I due grandi schermi collocati nell’Aula del Tempio alla Mole Antonelliana accolgono con le loro immagini i visitatori e li invitano ad accomodarsi sulle rosse chaise longue da cui si espande il suono p di quelle stesse immagini. Dal 26 gennaio 2018, in occasione della mostra Soundframes –cinema e musica in mostra, questi grandi schermi sono dedicati uno ai Leitmotiv e l’altro alle interpretazioni di brani nel cinema perlopiù contemporaneo.
L’appuntamento con l’ultima serie di cortometraggi del concorso Future Lovers del Lovers Film Festival 2018 si apre con due film italiani, alla presenza dei registi in sala. Il primo, fuori concorso, è Emerging Doubts (Dubbi che vengono) di Ilaria Galanti, che racconta il momento in cui Manuel si risveglia confuso nel suo letto, con uno sconosciuto che gli dorme accanto, completamente nudo.
Da aprile 2018 è nata una nuova collaborazione tra il Museo Nazionale del Cinema e il Seeyousound International Music Film Festival, nell’ambito della mostra SoundFrames ospitata all’interno della Mole Antonelliana (fino al 7 gennaio 2019). Si tratta dei SoundFrames Days, ovvero giornate di approfondimento e proiezioni di film dedicati al rapporto tra cinema e musica. Il primo appuntamento ha avuto come protagonisti tre docu-film.
In questo 35° Torino Film Festival c’è stato spazio per più di un film frutto del cinema portoghese; il più bello lo abbiamo visto nella sezione “Onde” del Festival: si tratta di Colo, di Teresa Villaverde. Come sappiamo, il Portogallo vive già da tempo un periodo di dura crisi economica, che è anche una crisi sociale, un’impasse esistenziale che divora l’intera civiltà; la regista di Lisbona sceglie proprio di raccontarci questo mondo, visto attraverso gli occhi di una famiglia che forse, prima di soffocare nella morsa della crisi, era mediamente benestante e ora è memore di un passato migliore del presente, come si nota da certi dettagli nell’appartamento in cui vive la famiglia. Continua la lettura di “Colo” di Teresa Villaverde→
All’Università Paris 8, nel distretto 93 di Seine-Saint-Denis, periferia Nord di Parigi, si svolge da ormai sei anni una gara chiamata Eloquentia. Com’è intuibile, si tratta di una competizione di arte oratoria, per la quale i partecipanti, studenti dei sobborghi di Parigi di qualsiasi estrazione sociale, vengono preparati dai più svariati professionisti della parola, come avvocati, attori, insegnanti di teatro, manager. Dopo sei settimane di duro lavoro, i ragazzi dovranno dar prova delle loro abilità davanti a una giuria, che alla fine nominerà “il miglior oratore del 93”. Continua la lettura di “À voix haute – Speak up!” di Stéphane De Freitas→
Se andaste a vedere Barrage senza sapere ancora che Lolita Chammah è la vera figlia di Isabelle Huppert, vi trovereste meravigliati nel notare la netta somiglianza tra le due attrici, che nel film interpretano a loro volta i ruoli di figlia e madre. Continua la lettura di “BARRAGE” di LAURA SCHROEDER→
Si è svolta, nelle sedi Rai, la conferenza stampa di Le fils de Joseph di Eugène Green, presentato nella sezione “Onde” al 34° Torino Film Festival. Il regista si è reso disponibile a rispondere per mezz’ora alle molte domande e curiosità da parte dei giornalisti, mostrando inoltre la conoscenza dell’italiano quasi impeccabile. La storia narrata vuole essere foriera del messaggio che la comunicazione tra generazioni (tra padri e figli per esempio) è molto importante; il problema maggiore della civiltà di oggi, come afferma Green, è che la gente non vive più nel presente, ovvero nella realtà, ma in una dimensione sempre più virtuale. Questo tema influenza diversi lavori del regista.
È una storia singolare quella di Chi mi ha incontrato, non mi ha visto. L’ultima fotografia di Arthur Rimbaud, l’ultimo film del regista milanese Bruno Bigoni. Un documentario travestito da mockumentary (o viceversa?), è la dimostrazione di ciò che è accaduto al regista dal giorno in cui una misteriosa donna francese gli propone l’acquisto di una fotografia che raffigurerebbe nientemeno che Arthur Rimbaud su un letto di ospedale, la gamba destra amputata e in mano un foglio su cui sono scritti alcuni versi inediti e mai pubblicati nelle opere del poeta bambino.
Il termine slam può assumere diversi significati: può essere il suono onomatopeico che riproduce un rumore secco, come di una porta chiusa con forza (to slam, sbattere), o di una sberla in piena faccia; ma è anche un vocabolo specifico nel linguaggio degli skaters. Per questo motivo è anche molto simile al soprannome del protagonista dell’ultimo film di Andrea Molaioli (La ragazza del lago, Il gioiellino), l’adattamento cinematografico, molto fedele, del romanzo di Nick Hornby, Tutto per una ragazza.
C’è un poeta, in Italia, che pochi conoscono, ma che quando fa i reading riempie le sale di gente. Questo poeta è Guido Catalano, torinese d’origine, che quando aveva diciassette anni ha scelto di diventare una rockstar e, da un certo punto di vista, oggi, che di anni ne ha quarantacinque, ci è riuscito (anche se non nel senso classico del termine).
Nella mia esperienza di spettatrice, i film francesi, di solito, sono o molto seri o molto poco seri (e in senso buono in entrambi i casi, sempre secondo il mio punto di vista). La loi de la jungle appartiene alla seconda categoria, non solo perché è una divertentissima commedia screwball (e non solo), ma anche perché assume toni fortemente parodistici e satirici verso un mondo, quello delle norme politiche ed economiche europee, estremamente burocratizzato, assurdo e folle, che non ha alcun contatto con la realtà.