende dallo spettatore un elevato grado di empatia, e contemporaneamente mette alla prova il linguaggio cinematografico, alla ricerca di quanto di una storia possa essere mostrato – in questo caso nulla – e di quanto possa essere detto – in questo caso tutto.

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