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“BREEDER” di JENS DAHL

In un’ex fabbrica di zucchero riadattata a laboratorio per la sperimentazione di terapie in grado di fermare l’invecchiamento, la dottoressa Ruben (Signe Egholm Olsen) conduce i suoi esperimenti, supportata finanziariamente da Thomas (Anders Heinrichsen). Le teorie della dottoressa, nello specifico una veterinaria, le consentono di trovare presto una cura efficace solo per gli uomini. La terapia per le donne, invece, non è così immediata e richiede ricerche supplementari, che vengono eseguite su cavie – tra le quali anche Mia (Sara Hjort Ditlevsen), moglie di Thomas – che vengono rapite dai due assistenti uomini di Ruben, il Cane e il Maiale.

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ITALIANA.CORTI

Article by Andrea Bruno

Translated by Nadia Tordera

Divided into two separate programs of about one hour each, there are eight films that make up the competitive ITALIANA.CORTI section of the 38th Torino Film Festival. The variety of gazes is remarkable but perhaps there is a common thread that unites them and that must be sought in the attention that almost all directors turn to intimate and everyday stories, often able to rise, sometimes unexpectedly, towards the territories of epic. Above all they share a lively linguistic research which usually uses archival material, found footage, Super 8, or collage in the almost desperate experimentation of new expressive solutions.

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ITALIANA.CORTI

Ripartiti in due programmi distinti di circa un’ora ciascuno, sono otto i film che compongono la sezione competitiva ITALIANA.CORTI del 38° Torino Film Festival. La varietà di sguardi è notevole, ma forse c’è un filo rosso che li unisce e che va ricercato nell’attenzione che quasi tutti i registi rivolgono a storie intime e quotidiane, spesso capaci di elevarsi, talora inaspettatamente, verso i territori dell’epica. Soprattutto, li accomuna una vivace ricerca linguistica, che nella sperimentazione quasi disperata di nuove soluzioni espressive ricorre in molti casi al materiale d’archivio, al found footage, al Super 8, al collage.

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“CAMP DE MACI” by EUGEN JEBELEANU

Article by Carola Capello

Translated by Paola Macchiarella

First work of the director Eugen Jebeleanu, Camp de Maci is inspired by a real event happened in 2013 in Bucarest, when a group of homophobic demonstrators interrupted some LGBTQ+ film screenings.

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“CAMP DE MACI” DI EUGEN JEBELEANU

Diretto da Eugen Jebeleanu (al suo esordio cinematografico), Camp de Maci prende ispirazione da un evento realmente accaduto a Bucarest, nel 2013, quando alcune proiezioni di film LGBTQ+ vennero interrotte da gruppi di manifestanti omofobi.

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“CLEANERS” By GLENN BARIT

Article by Fabio Bertolotto

Translated by Nadia Tordera

The “cleaners” to which the title refers are a group of eight students from a strict Catholic school in the Philippines. They are defined in this way because they are the protagonists of four stories in which they are forced to respect obtuse educational rules that require them to be clean and correct at all costs. Cleaners also describes the pressures that young people experience from a world that is dirty and superficial.

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“CLEANERS” DI GLENN BARIT

Gli “addetti alle pulizie”, a cui fa riferimento il titolo, sono un gruppo di otto studenti e studentesse di una rigida scuola cattolica delle Filippine. Vengono definiti così perché sono protagonisti di quattro vicende in cui sono costretti a rispettare ottuse regole educative che impongono di essere puliti e corretti a tutti i costi. Cleaners descrive anche le pressioni che i ragazzi subiscono da un mondo che invece è sporco e superficiale.

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“REGINA” BY ALESSANDRO GRANDE

Article by Marco Ghironi

Translated by Francesca Cozzitorto

Regina, the only Italian film in competition at the Turin Film Festival 2020, is Alessandro Grande’s first feature film.

The director’s long experience with the short film form explains the mastery of the story-telling in a more extended time, without ever losing the viewer’s attention. A whirlwind of music, glances, silences and lies converge in a real coming-of-age story. The protagonists are the young Regina (Ginevra Francesconi) and her father Luigi (Francesco Montanari), who are committed to helping his daughter fulfill the dream of becoming a singer in every possible way. He had the same dream but he had to give up on it after his wife passed away. However, everything changes when an unforeseen event disrupts their lives.

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“REGINA” DI ALESSANDRO GRANDE

Regina, unico film italiano in concorso al Torino Film Festival 2020, è il primo lungometraggio di Alessandro Grande.

