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“L’ULTIMA NOTTE” DI FRANCESCO BAROZZI

Nel 2012 un terribile caso di duplice omicidio alle porte di Modena sconvolse l’opinione pubblica e la mente di un giovane regista. Si tratta di Francesco Barozzi, che parte da questo inquietante spunto di cronaca nera per mettere in piedi il suo terzo lungometraggio, L’ultima notte, una produzione totalmente indipendente, un’impresa audace che non coglie nel segno.

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LUNGA VITA A ERMANNO OLMI

È iniziata nel primo pomeriggio di mercoledì 28 e si è conclusa in tarda serata la retrospettiva dedicata dal Torino Film Festival a Ermanno Olmi, un’occasione non solo per ricordare il regista scomparso lo scorso maggio, ma soprattutto per festeggiarlo, come ha tenuto a precisare la figlia Betta Olmi presente per l’occasione. Insieme a lei il fratello Fabio Olmi, Maurizio Zaccaro, Cecilia Valmarana, Mario Brenta, Giacomo Campiotti e Gianluca Della Cappa.  Un flusso continuo, come lo ha definito in apertura la direttrice Emanuela Martini, pensato come tentativo di dare una fisionomia di quello che è stato Olmi, grande regista ma anche grande uomo, anticipatore e poeta. Continua la lettura di LUNGA VITA A ERMANNO OLMI

“UNFORGETTABLES”, LA SEZIONE DI PUPI AVATI

“Quando stamattina mio fratello mi ha chiamato per dirmi di Bernardo, mi è mancato il fiato. Sapevo che stava immaginando di tornare a fare cinema. Questo sogno non si è realizzato”. A parlare è un commosso Pupi Avati, guest director del Torino Film Festival: “Il suo fisico non gli ubbidiva più ma la sua mente e la sua straordinaria progettualità non risentivano della malattia”.

Il ricordo del compianto Bernardo Bertolucci non poteva non aprire la seconda giornata dedicata a Unforgettables, retrospettiva dedicata ad alcune delle più tormentate vite degli eroi della musica. E nessuno meglio di Avati, grande ascoltatore di jazz e classica ma soprattutto clarinettista, poteva essere in grado di raccontare l’intimo rapporto che lega il cinema e la musica.

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“LA DISPARITION DES LUCIOLES” BY SÉBASTIEN PILOTE

Article by: Fulvio Melito

Translation by: Cinzia Angelini

Sébastien Pilote presents a film that moves between lights and shadows, and socio-economic issues. The key to interpret the film and its characters is to be found precisely in the title, La disparition des lucioles: as communicated by the radio announcer, it seems that the fireflies have become extinct for unclear reasons but, certainly, because of mankind. They are small lights in the dark which transform the disquieting into something romantic, just like the protagonist, who lives in a city afflicted by the lack of work and closed in a generational immobility.

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“LA DISPARITION DES LUCIOLES” di Sébastien Pilote

Sébastien Pilote presenta un film che si muove fra luci e ombre, e tra temi di carattere socio-economico. Proprio nel titolo, La disparition des lucioles, si trova la chiave per interpretare l’opera e i suoi personaggi: le lucciole, come comunica lo speaker radiofonico, sembrano essersi estinte per motivi poco chiari, ma certamente per colpa dell’uomo. Sono piccole luci nel buio che trasformano l’inquietante in romantico, proprio come la protagonista, che vive in una città afflitta dalla mancanza di lavoro e chiusa in un’immobilità generazionale.

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“SEX STORY” DI CRISTINA COMENICINI E ROBERTO MORONI

“In un mondo in cui tutto sembra possibile, non riusciamo più a raccontarci”: con questa frase Cristina Comencini riassume il senso più profondo del documentario presentato da lei e Roberto Moroni a questa edizione del Festival.

