“GORGONA” DI ANTONIO TIBALDI

Quotidianità e lavoro. Due entità inseparabili nella casa di reclusione di Gorgona, un’isola-carcere a diciannove miglia di distanza dalle coste della Toscana. Un penitenziario concepito come colonia agricola. Un luogo dove culture, religioni, politica e musica s’incontrano senza scontrarsi. Uno spazio distante dal mondo reale. Un territorio dove addirittura i giornalisti perdono le coordinate del loro mestiere e a tratti si comportano come se stessero assistendo a uno spettacolo esotico da scoprire e da ammirare più che da analizzare con raziocinio.

Premiato come miglior documentario italiano al 64° festival dei Popoli, Gorgona costruisce e insieme ridimensione l’esperienza quinquennale vissuta in prima persona dal regista in quel umwelt che rifugge da ogni definizione, senza mai scadere in un’indagine cronachistica o, al contrario, in un racconto eccessivamente soggettivo. Questo avviene grazie allo sguardo di Antonio Tibaldi, lucido e mai invadente, clinico e personale a un tempo. La dialettica tra l’ordinario e le diverse professioni rappresentate è infatti messa in scena da una regia perfettamente calibrata, ricca di primi piani, soprattutto dei detenuti che abitano quell’isola, e di lunghe sequenze anti-narrative che mostrano gli stessi prigionieri mentre fanno il pane, curano l’uliveto, tosano le pecore o mungono caprette – in una sola parola, al lavoro.

Quest’ampia veduta generale è intervallata da accurati approfondimenti che mettono in luce il terzo polo di cui Gorgona, e dunque il film, si fa carico: il rapporto familiare. Tibaldi infatti pone l’attenzione, senza minuzia di particolari, sia su Luisa Citti – unica erede delle famiglie che abitavano l’isola nell’Ottocento e la sola residente a non ricoprire il ruolo di prigioniero o poliziotto – sia su Antonio e Vincenzo Palumbo – padre e figlio, entrambi detenuti -, rivelando un reale trasporto emotivo in quello che è in apparenza un incolore covo di criminali.

In conclusione, Antonio Tibaldi, grazie a un delicato equilibrio tra soggettivizzazione e analisi investigativa, presenta alla quarta edizione del Job Film Days un documentario che tratta il lavoro non soltanto quale elemento rieducativo, ma come unica possibilità di riguadagnare quella dignità personale che gli ottantasette detenuti alla Gorgona credevano di aver perduto.

Davide Gravina

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