La grande esperienza del regista con la forma cortometraggio risuona nella maestria nel narrare una storia in un tempo più dilatato, senza perdere mai l’attenzione dello spettatore. Un turbinio di musica, sguardi, silenzi e bugie confluiscono in un vero e proprio racconto di formazione. Ad esserne protagonisti sono la giovane Regina (Ginevra Francesconi) e suo padre Luigi (Francesco Montanari), impegnato ad aiutare la figlia a coronare il sogno di diventare cantante con ogni possibile sotterfugio; stesso obiettivo che lui ha dovuto abbandonare dopo la morte della moglie. Tutto cambia però quando un evento imprevisto sconvolge le loro vite.

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“FRIED BARRY” By RYAN KRUGER

Article by Noemi Castelvetro

Translated by Paola Macchiarella

Specialized film critics were caught rather off guard, because cinema has experienced a change when it comes to the ways it is exploited. On the other hand, new perspectives emerged in terms of film discourse and instruments to understand it. It is especially evidentin films like this one, in which the stated intent is to tell a certain audience to beat it. That being said, it is very difficult to examine Fried Barry without distorting it, but it is also unnecessary to dissect it in order to extract an additional critical consideration, which would be “too much of a good thing”.

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“FRIED BARRY” DI RYAN KRUGER

Se la critica cinematografica specializzata si è trovata a tratti spiazzata per il cambiamento nelle forme e nelle modalità di fruizione del cinema, al contempo si sono delineate nuove prospettive di collocazione rispetto alla sfera discorsiva del film e degli strumenti per approcciarla. Soprattutto se nel film in questione, come in questo caso, campeggia la voglia di mandare a quel paese un certo tipo di pubblico. Premessa fatta, è complesso cercare di approfondire Fried Barry senza snaturarlo, come non è indispensabile setacciarlo per estrapolare quella riflessione critica in più che “stroppierebbe il troppo”. 

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“EYIMOFE” By ARIE E CHUKO ESIRI

Article by Angelo Elia

Translated by Carmen Tucci

Eyimofe (This is my desire), first feature film by Arie and Chuko Esiri  (two brothers) is, like we can guess from the title, a movie about desire. The two protagonists, Mofe and Rosa, want to leave Nigeria and go abroad: they won’t succeed and they will learn at a high price not to confuse their own desire with their own satisfaction.

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“EYIMOFE” DI ARIE E CHUKO ESIRI

Eyimofe (This is my desire), primo lungometraggio dei fratelli Arie e Chuko Esiri è, come si può facilmente indovinare dal titolo, un film sul desiderio. I due protagonisti del film, Mofe e Rosa, sognano di lasciare la Nigeria ed emigrare all’estero: nessuno dei due vi riuscirà ed entrambi impareranno a caro prezzo a non confondere il proprio desiderio con la sua soddisfazione. Continua la lettura di “EYIMOFE” DI ARIE E CHUKO ESIRI

“BOTOX ” BY KAVEH MAZAHERI

Article by Andrea Bruno

Translated by Aurora Sciarrone

“It was a dark and stormy night”, as Snoopy would have wrote. That is how Botox begins, in a dark and stormy night, while on a TV screen another classic cartoon character, Wile E. Coyote, performs one of his usual tumbles, out of which he will be comically deformed but still unharmed. Akram (Susan Parvar) is completely taken by the scene. She is affected by autism, and she is stuck in a world made of repetitive actions and a vaguely childish attitude, and perhaps she believes that the same laws of physics that dominate the cartoon world apply to the real one, too. It so happens that she does not hesitate to push her brother Emad (SoroushSaeidi, also being the film’s producer) off the roof, who is guilty of having made fun of her one too many times.

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“BOTOX ” DI KAVEH MAZAHERI

“Era una notte buia e tempestosa”, avrebbe scritto Snoopy. Inizia proprio così Botox, in una notte buia e tempestosa, mentre su uno schermo televisivo un altro veterano del disegno animato, Willy il Coyote, si esibisce in uno dei suoi soliti capitomboli, dal quale esce comicamente deformato ma sostanzialmente incolume. Akram (Susan Parvar) guarda rapita la scena. È affetta da autismo, bloccata in un mondo di gesti rituali e di atteggiamenti vagamente infantili, e forse crede che le medesime leggi fisiche che regolano il mondo dei cartoon valgano anche nella realtà. Sta di fatto che non ci pensa due volte a spingere giù dal tetto suo fratello Emad (Soroush Saeidi, anche produttore del film), colpevole un giorno di averla derisa una volta di troppo.

