Animali Selvatici – l’ultimo lungometraggio del cineasta romeno Cristian Mungiu, presentato in concorso al Festival di Cannes del 2022 – si apre con un’apparente e spiazzante contraddizione: nessun titolo di testa, nessun preambolo; solo una delle inquadrature a macchina fissa a cui ci ha tanto abituati nelle sue pellicole precedenti, che si focalizza su un bambino che esce di casa per andare a scuola. Dopo uno stacco di montaggio, la macchina da presa segue di spalle il bambino mentre attraversa il bosco dietro casa: lo sorpassa e si immobilizza nel momento in cui si ferma anche il bambino, il cui sguardo si è posato su qualcosa fuoricampo tra i rami alti degli alberi. Stacco al nero, cominciano a scorrere i titoli di testa. Più che in medias res, si dovrebbe parlare in questo caso di un incipit in medium nullum.
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“LEONORA ADDIO” DI PAOLO TAVIANI
1946. All’indomani della Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo, una nicchia del cimitero del Verano a Roma viene aperta per estrarvi un’urna funeraria. Le ceneri in essa contenute sono del drammaturgo e romanziere Luigi Pirandello, che da dieci anni attendono di essere spostate nell’agrigentino, luogo di nascita dello scrittore. A un modesto impiegato comunale (Fabrizio Ferracane) viene affidato l’ingrato compito di affrontare il viaggio da Roma alla Sicilia per dar loro finalmente degna sepoltura.
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Una figura si aggira per i casinò d’America: una figura spesso vestita di nero o di grigio, un autentico pugno in un occhio se messa a contatto con le luci sgargianti delle slot machines; una figura dallo sguardo tagliente, profondo e impenetrabile; una figura che, soprattutto, vince sempre al tavolo del Black Jack, non somme grosse, ma comunque discrete; un uomo (Oscar Isaac) che si fa chiamare William Tell, un nome troppo “grosso” rispetto al suo modo di fare geometrico e schivo. E che tuttavia ha attirato degli sguardi su di lui: quello di una “agente” di giocatori d’azzardo (Tiffany Haddish), che lo vorrebbe nella sua scuderia; e quello di un ragazzo, Cirk (Tye Sheridan), che vorrebbe assoldarlo per una missione che affonda le mani proprio nel suo passato, un passato che William farebbe di tutto pur di sotterrare.
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Mumbai, 2006. Sharad (Aditya Modak), giovane aspirante performer di gaar (canti popolari indiani di argomento sacro), cerca di emergere nel mondo della musica seguendo le orme del padre, un musicista che non è mai riuscito a “sfondare” ma che sin da piccolo lo ha instradato alla cultura musicale locale, e del suo guru, un tempo una celebrità dell’ambiente ma ormai sul viale del tramonto. Il cammino di Sharad è tuttavia ostacolato da vari fattori esterni (concorsi canori che non vanno mai come dovrebbero, scarsi apprezzamenti del pubblico in rete) che lo portano a dubitare delle sue capacità e dello stesso ruolo degli inni sacri in un Paese sempre più orientato verso la modernità. Tuttavia, nel corso degli anni, tra alti e bassi, capirà presto quale sia il suo posto nel variegato mondo della musica.
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Ila, Ija: è solo una lettera a differenziare i nomi delle protagoniste dei due film realizzati dal regista Kantemir Balagov. I nomi di due donne separate da più di cinquant’anni di storia, e che eppure sono legate: da un lato, Ila – protagonista di Tesnota– la ragazza ebrea che si atteggia da maschiaccio e lavora come meccanico; dall’altro, Ija, o Dylda (=“giraffa”), come la chiamano tutti, l’altissima infermiera che viene colta da improvvise crisi epilettiche che la isolano totalmente dal mondo circostante. Due donne, dunque, che vivono all’insegna della diversità, ma che vivono anche due diversi momenti della storia della Russia: da un lato, quello dell’entrata in guerra del Paese contro la Cecenia, che è dove troviamo Ila; dall’altro, quello dell’inverno del 1945 a Leningrado, dove invece c’è Ija. Da un lato la crisi del colosso sovietico e, dall’altro, la sua nascita. E, in mezzo allo spettro, due donne chiamate ad affrontare la sfida della maternità.
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Article by: Alessandro Pomati
Translated by: Selene Novaro Mascarello
Ila, Ija: the names of the protagonists of two of director Kantemir Balagov’s films are separated only by one letter. Two women divided by fifty years of history and yet somehow connected: on the one hand, Ila, the protagonist of Tesnota, a young Jewish woman who acts like a tomboy and works as a mechanic; on the other hand, Ija, or Dylda (“beanpole”), as everyone calls her, a slender nurse who suffers from sudden epileptic seizures which completely isolate her from the real world. Two women whose lives are similarly marked by diversity, in spite of their living during two different periods of the history of Russia: for Ila, the start of the war between Russia and Chechnya; as for Ija, winter 1945 in Leningrad. On the one hand, the crumbling of the Soviet Union, on the other hand, its origins. And, at the two opposite ends of the spectrum, two women grappling with motherhood.
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Il pregio di Unthinkable, blockbuster a basso costo ambientato nella Svezia contemporanea, prodotto dal collettivo Crazy Pictures con un finanziamento di soli 1,8 milioni di euro – di cui la metà raccolti in crowdfunding -, sta proprio nella resa spettacolare nonostante la scarsità di mezzi. Peccato che la grande padronanza tecnica non possa correggere le incongruenze di una sceneggiatura difettosa e a tratti involontariamente grottesca. Continua la lettura di “UNTHINKABLE” DI CRAZY PICTURES