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“NAGISA” DI KOGAHARA TAKESHI

Nagisa, lungometraggio d’esordio del regista giapponese Kogahara Takeshi, può essere interpretato come un complesso e stratificato tentativo di rielaborare un legame, di ridefinire quel sottile filamento che collega il corpo di chi sopravvive e il ricordo, sempre più evanescente, di chi non c’è più. Il mondo che viene rappresentato è dunque frutto di un’offuscata condizione mentale, un insieme di indistinte rievocazioni partorite dalla mente di un ragazzo distaccato dalla realtà.

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Il protagonista è Fuminao, un ragazzo di Tokyo tormentato dal senso di colpa per la morte della sorella minore Nagisa, deceduta tre anni prima in un incidente stradale mentre andava a trovare il fratello in autobus. Una notte il ragazzo accompagna l’amico Yuki a visitare un tunnel che, secondo alcune credenze popolari, pare essere infestato dai fantasmi. In questo misterioso e tetro luogo si troverà ad affrontare nuovamente il suo passato, le sue origini, fino a rivivere nella propria mente l’intenso rapporto con la sorella scomparsa. Il film è in fondo la riproposizione di un cortometraggio omonimo realizzato dallo stesso Kogahara nel 2017, in cui i due protagonisti, sempre Fuminao e Nagisa, sono però due giovani innamorati. Alla “love story” adolescenziale del primo si contrappone quindi, in questa seconda opera, il ricordo di un defunto e il richiamo al flebile sospiro della morte, in una folle danza che coinvolge Eros e Thanatos fino a renderli parte di uno stesso essere.

L’apatia del protagonista, così come l’alienazione che ne condiziona l’esistenza, nascono dal forte trauma scaturito dalla perdita di una persona amata. Per questo motivo la vita del giovane è costantemente scandita da movimenti meccanici e continui silenzi, raffigurati attraverso l’utilizzo di reiterate e interminabili inquadrature fisse. La storia è frammentata, per nulla lineare, come se ogni brandello di memoria riaffiorasse spontaneamente quando Fuminao assapora determinate sensazioni fisiche o emotive. Questo rende il film un vero e proprio labirinto senza vie d’uscita, un rompicapo in cui, talvolta, risulta difficile comprendere il senso di alcuni avvenimenti.

Al termine di questo enigmatico viaggio esistenziale sono molte le domande che sorgono, suscitando nella mente del protagonista più dubbi che risposte. «I fantasmi esistono davvero?» chiede esitante il ragazzo a un poliziotto incontrato casualmente fuori dal tunnel. La risposta dell’uomo arriverà solo dopo un lungo e ostentato silenzio: «Il fantasma sei tu». Sono coloro che sono rimasti ancorati al passato, incapaci di proseguire una vita normale, come una donna che vaga per strada alla ricerca del figlio scomparso, a rappresentare i veri spettri della società.

Emidio Sciamanna

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