“EO” DI JERZY SKOLIMOWSKI

Sono due le principali direttrici che si possono individuare quando si tratta di rappresentare gli animali al cinema: quella che li vede come soggetti emotivi familiari e rassicuranti, capaci di far commuovere e identificare lo spettatore, e quella che sottolinea la distanza e la qualità aliena del loro sguardo indecifrabile, che interroga e mette in crisi il punto di vista umano sul reale.

L’asinello EO, confiscato da un circo in fallimento e destinato a vagare senza meta dalla Polonia all’Italia passando di mano in mano, unisce in modo equilibrato queste due prospettive, lasciando spazio ai desideri del protagonista senza dimenticarsi della forza politica del suo sguardo. Ed è con e attraverso gli occhi di questo asinello, l’animale proletario per eccellenza, che lo spettatore è in grado di compiere la principale azione politica che mette a disposizione il cinema: quella di vedersi e sentirsi fuori posto, come avviene nell’immagine più semplice e per questo più straniante e aliena del film, in cui EO vaga per le vie della città e si specchia nelle vetrine.

L’accento posto sul reale non è però esclusivo, e Jerzy Skolimowski si muove in un territorio ibrido, sempre in bilico tra favola e realtà, tra presente e sogno, allucinazione e ricordo. Il forte senso di straniamento torna nelle sequenze visivamente più interessanti, tutte virate al rosso: dalla rappresentazione dell’asino rurale che rimanda a Bresson, EO viene catapultato in un presente postmoderno in cui si muovono cagnolini elettronici e pale eoliche spuntano là dove un tempo c’erano i mulini. Ma la condivisione dello sguardo non è l’unico espediente utilizzato per entrare in sintonia con EO: grande importanza è data al corpo dell’animale, che viene percorso e filmato da vicino, privilegiandone la qualità tattile ed emotiva. Corpo e sguardo che viaggiano in un mondo ostile e violento che li respinge, nel tentativo disperato di tornare a casa, al punto di partenza. EO l’asino ed EO il film finiscono insieme, colti in questo movimento orgogliosamente controcorrente.

Irma Benedetto

Articolo uscito su «la Repubblica» il 28 novembre 2022

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