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“Marinaleda” by Louis Séguin and “Michel Vay” by Nicolas Deschuyteneer and Patricia Gélise

Article by Pietro Torchia


Translation by Lara Martelozzo

Marinaleda by Louis Séguin, and Michel Vay by Nicolas Deschuyteneer and Patricia Gélise – two medium-length films presented at the Turin Film Festival in the Crazies section – address the road movie genre in opposite ways. In the former, the journey is a collective experience and becomes a pretext for enjoying the pleasure of sharing; in the latter, the journey is depicted as a metaphorical, intimate and private experience of the passage from an earthly dimension to a transcendent one. Marinaleda is a “political” road movie in which two vampires hitchhike from France to Spain to reach the town of Marinaleda, where a communist administration is in force. Amid new acquaintances, erotic moments and social discourses, it is the in-camera glances of the characters that capture the audience, inviting them to immerse in the vampire marxist-like philosophy of life according to which blood feasting becomes an altruistic gesture of body sharing – they are vampires of human and gentle nature with whom it is easy to empathize, in an atmosphere that reminds us of Jim Jarmusch’s Only Lovers Survive (2013), which also shares a fascination for slow narrative and a posed humour with Louis Séguin’s film.

Michel Vay tells of the introspective and transcendental escape journey of an outlaw who has just committed a robbery. A path to Michel’s death that moves between the concreteness of landscapes and the abstractness of the protagonist’s psychological torments, represented in the journey inside his mind through dance steps and music sounds. Attempting to narrate the passage between life and death, between the material and the immaterial in sixty minutes only, the film is at times overly ambitious, in a stylistic search for the perfect image that sometimes forgets the importance of audience involvement. A complacent nonlinear narrative that results in a didactic and predictable ending, with the concluding shot echoing the opening one, recalling a cyclical conception of life. A daring experimentation that is not perfectly successful and that not even the pleasant musical moments and Dantean quotations succeed to make truly exciting.

“Marinaleda” di Louis Séguin e “Michel Vay” di Nicolas Deschuyteneer e Patricia Gélise

Marinaleda di Louis Séguin e Michel Vay di Nicolas Deschuyteneer e Patricia Gélise – mediometraggi presentati al Torino Film Festival nella sezione Crazies – trattano il road movie in maniera opposta. Nel primo il viaggio è un’esperienza collettiva e diventa un pretesto per godere del piacere della condivisione; nel secondo, invece, è un’esperienza metaforica, intima e privata, del passaggio da una dimensione terrena a una trascendente.

Marinaleda è un road movie “politico”, nel quale due vampiri viaggiano in autostop dalla Francia alla Spagna per raggiungere la città, che dà il titolo al film, dove vige un’amministrazione comunista. Tra nuove conoscenze, momenti erotici e discorsi sociali, sono gli sguardi in macchina dei personaggi che catturano il pubblico invitandolo a immergersi nella marxista filosofia di vita vampiresca secondo la quale le banchettate di sangue diventano un gesto altruista della condivisione corporea. Vampiri dal carattere umano e gentile con i quali è facile empatizzare, in un’atmosfera che ricorda Solo gli amanti sopravvivono (2013) di Jim Jarmusch, che con il film di Louis Séguin condivide anche il fascino per la lentezza della narrazione e un posato umorismo.

Michel Vay racconta del percorso di fuga, introspettivo e trascendentale, di un fuorilegge che ha appena compiuto una rapina. Un percorso verso la morte di Michel che si muove tra la concretezza dei paesaggi e l’astrattezza dei tormenti psicologici del protagonista, mostrati nel viaggio all’interno della sua mente a passi di danza e suoni di musica. Tentando di narrare il passaggio tra la vita e la morte, tra il materiale e l’immateriale, in soli sessanta minuti, il film pecca di troppo ambizione, in una ricerca stilistica dell’immagine perfetta che talvolta dimentica l’importanza del coinvolgimento del pubblico. Una compiaciuta narrazione non lineare che sfocia in un finale didascalico e prevedibile, con l’inquadratura conclusiva che richiama quella iniziale, richiamando una ciclica concezione della vita. Una coraggiosa sperimentazione non perfettamente riuscita che neanche i piacevoli momenti musicali e le citazioni dantesche riescono a rendere veramente appassionante.