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“NERVOUS TRANSLATION” BY SHIREEN SENO

Article by: Beatrice Ceravolo

Translation by: Priscilla Valente

Shireen Seno’s second feature-length film is not the common coming of age. The director claims that she had the idea for it in a dream, and the relationship between real and oneiric and between interior and exterior represents the focus of the film. The audience witnesses a fundamental moment in Yael’s life, a shy child who spends her days alone waiting for her mother to come back home or listening to messages on tapes sent by her absent father. The main character’s obsessions, confusion and solitude are reproduced with the awareness of someone who experienced them and did not forget them. Seno told in a Q&A that much of herself has been poured into the character of Yael, both into her personality and into her experience of familiar expatriation. The growing  experience of the character in such a delicate moment of her life may echo something into every one of us.

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“NERVOUS TRANSLATION” di SHIREEN SENO

Il secondo lungometraggio di Shireen Seno è tutt’altro che il solito coming of age. La regista riferisce di aver avuto l’idea per il film in sogno, e proprio il rapporto tra reale e onirico e quello tra esterno ed interno sono al centro del film. Gli spettatori si trovano a seguire un momento fondamentale della vita di Yael, una bambina molto timida che passa le sue giornate sola ad attendere il ritorno della madre o ascoltando i messaggi in cassetta inviati dal padre lontano: le ossessioni, la confusione e la solitudine della protagonista vengono rappresentate con la consapevolezza di chi le ha vissute in prima persona e non le ha dimenticate: Seno ha infatti dichiarato al Q&A che molto di se stessa è stato riversato in Yael, sia caratterialmente che per le vicende di espatrio familiare, ma l’esperienza di crescita in un momento tanto delicato può risuonare certamente con tutti.

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“DEN SKYLDIGE/THE GUILTY” DI GUSTAV MÖLLER

Negli ultimi anni la Scandinavia e in particolare la Danimarca ci hanno abituati a un cinema di altissima qualità e a dimostrarlo è anche il fatto che film come Il Sospetto di Thomas Vinterberg e Land of Mine di Martin Zandvliet siano entrati nella cinquina dei candidati agli Oscar come Miglior Film Straniero. Citare questi film non è un caso perché The Guilty (in originale Den Skyldige), opera prima del giovane danese Gustav Möller, oltre a essere in concorso a Torino36 è anche la proposta della Danimarca per i prossimi premi Oscar.

Bisogna anche aggiungere che, come ha sottolineato la produttrice Lina Flint in conferenza stampa, “in Scandinavia c’è una generazione di cineasti cresciuti con il noir e che vuole contribuire con qualcosa di nuovo per il pubblico per elevare il genere”. Möller si inserisce proprio in questa ondata di noir di altissima qualità di scrittura e messa in scena, e lo fa con la forza di un’opera prima brillante e sicura di sé che non inciampa mai.

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“DEN SKYLDIGE/THE GUILTY” BY GUSTAV MÖLLER

Article by: Annagiulia Zoccarato

Translated by: Cecilia Facchin

Over the past few years, we have been used to see high-quality films coming from Scandinavia, and in particular Denmark. This is also proved by the fact that films such as The Hunt by Thomas Vinterberg and Land of Mine by Martin Zandvliet entered the top five Academy Awards nominees for Best Foreign Language Film. It is important to mention these films, because The Guilty (Den Skyldige in Danish), first work of young Danish director Gustav Möller, is both one of the nominees for the TFF36 contest and Denmark’s choice for the next Academy Awards.

It should be added, as pointed out by producer Lina Flint during the press conference, that “in Scandinavia there’s a generation of filmmakers who grew up with noir and wanted to offer something new to their audiences in order to promote this genre”. Möller belongs to this new wave of brilliantly written and staged noir, thanks to his brilliant and confident first work, that never ceases to impress.

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“AZ ÚR HANGJA/HIS MASTER’S VOICE” DI GYÖRGY PÁLFI

Con His Master’s Voice l’ungherese György Pálfi, distintosi grazie al visionario Taxidermia, conferma la libera sperimentazione come imprescindibile approccio al mezzo cinematografico.

Il film, ispirato al romanzo La Voce del Padrone di Stanislaw Lem, racconta del viaggio intrapreso da Péter dall’Ungheria agli Stati Uniti alla ricerca del proprio padre, scienziato fuggito dall’Est Europa comunista abbandonando la famiglia negli anni della Guerra Fredda.

