“HOCHWALD” BY EVI ROMEN

Article by Cristina Danini

Translated by Nadia Tordera

To die is not difficult. Difficult is the life of those who remain, after death has passed in front of them; and Mario learned this in the hard way..

Mario (the very young Thomas Prenn) is young and handsome and he loves to dance. But Mario is not Lenz (Noah Saavedra), the young promise of the country, even more beautiful and talented than him. Mario survived so he will be asked to the bitter end why he is not the one who died in place of Lenz, victim of an attack in Rome.

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“HOCHWALD” DI EVI ROMEN

Il difficile non è morire. Difficile è la vita di chi resta, dopo che la morte gli è passata davanti; e questo, Mario l’ha imparato a sue spese.

Mario (il giovanissimo Thomas Prenn) è bello, giovane, ama danzare. Mario però non è Lenz (Noah Saavedra), la giovane promessa del paese, ancora più bello, ancora più talentuoso. Mario è sopravvissuto e gli verrà domandato ad oltranza perché non è lui ad essere morto al posto di Lenz, vittima di un attentato a Roma.

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JULY RAIN” BY MARLEN KHUTSIEV – “A GEORGIAN TOAST” BY GIULIANO FRATINI

Article by Luca Giardino

Translated by Paola Macchiarella

« There’s nothing mystic [in my cinema], please, try to understand. It is only about remembrance, preserving other people’s memory and knowing what to do with the past. »..

These words reveal the unpretentiousness of a great artist who has a clear aim: to use images to sculpt an irreversibly transformed world. The camera is the most suitable instrument for analysing the life of a country which is slowly forgetting about its recent past and starting to rediscover the joy of ancient times: an archaic love for life which regains its space on the movie film. Marcel Khutsiev, main director of the “new wave” developed in the Soviet Union following Stalin’s death, revives in the Back To Life section of the Torino Film Festival with his 1967 feature film Iyulskiy dozhd (July Rain).

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“JULY RAIN” DI MARLEN KHUTSIEV – “UN BRINDISI GEORGIANO” DI GIULIANO FRATINI

«Non c’è nulla di mistico [nel mio cinema], capitemi, ha semplicemente a che fare con la memoria, con la conservazione della memoria degli altri e cosa fare con il passato».

Queste parole rivelano la modestia di un grande artista nell’inseguire un obiettivo preciso: scolpire con le immagini un mondo ormai irreversibilmente trasformato. La cinepresa si rivela essere lo strumento perfetto per scrutare la vita di un paese che, a piccoli passi, dimentica il suo recente passato e comincia a riscoprire le gioie di tempi ben più lontani: un arcaico amore per l’esistenza che ritrova spazio sulla pellicola cinematografica. Marcel Khutsiev, regista di punta di quella “nuova onda” nata in Unione Sovietica dopo la morte di Stalin, rivive a sua volta sugli schermi del Torino Film Festival nella sezione “Back to Life” con il suo lungometraggio Iyulskiy dozhd (July Rain) del 1967.

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“DEAR WERNER (WALKING ON CINEMA)” BY PABLO MAQUEDA

Article by Sirio Alessio Giuliani

Translated by Simona Sucato

During the winter of 1974, Werner Herzog travelled on foot from Munich to Paris to save his friend and mentor’s life, the film critic Lotte Eisner, who is critically ill. A symbolic act of love that the director told in the book Of Walking on Ice(Sentieri nel ghiaccio). In this documentary, presented out of competition in the section TFF Doc Paesaggio of 38° Torino Film Festival, Pablo Maqueda takes its cue from Herzog’s writing and retraces its steps in a journey halfway between the travelogue and the bildungsroman, which becomes an opportunity to reflect on the meaning of making cinema today.

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“DEAR WERNER (WALKING ON CINEMA)” DI PABLO MAQUEDA

Nell’inverno del 1974, Werner Herzog viaggiò a piedi da Monaco di Baviera a Parigi per salvare la vita della sua amica e mentore, la critica cinematografica Lotte Eisner, gravemente malata. Un simbolico atto d’amore che il regista raccontò nel libro Sentieri nel ghiaccio (Of Walking on Ice). In questo documentario, presentato fuori concorso nella sezione TFF Doc Paesaggio del 38° Torino Film Festival, Pablo Maqueda prende spunto dallo scritto di Herzog e ne ripercorre le tappe in un cammino a metà tra il travelogue e il romanzo di formazione, che diventa occasione per riflettere sul senso del fare cinema oggi.

