“BILLIE” DI JAMES ERSKINE

6 febbraio 1978 – viene ritrovato su un marciapiede di Washington D.C. il corpo di Linda Lipnack Kuehl, una giornalista che aveva dedicato gli ultimi dieci anni della sua vita alla stesura di una biografia, mai terminata, sulla leggendaria cantante jazz Billie Holiday. Nel corso della sua ricerca aveva intervistato decine di persone e svolto un’indagine dettagliata sulla vita dell’artista. Il patrimonio da lei lasciato è inestimabile: 125 nastri audio, 200 ore di interviste e un manoscritto. Billie è l’esito dell’analisi e dell’accurato utilizzo di questo materiale prima d’ora inedito: un progetto mastodontico diretto da James Erskine che, dopo aver espresso il desiderio di realizzare un documentario sulla cantante, si è trovato a capo di un’impresa come poche, iniziata con l’acquisizione del prezioso materiale da un collezionista del New Jersey.

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MASTERCLASS. “FILM AND SOCIAL JUSTICE” E “FORMARE LE NUOVE GENERAZIONI DI FILMMAKER E ATTIVISTI”

Si sono svolte il 25 e il 26 novembre le ultime due masterclass organizzate in occasione del 38 Torino Film Festival, a cui hanno potuto partecipare alcuni studenti dell’Università degli Studi di Torino e del Politecnico di Torino.

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“FUNNY FACE” BY TIM SUTTON

Article by Fabio Bertolotto

Translated by Simona Sucato

Funny Face opens with the close-up of Saul (Cosmo Jarvis), an introverted boy from Coney Island, looking into the camera wearing a grotesque grinning mask. Like The Joker, even the protagonist of Tim Sutton’s new film is an outcast who craves revenge for wrongs suffered. The mask thus establishes a direct dialogue with pop iconology which, starting with Todd Phillips’ latest film (Joker, 2019), has made that smile a symbol of oppression.

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“FUNNY FACE” DI TIM SUTTON

Funny Face si apre con il primo piano di Saul (Cosmo Jarvis), un ragazzo introverso di Coney Island, che guarda in macchina indossando una maschera dal sorriso grottesco. Come Joker, anche il protagonista del nuovo film di Tim Sutton è un reietto che brama vendetta per torti subiti. La maschera instaura così un dialogo diretto con l’iconologia pop che, a partire dall’ultimo film di Todd Phillips (Joker, 2019), ha reso quel sorriso un simbolo di oppressione.

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TORINO 38 SHORTS

Article by Francesco Dubini

Translated by Nadia Tordera

Eighteen years after the last edition, the competitive section of short films returns to the Torino Film Festival. Two programs, twelve shorts chosen from more than 500 titles for six female directors and six male directors from all over the world. Very different talents compared to a heterogeneous parterre that combines a fascinating and precious variety of techniques and ideas. It is proof of the importance and strength of a complex and demanding genre capable of “giving back the cinematographic machine in a small way” at an international level, according to the recruiter Daniele De Cicco

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TORINO 38 CORTI

A 18 anni di distanza dall’ultima edizione, torna al Torino Film Festival la sezione competitiva dei cortometraggi. Due programmi, dodici corti scelti tra più di 500 titoli per sei registe e sei registi provenienti da tutto il mondo. Talenti diversissimi a confronto in un parterre eterogeneo che unisce una varietà affascinante e preziosa di tecniche ed idee. Prova dell’importanza e della forza, a livello internazionale, di un genere complesso ed esigente in grado di “restituire la macchina cinematografica in piccolo”, secondo il selezionatore Daniele De Cicco.

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“ZAHO ZAY” BY MAÉVA RANAÏVOJAONA AND GEORG TILLER

Article by Alessandro Pomati

Translated by Valeria Collavini

Madagascar, third millennium. In a jam-packed prison whose inmates have to spend their hour of air in an incredibly lousy court, there is a prison guard who is tormented by the memory of her homicidal father, who was never captured nor prosecuted for his crimes. When one of the inmates claims that he met her father, the guard’s obsession becomes even more urgent.

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“ZAHO ZAY” DI MAÉVA RANAÏVOJAONA E GEORG TILLER

Madagascar, terzo millennio. In una prigione dove i detenuti vivono ammassati l’uno sull’altro e hanno diritto a un’ora d’aria quotidiana in un cortile le cui condizioni di decoro sono al limite, lavora una guardia carceraria, una donna ossessionata dal ricordo del padre omicida, mai catturato e mai processato per i suoi delitti. Nel momento in cui uno dei nuovi detenuti del carcere afferma di averlo conosciuto, l’ossessione della ragazza si fa sempre più pressante.

