“SHE’S CONANN” DI BERTRAND MANDICO

Dopo aver conquistato una piccola ma salda platea grazie alla sua folgorante opera prima Les Garçons sauvages – presentata alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia nel 2017 –, Bertrand Mandico si trova nella scomoda posizione di dover andare alla ricerca di nuovi adepti, cercando però di non trascurare il séguito già acquisito. Accade così che il suo terzo film, esattamente come After Blue (Paradis sale, 2021), riesca a divertire gli ormai affezionati spettatori torinesi del ToHorror Fantastic Film Fest senza però raggiungere le vette toccate dal suo esordio e da alcuni suoi cortometraggi – tra tutti Boro in the Box (2011) –, e senza coinvolgere i neofiti del suo cinema. Nonostante alcune, sempre più consapevoli, intuizioni e la solita abbacinante messa in scena, She’s Conann non riesce infatti a schiodarsi dallo status di divertissement fugace e passeggero. Definizione che rischia, a meno di un cambio di rotta, di estendersi ingiustamente a macchia d’olio sulla totalità dell’opera del regista transalpino.

La rilettura, quasi esclusivamente al femminile – come ci ha ormai abituato Mandico –, della storia dell’eroe nato dalla penna di Ervin Howard si concentra ovviamente sulla barbara Conann, seduta sul trono che negli inferi spetta all’essere più violento mai esistito, ma contemporaneamente quasi del tutto priva dei ricordi della sua vita. A farle recuperare la memoria ci penserà Rainer, cerbero dalle fattezze peculiari, che racconterà una storia dipanata attraverso epoche e mondi diversi, costellata di avvenimenti tragici e cruenti da lui stesso subdolamente architettati.

Sarà lui a prendersi il proscenio in diversi momenti centrali, rendendo esplicito il suo ruolo da regista interno al film (a partire dal rimando, tanto nel vestiario quanto nel nome, alla figura di Fassbinder). Nella scena del passaggio di Conann dalla se stessa venticinquenne a quella di dieci anni più anziana, per esempio, Rainer prima predice il futuro della protagonista, poi ferma il tempo per dare un saggio delle sue capacità, e infine invera il desiderio della stessa con uno scatto della sua immancabile macchina fotografica. Un potere manipolatorio – già dimostrato in La Résurrection des natures mortes (2012) – simile a quello che ha l’autore con la sua opera, ammantato intrinsecamente da un desiderio morboso di poterne disporre a proprio piacimento. La ferale guida Rainer è quindi una figura ibrida, con un corpo maschile, animale e miracolosamente dotato di seni femminili, che testimonia perfettamente la sua posizione intermedia, incastrata in un lancinante paradosso tra il suo amore terreno per Conann e il suo essere soprannaturale. Nella stessa contraddittoria situazione si ritrova l’artista puro (non come quelli che si vedranno nel finale) e, di conseguenza, Bertrand Mandico, troppo coinvolto dal suo cinema per permettergli di crescere ed evolvere.

Enrico Nicolosi

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