“HEVI REISSU/HEAVY TRIP” DI JUUSO LAATIO E JUKKA VIDGREN

Spesso la vera essenza dell’umorismo è difficile da cogliere, e altrettanto spesso molti film che si propongono obiettivi umoristici risultano manchevoli nei loro propositi. Raccontare una storia semplice, rendendola pregnante solo grazie alla comicità è un’operazione particolarmente complessa.

Faccio questa premessa in quanto Heavy Trip, film finlandese presentato nella sezione After Hours del Torino Film Festival, mi ha dato, prima di tutte, l’impressione di essere totalmente e felicemente improntato sull’umorismo; ho captato, insieme agli altri spettatori che nella Sala 1 del Cinema Massimo ridevano ed applaudivano in un freddo mattino torinese, un’ironia che ha preceduto tutti gli altri possibili ragionamenti sul film.

Sullo schermo, in primo piano, vediamo una renna che attraversa la strada, e lontano, fuori fuoco, il protagonista che passeggia trascinandosi la sua bicicletta arrugginita. Le premesse sono subito chiare: la Finlandia, il suo paesaggio caratteristico, gli animali e le persone che la abitano, la faranno da protagonisti in questa storia piuttosto strampalata.

Una band Heavy Metal cerca di farsi strada in un paesino molto lontano da noi, in cui non si è abituati alla musica che fa “rumore”, in cui chi porta i capelli lunghi è considerato “homo” e, soprattutto, in cui lo stereotipo tende a insinuarsi in ogni dove. Heavy Trip ha tutte le caratteristiche del road movie: la band insegue il sogno di suonare in un concerto in Norvegia e sarà disposta a qualunque compromesso pur di raggiungere la destinazione, ritrovandosi in situazioni del tutto improbabili.

L’ironia del film è semplice ed al contempo dissacrante, e lo spettatore si ritrova a ridere di situazioni che nella vita reale probabilmente non percepirebbe allo stesso modo. La sceneggiatura è disseminata di riferimenti agli stereotipi sull’Heavy Metal e si pone l’obiettivo di rendere i protagonisti buffi e ridicoli, sfatando tutti quei persistenti miti su questo genere musicale. Si verifica dunque un ribaltamento delle posizioni: chi si sente superiore e nella condizione di poter ridicolizzare gli altri, viene mostrato qui in maniera comica e farsesca. Si dipana così una commedia degli equivoci, in cui il malinteso diventa il pretesto per scatenare la risata. Il pregiudizio e lo stereotipo trasformano i personaggi in macchiette e così, ad esempio, può accadere che  le forze dell’ordine scambino per terroristi un gruppo di ragazzi mascherati che stanno festeggiando un addio al nubilato.

Le sequenze in cui la band suona nel seminterrato vengono montate come un vero videoclip metal, con dettagli delle dita che si muovono sul basso, primi piani di una bambola ingabbiata appesa al soffitto; quando lo spettatore è coinvolto in un climax sonoro e visivo, il mito va sgretolandosi, con la mamma che avvisa i ragazzi che la cena a base di renna è pronta. L’idea dei “metallari” dall’aspetto duro che spaventano chi li incontra viene capovolta continuamente dal carattere mite e quasi accondiscendente dei protagonisti che, travolti dagli eventi, si ritrovano a compire delle azioni involontariamente ribelli.

Ogni personaggio è caratterizzato fino al punto di divenire grottesco e lo spettatore è chiamato a distinguere immediatamente i “buoni”, dai “cattivi”. Una struttura narrativa che potrebbe apparire quasi banale, ma che non scade mai nell’ovvio proprio grazie all’umorismo che sorregge l’intero racconto in maniera eccellente. Ogni cosa è il contrario di quella sembra: gli autori di Heavy Trip prendono alla lettera il significato di “ironia”, intesa come dissimulazione, “sentimento del contrario”, regalando allo spettatore una commedia semplice e divertente che, senza pretese, è in grado di lasciare un sorriso anche dopo i titoli di coda.

 

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