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“PARKLAND OF DECAY AND FANTASY” BY CHENLIANG ZHU

Written by: Cristian Cerutti  

Translated by: Ana Paula Da Costa Silva

In an essay on the link between reenactment and fantasy, Bill Nichols reflects on how this technique underlines the gap between past and present, but also between the subjective and objective perception of events. In this way, it creates a surreal dimension that nullifies the idea of total objectivity highlighting its impossibility. In Parkland of Decay and Fantasy, presented in the TFF40 International Documentaries competition, it is the digital image that performs the function described by Nichols through the use of new technologies and especially their capacity of altering images, as in the case of the visionary finale, where the visual evocation of ghosts is at the centre of the narration of Parkland of Desire and Fantasy[1].

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“PARKLAND OF DECAY AND FANTASY” DI CHENLIANG ZHU

In un saggio sul legame tra reenactment e fantasmatico, Bill Nichols riflette su come tale tecnica sottolinei lo scarto tra presente e passato, ma anche tra percezione soggettiva e oggettiva degli eventi. In questo modo, il reenactment crea una dimensione fantasmatica che annulla l’idea di oggettività totale e ne evidenzia la sua impossibilità. In Parkland of Decay and Fantasy, presentato all’interno del concorso Documentari Internazionali del TFF40, è l’immagine digitale a svolgere la funzione descritta da Nichols: le nuove tecnologie e in particolar modo la loro possibilità di intervento sull’immagine – come nel caso del finale visionario – rendono possibile l’evocazione visiva dei fantasmi al centro della narrazione di Parkland of Desire and Fantasy[1].

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“PETITE FILLE” DI SÉBASTIEN LIFSHITZ

Presentato alla Berlinale 2020, l’ultimo film di Sébastien Lifshitz arriva finalmente in Italia al 36° Lovers Film Festival, proiettato come Evento Speciale fuori concorso.

Petite Fille è la storia di Sasha, una bambina di otto anni che non si riconosce nel proprio corpo maschile e che deve fare i conti con un mondo ostile alla sua diversità. Al centro del conflitto (e del documentario) il legame con la famiglia, che tra lei e la società fa da intermediaria e “scudo affettivo”, secondo le parole del regista. È in particolare la madre Karine a farsi carico di aiutarla, di farla comprendere e difenderla dalle maestre e dal preside, contrari a riconoscere Sasha in quanto femmina.

Lo stesso ruolo di mediatore viene adottato da Lifshitz, che sceglie di sacrificare una prospettiva imparziale ed esaustiva e lasciare l’opposizione fuori-campo, dando spazio e voce a chi in genere sta ai margini. In questa lotta lunga un anno il contrasto non è mai esplicito ma trapela dalle parole di Karine e dal volto della bambina, dalle sue microespressioni timide e inequivocabili, messe in luce dai frequenti primi piani. La macchina da presa diviene così per lei “un terzo genitore”, che le si accosta senza forzarla e mettendosi alla sua altezza, in amorosa e paziente attesa.

Opposto ma complementare a Petite Fille è un altro film recente, Bad Luck Banging or Loony Porn: anch’esso è incentrato sulla violenza delle convenzioni di genere, che similmente si manifestano in ambito scolastico (qui il casus belli è la pubblicazione di un video porno che minaccia il posto di lavoro dell’insegnante Emi).

Ma là dove Lifshitz sceglie linearità e lirismo, accompagnando il percorso di Sasha con la musica sacra di Vivaldi e la Rêverie di Debussy, il film di Radu Jude gioca al contrario sull’urto e aggredisce lo spettatore tramite stile e contenuti, sfociando in una scontro tra protagonista e scuola nel primo volutamente assente.

La conclusione è in entrambi casi amara: Emi può ottenere giustizia solo con l’intrusione nel film del genere Superhero, così come Sasha può danzare in abiti femminili (non da Wonder Woman, ma con ali di farfalla) solo confinata del proprio giardino. Nella speranza che crescendo i confini (di casa, di genere) divengano superflui.

“UN CUERPO ESTALLÓ EN MIL PEDAZOS”, BY MARTIN SAPPIA

Article by Niccolò Buttigliero

Translated by Nadia Tordera

«Every noble, grandiose and impeccable instant is formed, filled, crumbled and recreated in a new instant that is created, formed, consumed, crumbled and redone in a new instant that is created, formed, filled, bent and connected to the next that announces itself, that is created, formed, filled and exhausted in the next that is born, that arises and succumbs and into the next that comes it arises, restores, matures and joins itself to the next that is formed… This continues without ending and stopping, without fatigue and accidents, with an immeasurable and monumental perfection» -Henri Michaux

«I wanted to do a show with a language I invented to bring people together for just one night. […] They insisted that I do it again but I didn’t want to». The theater of Jorge Bonino (1935-1990) is pure to the extent that every one of his works, words or actions is presence, an act inextricably linked to the moment in which it is expressed.

