Just like Magellan (Gael García Bernal), who keeps veering off course as he crosses the oceans, Lav Diaz probes new stylistic perspectives for his cinema: with Albert Serra as producer, Diaz shoots for the first time in a language other than Tagalog and adopts color. He brings the violence of colonialism back to its archaic roots, reinterpreting the figure of the explorer and the myth of the Age of “Discoveries.”
Come Magellano (Gael García Bernal) che devia continuamente la sua rotta attraverso gli oceani, Lav Diaz sonda nuove prospettive stilistiche per il suo cinema: con la produzione di Albert Serra, per la prima volta non gira in lingua tagalog e adotta il colore. Diaz riporta la violenza del colonialismo alle sue radici arcaiche, rilegge la figura dell’esploratore e il mito dell’Età delle “scoperte”.
Un semaforo brucia nella prima inquadratura. Una ragazza con lanciafiamme e capelli biondo platino osserva, poco distante. È Ema (Mariana Di Girolamo) e quel fuoco, con cui si apre l’ultimo film di Pablo Larraín e che non smetterà mai di ardere, è il fuoco che le brucia dentro. Il fuoco dei sensi di colpa causati dalla decisione di riportare in orfanotrofio Polo, il bambino adottato insieme al marito Gastòn (Gael García Bernal). È un fallimento che non le dà pace.
Il magazine delle studentesse e degli studenti del Dams/Cam di Torino
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