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“DA LONTANO, PIÙ FORTE” BY ANNAMARIA MACRIPÒ

Article by Alice Ferro

Translated by Paola Macchiarella

“What is the cost of evoking pain, considering that it cannot be erased?”. If it is true that a photograph can stop a moment in time, Da lontano, più forte is a journey dotted with instants, memories and words, which revolutionizes the theme of coping with grief, giving it a new, more complete meaning. The director Annamaria Macripò leads us in a personal and intimate dimension, to discover a twenty-year-long diary (from 1998 to 2018), full of images and thoughts related to her mother’s illness and loss. It is all about welcoming pain -the keyword of the journey-, a full and deep acceptance of it as our own.

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“DA LONTANO, PIÙ FORTE” DI ANNAMARIA MACRIPÒ

“Quanto costa evocare un dolore visto che cancellarlo non si può?” Se è vero che una fotografia ferma un istante per sempre, Da lontano, più forte è un viaggio costellato di istanti, di ricordi e di parole che stravolge il tema del cosiddetto “superamento del lutto”, dandogli un nuovo, più completo significato. La regista Annamaria Macripò ci accompagna in un universo personale e intimo alla scoperta di un diario lungo vent’anni (dal 1998 al 2018), colmo di immagini e pensieri legati alla malattia e poi alla scomparsa della madre. Si tratta di un vero e proprio accoglimento del dolore, prima parola chiave di questo viaggio, un’acquisizione di esso come proprio, fino in fondo.

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“UN CUERPO ESTALLÓ EN MIL PEDAZOS”, BY MARTIN SAPPIA

Article by Niccolò Buttigliero

Translated by Nadia Tordera

«Every noble, grandiose and impeccable instant is formed, filled, crumbled and recreated in a new instant that is created, formed, consumed, crumbled and redone in a new instant that is created, formed, filled, bent and connected to the next that announces itself, that is created, formed, filled and exhausted in the next that is born, that arises and succumbs and into the next that comes it arises, restores, matures and joins itself to the next that is formed… This continues without ending and stopping, without fatigue and accidents, with an immeasurable and monumental perfection» -Henri Michaux

«I wanted to do a show with a language I invented to bring people together for just one night. […] They insisted that I do it again but I didn’t want to». The theater of Jorge Bonino (1935-1990) is pure to the extent that every one of his works, words or actions is presence, an act inextricably linked to the moment in which it is expressed.

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“UN CUERPO ESTALLÓ EN MIL PEDAZOS”, DI MARTIN SAPPIA

«Nobile, grandioso, impeccabile, ogni istante si forma, si colma, si sgretola, si riforma in un nuovo istante che si crea, che si forma, che si consuma, che si sgretola e si riforma in un nuovo istante che si crea, che si forma, che si colma e si piega e si collega al seguente che si annuncia, che si crea, che si forma, che si colma e si esaurisce nel seguente che nasce, che sorge, che soccombe e nel seguente che viene, che sorge, si ripristina, matura e si unisce al seguente che si forma…E così senza fine, senza fermarsi, senza stanchezza, senza incidenti, con una perfezione smisurata e monumentale.» -Henri Michaux

«Volevo fare uno spettacolo con un linguaggio inventato da me, per riunire gente solo per una sera. […] Insistevano perché la rifacessi, ma io non volevo». Quello di Jorge Bonino (1935-1990) è teatro puro, nella misura in cui ogni sua opera, parola o azione è presenza, atto indissolubilmente legato all’istante in cui si esprime.

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“HOCHWALD” BY EVI ROMEN

Article by Cristina Danini

Translated by Nadia Tordera

To die is not difficult. Difficult is the life of those who remain, after death has passed in front of them; and Mario learned this in the hard way..

Mario (the very young Thomas Prenn) is young and handsome and he loves to dance. But Mario is not Lenz (Noah Saavedra), the young promise of the country, even more beautiful and talented than him. Mario survived so he will be asked to the bitter end why he is not the one who died in place of Lenz, victim of an attack in Rome.

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“HOCHWALD” DI EVI ROMEN

Il difficile non è morire. Difficile è la vita di chi resta, dopo che la morte gli è passata davanti; e questo, Mario l’ha imparato a sue spese.

Mario (il giovanissimo Thomas Prenn) è bello, giovane, ama danzare. Mario però non è Lenz (Noah Saavedra), la giovane promessa del paese, ancora più bello, ancora più talentuoso. Mario è sopravvissuto e gli verrà domandato ad oltranza perché non è lui ad essere morto al posto di Lenz, vittima di un attentato a Roma.