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“UN CUERPO ESTALLÓ EN MIL PEDAZOS”, DI MARTIN SAPPIA

«Nobile, grandioso, impeccabile, ogni istante si forma, si colma, si sgretola, si riforma in un nuovo istante che si crea, che si forma, che si consuma, che si sgretola e si riforma in un nuovo istante che si crea, che si forma, che si colma e si piega e si collega al seguente che si annuncia, che si crea, che si forma, che si colma e si esaurisce nel seguente che nasce, che sorge, che soccombe e nel seguente che viene, che sorge, si ripristina, matura e si unisce al seguente che si forma…E così senza fine, senza fermarsi, senza stanchezza, senza incidenti, con una perfezione smisurata e monumentale.» -Henri Michaux

«Volevo fare uno spettacolo con un linguaggio inventato da me, per riunire gente solo per una sera. […] Insistevano perché la rifacessi, ma io non volevo». Quello di Jorge Bonino (1935-1990) è teatro puro, nella misura in cui ogni sua opera, parola o azione è presenza, atto indissolubilmente legato all’istante in cui si esprime.

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“AL LARGO” BY ANNA MARZIANO

Article by Francesco Dubini

Translated by Giulia Neirone

“A disorienting and extraordinary experience” that’s how Anna Marziano defines Al largo, her metamorphic and complex film, which combines philosophic research and cinematographic knowledge. The documentary wants to analyze the pain related to an illness, in a timeless context which connects the director’s personal experience and Nietzsche and Winnicott’s works.

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“AL LARGO” DI ANNA MARZIANO

“Un’esperienza straniante e fantasmagorica”: così Anna Marziano definisce il suo Al largo, film metamorfico e complesso, che unisce ricerca filosofica e sapienza cinematografica. Il documentario si propone di frequentare il dolore legato alla malattia, in un terreno d’indagine atemporale che mette in dialogo l’esperienza personale dell’autrice con la lettura di Nietzsche e Winnicott.

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U SLAVU LJUBAVI (IN PRAISE OF LOVE), BY TAMARA DRAKULIĆ

Article by Niccolò Buttigliero

Translated by Giulia Neirone

Black screen, wind. Then, human voices together with neighs. In a dusty and austere racecourse, a horse race is interrupted at its acme, through a freeze-frame. Who is the winner, is not for us to know.

At this moment U slavu ljubavi (In Praise of Love) re-starts for the first time. Black screen again, nature sounds again: everything is covered by chirps and bellows. Now, humanity is not even considered on the sound level. From untouched nature to animals. Long static shots, mesmerized by horse bottoms. It seems that Drakulić’s point of view is not special, it is just one of the many possible perspectives. The world flows spontaneously, through every breath. Doesn’t matter if anthropomorphic subjects leave the screen. It is not about décadrages, or the subversion of some rules. It is rather about not identifying ourselves with a hierarchical organization of the audiovisual material. Everything is on the same level, and Drakulić succeeds in giving back the undecidability of one single point of view..

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U SLAVU LJUBAVI (IN PRAISE OF LOVE), DI TAMARA DRAKULIĆ

Schermo nero, vento. Poi, un vociare umano, commisto a nitriti. In un polveroso e spartano ippodromo, una corsa di cavalli viene interrotta al suo acme, con un ricorso ad un freeze-frame. A chi spetti la vittoria, non è dato saperlo.

Ecco che U slavu ljubavi (In Praise of Love) ri-comincia per la prima volta. Di nuovo nero, di nuovo rumori ambientali: a sovrastare ogni cosa sono cinguettii e muggiti. La presenza umana, stavolta, non è contemplata nemmeno sul piano sonoro. Dalla natura, incontaminata, si passa ai corpi animali. Lunghe inquadrature statiche, ipnotizzate da deretani equini. Lo sguardo di Drakulić non sembra porsi come un punto di stazione privilegiato rispetto ad altri, ma come uno dei tanti possibili. Il mondo viene lasciato fluire nella sua spontaneità, in ogni suo respiro. Non importa se i soggetti antropomorfici abbandonano il campo. Non è questione di décadrages, o di sovvertire una qualche regola grammaticale. Si tratta piuttosto di non riconoscersi in un’organizzazione gerarchica del materiale audiovisivo. Tutto è ugualmente meritevole di attenzione, e Drakulić è capace di restituirci l’indecidibilità di un punto di vista.

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“IMPETUS” BY JENNIFER ALLEYN

Article by: Cristian Viteritti

Translated by: Giulia Maiorana

Impetus by Jennifer Alleyn is a hybrid film which combines typical expressive forms of documentary films, such as interviews, with fictional ways of narrating. The final product is a film full of storylines and timeframes that lead to a reflection on action and movement’s relevance and strength.

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“IMPETUS” DI JENNIFER ALLEYN

Impetus di Jennifer Alleyn è un film ibrido, che mescola alcune delle tipiche modalità espressive del documentario, come l’intervista, con i mezzi narrativi delle opere di finzione.  Il prodotto finale è un film ricco di intrecci e di linee temporali che terminano in una riflessione sull’importanza e la potenza del movimento, dell’azione.

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