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“THE SHEPHERD” DI YUFEI ZHAO

“… ci hanno insegnato che esistono due vie per attraversare la vita, la via della Natura e la via della Grazia. Tu devi scegliere quale via seguire”. Questa citazione da The Tree of Life di Terrence Malick potrebbe riassumere limpidamente la storia del pastore Zhenping, protagonista del documentario The Shepherd, se al posto della parola “grazia” si sostituisse il termine “amore”.

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Le vaste praterie dell’entroterra della Mongolia fanno da sfondo a questa intima parabola umana che racchiude, nella sua povertà e nel minimalismo cinematografico, un momento cruciale della vita di un uomo. Yufei Zhao, qui al suo primo mediometraggio, dirige – con un bianco e nero asciutto e algido – la vita monotona del pastore, che ogni giorno porta al pascolo gli animali; creature che riempiono la sua solitudine e diventano la sua unica compagnia oltre all’anziana madre, unica persona con cui interagisce quotidianamente. Gli amici che frequentava in passato si sono sposati e i due fratelli che convivevano con lui sono morti. L’azzeramento del ritmo vitale di questo nucleo familiare viene improvvisamente rimesso in moto da un’interferenza creata dall’arrivo del fratello ancora in vita, che viene a trovare, insieme alla moglie, la famiglia in queste aree sconfinate e disabitate. La visita sconvolge le consuetudini: in un luogo a loro estraneo come un ristorante, il fratello propone a Zhenping di trovare un’altra donna con cui stabilirsi. Di percorrere quindi quella via dell’amore, che il pastore non percorre da anni.

La vita di Zhenping è però ormai profondamente radicata nella natura: la passeggiata quotidiana con le sue pecore, nella cornice delle colline, rimane la prospettiva più felice, più ritemprante rispetto a una nuova via o (vita) da intraprendere, con tutti gli ostacoli e le oscure insidie che potrebbe riservargli. Perché questa oscurità, per un uomo che sta vivendo la vecchiaia, non è più affrontabile; e così aspetterà con pazienza e dolore che il flusso della vita arrivi al suo termine.

Orazio Oztas

“THE BLACK SEA” DI DERRICK B. HARDEN E CRYSTAL MOSELLLE

L’American Dream è un tema centrale nel cinema americano. I “dreamers” si manifestano in diverse forme: da un lato, i gruppi di personaggi, come quelli di Martin Scorsese e Francis Ford Coppola, le cui gang mafiose offrono una rappresentazione cruda della brama di ricchezza e successo; dall’altro, i solitari sognatori, individui disposti a superare ogni limite per perseguire ideali grandiosi. Tuttavia, spesso si trascurano le storie che riflettono l’American Dream al di fuori dei confini statunitensi, dimostrando come queste aspirazioni universali trascendano culture e geografie. Inoltre, esistono narrazioni ispirate a questo tema che non ricorrono all’esagerazione, ma raggiungono un equilibrio sobrio e realistico.

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Ed è proprio nel film The Black Sea che queste dinamiche si evidenziano con maggiore rilevanza. Il protagonista Khalid, un giovane afroamericano con grandi ambizioni, insoddisfatto del suo lavoro in un bar di Brooklyn, decide di licenziarsi dopo essere stato contattato da una donna bulgara su Facebook, che gli offre diecimila euro per trascorrere del tempo con lei. Tuttavia, scopre al suo arrivo in territorio balcanico, che la donna è deceduta, avviando così il suo esilio economico in terra sconosciuta. I registi Derrick B. Harden e Crystal Moselle seguono il percorso di Khalid, interpretato dallo stesso Harden, mentre cerca di integrarsi in una comunità estranea, esplorando temi di aspirazione individuale e solitudine, simili a quelli affrontati da Kubrick in Barry Lyndon. Il processo di adattamento nella cittadina bagnata dal Mar Nero, a cui si rifà il titolo del film, si rivela complesso; Khalid deve trovare qualsiasi lavoro disponibile per sopravvivere. La sua situazione è drasticamente cambiata: ora la necessità guida le sue scelte. Tuttavia, sviluppa un’amicizia con una donna bulgara e insieme riescono a fondere le loro ambizioni, questo permetterà loro un equilibrio che gli consentirà di realizzare il successo desiderato senza sfociare in conclusioni di disfacimento etico e morale.

Orazio Oztas