“OCTOPUS” DI KARIM KASSEM

Il 4 agosto 2020 una tremenda esplosione distrugge il porto di Beirut causando 220 morti e 7000 feriti. Solo un giorno prima il regista Karim Kassem arrivava in città – proprio nella zona portuale – per girare un lungometraggio che non girerà mai, Octopus. Al suo posto questo Octopus: resta il titolo ma è un film completamente diverso. È il lamento sinfonico di una città rimasta senza voce.

Il lungometraggio del regista libanese è muto; a vibrare, al posto delle corde vocali di quanti vengono inquadrati, è l’onda durto dell’esplosione che ha devastato un’intera parte della città. Il suono di quell’evento non si ode, ma resta rumoroso nelle immagini come una sorta di fuori campo sonoro. La volontà di Karim Kassem, che pure ha rischiato di morire quel 4 agosto 2020, era quella di raccontare in maniera programmatica lo scenario doloroso irreale all’indomani dell’evento. Lo ha fatto unendo l’immediatezza di un dato reale osservato con urgenza a una grande precisione formale. Per il regista, la grammatica filmica più esatta per enunciare la distruzione è quella di inquadrature (in camera fissa) lunghe e sostenute, accordate – nella miglior tradizione documentaria delle sinfonie metropolitane – sulla base di analogie formali. La città è colta simbolicamente in un tramonto senza fine; spesso è proprio quella luce malinconica a condurre il fraseggio da un’inquadratura all’altra.

Il dato umano in ogni caso resta, condensato nella posa di persone che si offrono mute all’obbiettivo: sui loro visi emerge una fisiognomica dello shock e del dolore alla quale non serve aggiungere nulla. La visione di Octopus, lenta e meditativa, porta all’esperienza di un’immersione sensoriale che in sala sempre più raramente capita di vivere. Il film comincia dentro una casa e dentro una casa si conclude. In mezzo, l’indagine spaziale di un panorama urbano deturpato: esplose le porte e le finestre, non ci sono più gradi di separazione tra interno ed esterno. È in questo aperto terreno visivo che s’inserisce lo sguardo vivo di Karim Kassem.

Francesco Dubini

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