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“IL BUCO IN TESTA” DI ANTONIO CAPUANO

Nata e cresciuta nella periferia di Napoli, Maria (Teresa Saponangelo) è orfana di padre ancor prima di venire al mondo. A portarglielo via un colpo di pistola esploso dal brigatista Guido Mandelli (Tommaso Ragno) che, una volta scontata la pena in carcere, vedrà bussare alla sua porta la giovane donna in cerca di risposte. Con Il buco in testa, presentato fuori concorso al Torino Film Festival, Antonio Capuano dedica un nuovo capitolo alla sua Napoli, teatro inconsapevole di vite alla deriva.

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“IL BUCO IN TESTA” BY ANTONIO CAPUANO

Article by Marco Ghironi

Translated by Nadia Tordera

Born and raised in the suburbs of Naples, Maria (Teresa Saponangelo) is orphaned of her father even before coming into the world. She lost him because of a gunshot by the brigadier Guido Mandelli (Tommaso Ragno), who will see the young woman knocking on his door in search of answers, once he has served his sentence in prison. With Il buco in testa, presented out of competition at the Torino Film Festival, Antonio Capuano dedicates a new chapter to his Naples, the unaware theater of adrift lives.

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“FILM” By FABRIZIO BELLOMO

Article by Arianna Vietina

Translated by Nadia Tordera

Is one hour enough to re-discuss the complex issues of work and technology in the contemporary world? Obviously the answer is no, but Fabrizio Bellomo is capable of taking advantage of this time, even if short, to propose a huge amount of suggestions and questions, just as he normally does with his peculiar art works. It is an experimental film, in which an exorbitant number of images taken directly from real life is represented on the screen: from Facebook scrolls to Power Point presentations to municipal council recordings and television broadcasts. But Film proposes a clear way through the contradictions of progress, leaving us the questions: has technology made us less slaves than work? Does it allow us to be more masters of our tools? Or will we continue to live forever subject to objects and to the power they have to give us sustenance and dignity? What does dignity mean for a man/worker?

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“FILM” di FABRIZIO BELLOMO

Basta un’ora per ridiscutere i complessi temi della tecnologia e del lavoro nel mondo contemporaneo? Certamente no, ma l’artista Fabrizio Bellomo riesce a usare un tempo così limitato per proporre una enorme quantità di suggestioni e domande, proprio come normalmente fa con le sue peculiari opere d’arte. Ci troviamo di fronte a un film sperimentale, in cui entrano nello schermo un numero esorbitante di immagini prese direttamente dalla vita vera, dagli scroll di Facebook alle presentazioni in Power Point fino alle registrazioni di consigli comunali e trasmissioni televisive. Ma Film propone un percorso chiaro attraverso le contraddizioni del progresso, lasciando a noi le domande: la tecnologia ci ha reso meno schiavi del lavoro? Ci permette di essere maggiormente padroni dei nostri strumenti? O continueremo per sempre a vivere sottomessi agli oggetti e al potere che questi hanno di darci sostentamento e dignità? Cosa vuol dire dignità per un uomo/lavoratore?

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MASTERCLASS WOMEN IN CINEMA: LE VOCI IN EVOLUZIONE DELLE DONNE NEL CINEMA

Si è svolta sabato 21 novembre la prima Masterclass del 38º Torino Film Festival. L’evento, mediato da Fedra Fateh, vicedirettrice del Festival, ha visto come protagoniste Waad Al-Kateab, giornalista e filmmaker, e Homayra Sellier, fondatrice dell’ONG Innocence in Danger. Le due ospiti, che sono anche parte della giuria del festival (quest’anno tutta al femminile), hanno raccontato come le loro vite si siano intrecciate al mondo cinematografico; in quanto donne, l’incontro con il cinema è risultato fondamentale per dare voce alle loro cause. Waad Al-Kateab ha realizzato il documentario For Sama (co-diretto con Edward Watts), ovvero un’emozionante lettera d’amore rivolta alla figlia per spiegarle la guerra in Siria e le ragioni che l’hanno spinta a restare ad Aleppo fino all’ultimo. Homayra Sellier, invece, ha fondato la sua organizzazione per fornire assistenza di ogni genere alle vittime di abusi sessuali. In entrambi i casi la narrazione cinematografica è stata l’occasione fondamentale per mettere in luce argomenti spesso evitati o posti in secondo piano. 

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