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JULY RAIN” BY MARLEN KHUTSIEV – “A GEORGIAN TOAST” BY GIULIANO FRATINI

Article by Luca Giardino

Translated by Paola Macchiarella

« There’s nothing mystic [in my cinema], please, try to understand. It is only about remembrance, preserving other people’s memory and knowing what to do with the past. »..

These words reveal the unpretentiousness of a great artist who has a clear aim: to use images to sculpt an irreversibly transformed world. The camera is the most suitable instrument for analysing the life of a country which is slowly forgetting about its recent past and starting to rediscover the joy of ancient times: an archaic love for life which regains its space on the movie film. Marcel Khutsiev, main director of the “new wave” developed in the Soviet Union following Stalin’s death, revives in the Back To Life section of the Torino Film Festival with his 1967 feature film Iyulskiy dozhd (July Rain).

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“JULY RAIN” DI MARLEN KHUTSIEV – “UN BRINDISI GEORGIANO” DI GIULIANO FRATINI

«Non c’è nulla di mistico [nel mio cinema], capitemi, ha semplicemente a che fare con la memoria, con la conservazione della memoria degli altri e cosa fare con il passato».

Queste parole rivelano la modestia di un grande artista nell’inseguire un obiettivo preciso: scolpire con le immagini un mondo ormai irreversibilmente trasformato. La cinepresa si rivela essere lo strumento perfetto per scrutare la vita di un paese che, a piccoli passi, dimentica il suo recente passato e comincia a riscoprire le gioie di tempi ben più lontani: un arcaico amore per l’esistenza che ritrova spazio sulla pellicola cinematografica. Marcel Khutsiev, regista di punta di quella “nuova onda” nata in Unione Sovietica dopo la morte di Stalin, rivive a sua volta sugli schermi del Torino Film Festival nella sezione “Back to Life” con il suo lungometraggio Iyulskiy dozhd (July Rain) del 1967.

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“DEAR WERNER (WALKING ON CINEMA)” BY PABLO MAQUEDA

Article by Sirio Alessio Giuliani

Translated by Simona Sucato

During the winter of 1974, Werner Herzog travelled on foot from Munich to Paris to save his friend and mentor’s life, the film critic Lotte Eisner, who is critically ill. A symbolic act of love that the director told in the book Of Walking on Ice(Sentieri nel ghiaccio). In this documentary, presented out of competition in the section TFF Doc Paesaggio of 38° Torino Film Festival, Pablo Maqueda takes its cue from Herzog’s writing and retraces its steps in a journey halfway between the travelogue and the bildungsroman, which becomes an opportunity to reflect on the meaning of making cinema today.

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“DEAR WERNER (WALKING ON CINEMA)” DI PABLO MAQUEDA

Nell’inverno del 1974, Werner Herzog viaggiò a piedi da Monaco di Baviera a Parigi per salvare la vita della sua amica e mentore, la critica cinematografica Lotte Eisner, gravemente malata. Un simbolico atto d’amore che il regista raccontò nel libro Sentieri nel ghiaccio (Of Walking on Ice). In questo documentario, presentato fuori concorso nella sezione TFF Doc Paesaggio del 38° Torino Film Festival, Pablo Maqueda prende spunto dallo scritto di Herzog e ne ripercorre le tappe in un cammino a metà tra il travelogue e il romanzo di formazione, che diventa occasione per riflettere sul senso del fare cinema oggi.

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“MAPPING LESSONS” BY PHILIP RIZK

Article by Arianna Vietina

Translated by Sofia Barbera

A line, a cut, a shot. These are the means used by director Philip Rizk for his ambitious project to tell the long and complex history of colonialism and its consequences that keep tormenting the most fragile territories, which now lack sustenance and are left in chaos. A fate they share with America which was conquered by cowboys, and Syria nowadays.

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“MAPPING LESSONS” DI PHILIP RIZK

Una linea, un taglio, un’inquadratura. Questi sono gli strumenti usati dal regista Philip Rizk per tracciare il suo ambizioso percorso di ricostruzione della lunga e complessa storia del colonialismo e delle sue conseguenze che continuano a tormentare i territori più fragili, rimasti privi di sostentamento e in balia del caos. Una sorte condivisa dall’America conquistata dai cowboy fino alla Siria dei giorni nostri.

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Il magazine delle studentesse e degli studenti del Dams/Cam di Torino