“NELLA GOLENA DEI MORTI FELICI” di MARCO MORANDI

La sala si riempie di spighe, ma non sono quelle dei campi di grano di Cotignola (comune romagnolo sul fiume Senio) che appaiono sullo schermo durante la proiezione del film, bensì quelle che vengono distribuite agli spettatori durante l’attesa. «È un documentario, ma non è un documentario». Ci bastano una decina di minuti per comprendere: l’atmosfera contadina si tingerà ben presto di note surreali ed oniriche.Nella golena dei morti felici si apre con le immagini di un paesaggio rurale, di balle di fieno e di contadini intenti nel loro mestiere. Da sfondo, l’immensa campagna e un teatro, o meglio un’arena, fatta di paglia. L’arena esiste davvero: ogni estate, da quindici anni a questa parte, la comunità di Cotignola si impegna nella realizzazione di un evento culturale che ha come scopo non solo quello di valorizzare le proprie radici, ma l’arte stessa, con spettacoli, musiche e danze. Marco Morandi documenta la nascita di questo progetto (le riprese sono dell’estate 2016), lasciandosi trascinare dall’umorismo spontaneo dei personaggi. Un cast “dal basso”, dal momento che gli attori sono gli stessi abitanti di questi luoghi.

Le galline del signor Coppi, che abitano il suo teatro campestre, all’improvviso diventano giganti, sovrastando il tetto della sua abitazione. Ed è allo stesso signor Coppi che una voce proveniente dall’alto si rivolge: «Sei tu Coppi, il pagliaio della golena dei morti felici? […] Io vi auguro, caro popolo, che la morte ci accolga danzando». A queste parole, Coppi risponderà: «Accidenti danzando. E uno che non sa ballare come fa?». La morte sta arrivando, ma il pubblico non può fare a meno di abbandonarsi a una risata, una di una lunga serie. È questo uno degli effetti de La golena dei morti felici: riassaporando un’autenticità spesso dimenticata, ci sentiamo liberi di abbandonarci alla pace della campagna, facendoci trascinare dalla comicità dei personaggi.

Protagonista è il dialetto romagnolo, ma all’umorismo si accosta una riflessione più profonda legata al senso della vita: nel corso della narrazione perderanno la vita per motivi accidentali il signor Ronconi e Mario. È soprattutto attraverso il viaggio nell’aldilà di Mario che recepiamo il messaggio del film: egli vorrebbe tornare tra i vivi e fare così ritorno nella sua golena, dove era davvero felice. L’intento di Morandi di rendere omaggio alla sua terra è riuscito, anche grazie a scelte di regia tutt’altro che banali.

Un documentario curioso, bello da vedere e specialmente da ascoltare (fondamentali per il ritmo del film le musiche di Matteo Scaioli). Rimane da chiedersi se Nella golena dei morti felici possa essere apprezzato allo stesso modo da chi non ha mai avuto esperienza concreta della realtà che Morandi racconta.

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