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“CHI-TOWN” BY NICK BUDABIN

Article by: Lorenzo Radin

Translation by: Letizia Bosello

It’s funny how our concept of “self-realisation” may change. Leaving the suburbs of Chicago, learning a new sport in the streets, becoming the Horizon League’s “player of the year” for two years in a row, being a step away from the NBA and being transferred to one of the major Italian professional teams means being successful. However, someone in the audience disagrees: if a basketball player doesn’t join the NBA, he is a loser.

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“CHI-TOWN” DI NICK BUDABIN

È curioso come cambi la nostra concezione di “realizzarsi”. Partire dai sobborghi di Chicago, imparare lo sport dalla strada, diventare per due anni di fila “player of the year” dell’Horizon League, arrivare ad un passo dall’NBA e trasferirsi in una delle principali squadre professionistiche italiane vuol dire realizzarsi. Ma qualcuno in sala non è d’accordo: se un giocatore di basket non entra nell’NBA è un fallito.

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“FIRST NIGHT NERVES” BY STANLEY KWAN

Article by: Gianluca Tana

Translation by: Alice Marchi

Director Stanley Kwan doesn’t need introduction. First Night Nerves represents for the director, who grew up during the Second New Wave of the Hong Kong cinema, a chance to come back home after a long absence. Even if many sequences have been filmed in a sound stage, the city plays a marginal yet fundamental role. The director sets the scene of the fictitious play Two Sisters in the Hong Kong city hall, for which a demolition proposal has been recently put forward. The director’s choice is a declaration of love for this building, where he spent a lot of time directing plays or taking part in film festivals. Continua la lettura di “FIRST NIGHT NERVES” BY STANLEY KWAN

“FIRST NIGHT NERVES” DI STANLEY KWAN

Stanley Kwan è un regista che non ha bisogno di presentazioni. Cresciuto nella seconda New Wave del cinema honkonghese, First Night Nerves rappresenta  per lui il ritorno alla sua città natale dopo un lungo periodo di assenza. Benché molte sequenze siano girate in un teatro di posa o in interni non meglio specificati, la città riveste un ruolo fondamentale – anche se non pregnante come nelle opere precedenti. Ambientare la messa in scena della fittizia pièce teatrale, Due sorelle, nel city hall di Hong Kong è poi una dichiarazione d’affetto per questo edificio, in cui il regista ha trascorso molto tempo tra direzione di spettacoli e festival di cinema, e di cui in anni recenti è stata proposta la demolizione. Continua la lettura di “FIRST NIGHT NERVES” DI STANLEY KWAN

“RIDE” BY VALERIO MASTANDREA

Article by: Alessia Durante

Translation by: Maria Elisa Catalano

Probably, only Valerio Mastandrea could title Ride (which means ‘to laugh’ in Italian) a film about pain and mourning: a title which becomes caustic and, as he declared during the press conference, a little paradoxical too. Especially considering that the protagonist Carolina laughs very little in those ninety minutes of darkness and, if not for what the other characters say to her (and to us), we would not see her laughing at all.

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“RIDE” DI VALERIO MASTANDREA

Probabilmente soltanto Valerio Mastandrea poteva intitolare Ride un film sul dolore e sul lutto: un titolo che proprio per questo diventa caustico e – come egli stesso ha affermato in conferenza stampa – anche un po’ troppo paradossale. Soprattutto considerato che la protagonista Carolina ride pochissimo in quei novanta minuti di buio e, anzi, se non fosse per quello che le (e ci) viene detto dagli altri personaggi, non la vedremmo ridere quasi per niente.

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“4 BÂTIMENTS, FACE À LA MER” DI PHILIPPE ROUY

Dell’affascinante sezione di documentari del TFF, intitolata “Apocalisse”, fa parte 4 Bâtiments, face à la mer, documentario atipico che sfrutta le registrazioni perpetue di una webcam installata all’interno della centrale nucleare di Fukushima. Philippe Rouy, con queste immagini, realizza un film che offre allo spettatore diversi spunti di riflessione, in particolare sulla definizione e sul concetto stesso di apocalisse.

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