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“MAPPING LESSONS” BY PHILIP RIZK

Article by Arianna Vietina

Translated by Sofia Barbera

A line, a cut, a shot. These are the means used by director Philip Rizk for his ambitious project to tell the long and complex history of colonialism and its consequences that keep tormenting the most fragile territories, which now lack sustenance and are left in chaos. A fate they share with America which was conquered by cowboys, and Syria nowadays.

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“MAPPING LESSONS” DI PHILIP RIZK

Una linea, un taglio, un’inquadratura. Questi sono gli strumenti usati dal regista Philip Rizk per tracciare il suo ambizioso percorso di ricostruzione della lunga e complessa storia del colonialismo e delle sue conseguenze che continuano a tormentare i territori più fragili, rimasti privi di sostentamento e in balia del caos. Una sorte condivisa dall’America conquistata dai cowboy fino alla Siria dei giorni nostri.

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“BREEDER” BY JENS DAHL

Article by Giacomo Bona

Translated by Nadia Tordera

In a former sugar factory that has been converted into laboratories for experimenting therapies capable of stopping aging, Dr. Ruben (Signe Egholm Olsen) conducts her experiments, financially supported by Thomas (Anders Heinrichsen). The theories of the doctor, specifically a veterinarian, allow her to soon find an effective cure only for men. However, therapy for women is not so immediate and requires additional research, which is performed on human guinea pigs – including Mia (Sara Hjort Ditlevsen), Thomas’s wife – who are kidnapped by Ruben’s two male assistants, the Dog and the Pig.

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“BREEDER” di JENS DAHL

In un’ex fabbrica di zucchero riadattata a laboratorio per la sperimentazione di terapie in grado di fermare l’invecchiamento, la dottoressa Ruben (Signe Egholm Olsen) conduce i suoi esperimenti, supportata finanziariamente da Thomas (Anders Heinrichsen). Le teorie della dottoressa, nello specifico una veterinaria, le consentono di trovare presto una cura efficace solo per gli uomini. La terapia per le donne, invece, non è così immediata e richiede ricerche supplementari, che vengono eseguite su cavie – tra le quali anche Mia (Sara Hjort Ditlevsen), moglie di Thomas – che vengono rapite dai due assistenti uomini di Ruben, il Cane e il Maiale.

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MASTERCLASS. “SPEDIZIONE TORINESE” CON ALEKSANDR SOKUROV E I SUOI ALLIEVI

La seconda Masterclass del 38° Torino Film Festival si è svolta domenica 22 novembre e ha ospitato il regista Aleksandr Sokurov e i suoi allievi dell’Università Statale di San Pietroburgo. Come precisato da Alena Shumakova, curatrice dell’incontro, il maestro Sokurov non ha bisogno di molte presentazioni: autore di documentari, elegie e film innovativi (fra i tanti, Arca russa, 2002), è uno dei più importanti registi russi. In questa sede, comunque, Sokurov ha preferito dare rilievo alla sua attività didattica, lasciando spazio al dialogo tra i suoi studenti e quelli dell’Università e del Politecnico di Torino. Questi ultimi, infatti, hanno potuto visionare in anteprima Il tempo degli inizi (2020), l’insieme di cortometraggi realizzati dagli allievi russi. In merito a queste opere, il maestro ha precisato che nel suo percorso di docente cerca sempre di non influenzare gli studenti con la sua personale visione di cinema; ogni studente presenta caratteristiche e influenze diverse, che vanno coltivate e preservate. Gli studenti a loro volta hanno confermato questo modus operandi: il maestro apre orizzonti di possibilità, senza mostrare esempi concreti. 

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“THE LAST HILLBILLY” BY DIANE SARA BOUZGARROU AND THOMAS JENKOE

Article by Roberto Guida

Translated by Paola Macchiarella

In the heart of the Appalachian Mountains, at an altitude of about three hundred meters, there is Talcum, a small, independent village. Brian Ritchie and his family have been living for decades here, where there used to be mines. They have seen the development of economic decline, environmental decay and social violence. Local people are called hillbillies, which means yokels, rednecks, a name that has become their identity. Among them, there’s Brian himself, who lives trapped between a mythical past and a future with no perspectives. He is one of the last witnesses of an endangered world, which serves as the inspiration for this poetry.

