“UNE DERNIÈRE FOIS” DI OLYMPE DE G.

Tra i film di questa edizione del Torino Film Festival, Une dernière fois rappresenta un oggetto anomalo. A ben vedere infatti, non capita spesso che un film definito pornografico scavalchi i confini degli eventi di settore, i quali, seppur in aumento, costituiscono pur sempre un universo a parte, ben distinto dai festival generalisti. Mettiamo da parte i fraintendimenti (e per qualcuno le speranze): il primo lungometraggio di Olympe de G. non è solo sesso, così come il suo scopo non è (soltanto) quello di eccitarci. Non lo è perché la protagonista Salomé (Brigitte Lahaie), sessantanove anni, donna in salute e benestante, ha deciso di morire. Ed è a partire da questa scelta, serena ma irrevocabile, che nascono le interazioni sessuali, il susseguirsi di amplessi alla ricerca della persona giusta con cui vivere la sua “ultima volta”.

«Trovo ingiusto si dia tanta importanza alle prime volte, mentre le ultime ci passano sotto il naso» confida la protagonista a Sandra (Heidi Switch), la documentarista incaricata di filmare gli incontri. Una frase che sottolinea la sottesa frizione tra caso e scelta, il tentativo di guidare quanto sfugge al nostro controllo (questa la funzione sia dei provini degli amanti sia del suicidio assistito, una scelta spontanea quanto necessaria a evitare quella che la donna giudica come una lunga e inevitabile decadenza).

È all’interno di tale quadro, al contempo malinconico e assertivo, che viene inserita la mostrazione del sesso, rappresentato in modo tanto insistito ed esplicito quanto lontano dall’immaginario pornografico. Le lunghe e dettagliate sequenze degli amplessi infatti perdono la loro primaria funzione per farsi specchio della fragilità umana, suggerendoci che un rapporto è veramente possibile solo accantonando preconcetti e autodifese. La rivisitazione del porno (attuata consapevolmente dalla regista, da anni militante nell’ambito pro-sex) è accompagnata dalla riabilitazione erotica di corpi non conformi (a partire da quello invecchiato di Salomé), in una deflagrazione felice delle gerarchie estetiche, cinematografiche e non, e dell’idea di oscenità.

Nel tentativo di definire Une dernière fois e in linea con lo spirito che lo anima, evitiamo dunque etichette come “pornografia” e “femminismo”, classificazioni semplicistiche e prossime all’usura. La visione che il film promuove è più ampiamente umanista: uno sguardo che tenta di cogliere la difficoltà e la bellezza dei momenti in cui l’umano si rivela con più forza perché messo alle strette dalla propria finitezza, accostandosi a coloro che, per scelta o meno, stanno fuori dai confini: di genere, età, razza e aspetto. Al di fuori, appunto, dalle etichette.

Chiara Rosaia

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