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“THE LAST HILLBILLY” DI DIANE SARA BOUZGARROU E THOMAS JENKOE

Nel cuore degli Appalachi, a circa trecento metro di altezza sorge Talcum, un piccolo insediamento indipendente dall’amministrazione locale. Brian Ritchie e la sua famiglia vivono da decenni in questa zona, un tempo terra di miniere. Hanno visto svilupparsi un mix esplosivo di declino economico, disastro ecologico e violenza sociale. Li chiamano hillbillies, cioè bifolchi, zotici montanari, un insulto diventato per molti un segno identitario. Tra questi lo stesso Brian, che vive intrappolato tra un passato mitico e un futuro senza prospettive. È uno degli ultimi testimoni di un mondo in estinzione che, proprio per questo, ispira la sua poesia.

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ITALIANA.CORTI

Article by Andrea Bruno

Translated by Nadia Tordera

Divided into two separate programs of about one hour each, there are eight films that make up the competitive ITALIANA.CORTI section of the 38th Torino Film Festival. The variety of gazes is remarkable but perhaps there is a common thread that unites them and that must be sought in the attention that almost all directors turn to intimate and everyday stories, often able to rise, sometimes unexpectedly, towards the territories of epic. Above all they share a lively linguistic research which usually uses archival material, found footage, Super 8, or collage in the almost desperate experimentation of new expressive solutions.

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ITALIANA.CORTI

Ripartiti in due programmi distinti di circa un’ora ciascuno, sono otto i film che compongono la sezione competitiva ITALIANA.CORTI del 38° Torino Film Festival. La varietà di sguardi è notevole, ma forse c’è un filo rosso che li unisce e che va ricercato nell’attenzione che quasi tutti i registi rivolgono a storie intime e quotidiane, spesso capaci di elevarsi, talora inaspettatamente, verso i territori dell’epica. Soprattutto, li accomuna una vivace ricerca linguistica, che nella sperimentazione quasi disperata di nuove soluzioni espressive ricorre in molti casi al materiale d’archivio, al found footage, al Super 8, al collage.

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“CAMP DE MACI” by EUGEN JEBELEANU

Article by Carola Capello

Translated by Paola Macchiarella

First work of the director Eugen Jebeleanu, Camp de Maci is inspired by a real event happened in 2013 in Bucarest, when a group of homophobic demonstrators interrupted some LGBTQ+ film screenings.

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“CAMP DE MACI” DI EUGEN JEBELEANU

Diretto da Eugen Jebeleanu (al suo esordio cinematografico), Camp de Maci prende ispirazione da un evento realmente accaduto a Bucarest, nel 2013, quando alcune proiezioni di film LGBTQ+ vennero interrotte da gruppi di manifestanti omofobi.

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“CLEANERS” By GLENN BARIT

Article by Fabio Bertolotto

Translated by Nadia Tordera

The “cleaners” to which the title refers are a group of eight students from a strict Catholic school in the Philippines. They are defined in this way because they are the protagonists of four stories in which they are forced to respect obtuse educational rules that require them to be clean and correct at all costs. Cleaners also describes the pressures that young people experience from a world that is dirty and superficial.

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“CLEANERS” DI GLENN BARIT

Gli “addetti alle pulizie”, a cui fa riferimento il titolo, sono un gruppo di otto studenti e studentesse di una rigida scuola cattolica delle Filippine. Vengono definiti così perché sono protagonisti di quattro vicende in cui sono costretti a rispettare ottuse regole educative che impongono di essere puliti e corretti a tutti i costi. Cleaners descrive anche le pressioni che i ragazzi subiscono da un mondo che invece è sporco e superficiale.

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“REGINA” BY ALESSANDRO GRANDE

Article by Marco Ghironi

Translated by Francesca Cozzitorto

Regina, the only Italian film in competition at the Turin Film Festival 2020, is Alessandro Grande’s first feature film.

The director’s long experience with the short film form explains the mastery of the story-telling in a more extended time, without ever losing the viewer’s attention. A whirlwind of music, glances, silences and lies converge in a real coming-of-age story. The protagonists are the young Regina (Ginevra Francesconi) and her father Luigi (Francesco Montanari), who are committed to helping his daughter fulfill the dream of becoming a singer in every possible way. He had the same dream but he had to give up on it after his wife passed away. However, everything changes when an unforeseen event disrupts their lives.

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Il magazine delle studentesse e degli studenti del Dams/Cam di Torino