“SUR L’ADAMANT” DI NICHOLAS PHILIBERT

A Parigi, nel mezzo della Senna, l’Adamant, un singolare centro psichiatrico diurno costruito su una struttura galleggiante diventa teatro delle attività di arteterapia più disparate, animate da operatori sanitari aperti al dialogo e da pazienti consapevoli sia dei loro disturbi sia degli effetti benefici di questa esperienza. Sur l’Adamant di Nicholas Philibert, Orso d’oro della 73esima Berlinale, è il tentativo di mostrare una via che si oppone al deterioramento e alla disumanizzazione della psichiatria, emblematici di un mondo che pensa solo all’efficienza economica anche nel settore sanitario.

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“DOR (LONGING)” DI JANNES CALLENS

Afflitto da una ricerca senza meta, il protagonista di DOR (Longing), il belga-rumeno Stefan Gota, ritorna nella sua terra d’origine – nei paesaggi bucolici della Romania – per tentare così di trovare la risposta giusta tra le “infinite che ci sono”. Il regista Jannes Callens, tuttavia, si trattiene dal dichiarare quale sia il senso scovato dal giovane, estendendo alle immagini l’atmosfera di sospensione e di desiderio – da cui il nome del mediometraggio – che concretizza gli affetti del protagonista.

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“THE GAMER” DI JESSE JOKINEN E PETRI LUUKKAINEN

Il grande schermo ha da sempre dedicato attenzione allo spietato mondo dell’agonismo fisico e sportivo più tradizionale e, tra le opere recenti, possiamo ricordate Il cigno nero (Black Swan, 2010) di Darren Aronofsky oppure Tonya (I, Tonya, 2017) di Craig Gillespie. Negli ultimi anni l’interesse verso la competizione sportiva ha cominciato a includere categorie “anomale”, come ad esempio gli e-sports. In Italia un significativo passo avanti nella rappresentazione di questo mondo è stato fatto dal documentario Game of The Year del 2021 diretto da Alessandro Redaelli, forse il primo vero appassionato tributo al panorama videoludico nostrano.

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“GORGONA” DI ANTONIO TIBALDI

Quotidianità e lavoro. Due entità inseparabili nella casa di reclusione di Gorgona, un’isola-carcere a diciannove miglia di distanza dalle coste della Toscana. Un penitenziario concepito come colonia agricola. Un luogo dove culture, religioni, politica e musica s’incontrano senza scontrarsi. Uno spazio distante dal mondo reale. Un territorio dove addirittura i giornalisti perdono le coordinate del loro mestiere e a tratti si comportano come se stessero assistendo a uno spettacolo esotico da scoprire e da ammirare più che da analizzare con raziocinio.

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“NEXT SOHEE” DI JULY JUNG

Che la Corea del Sud abbia un crescente problema con il lavoro è risaputo – lo testimonia il recente tentativo da parte del governo di aumentare le ore settimanali di lavoro da 52 a 69. Eppure la ‘palma’ della nazione più workaholic, almeno agli occhi del mondo occidentale, spetta ormai da decenni ai giapponesi. È proprio questo vuoto rappresentativo – in minima parte affrontato dai k-dramas esportati in tutto il mondo – che July Jung cerca di colmare con il suo secondo lungometraggio Next Sohee, presentato durante la Semaine de la critique del 75esimo Festival di Cannes, e ora film d’apertura della quarta edizione dei Job Film Days. Un film che ne contiene due, i quali non si oppongono l’uno all’altro ma cooperano per raggiungere la radice del problema, evitando di fermarsi sbrigativamente al primo e più superficiale colpevole.

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“THE VISITORS” DI VERONIKA LIŠKOVÁ

In The Visitors la regista Veronika Lišková si interroga su quale possa essere l’impatto delle scienze sociali sulla comunità, seguendo il lavoro svolto dalla sociologa (e amica) Zdenka nel suo progetto di analisi dei mutamenti sociali causati dai cambiamenti climatici nelle isole norvegesi Svalbard (nel circolo polare artico). Il film, in concorso nella sezione lungometraggi del Job Film Days, nonostante il nobile intento, fatica nella costruzione narrativa, perdendosi nei fili tematici che non vengono mai esaustivamente intrecciati tra di loro e smarrendosi nel tentativo di mostrare in che termini le scienze sociali possano essere uno strumento risolutivo per la crisi di una comunità. 

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“ENTRE LES MURS” DI LAURENT CANTET

Vincitore della Palma d’oro come miglior film al 61esimo Festival di Cannes nel 2008, Entre les murs di Laurent Cantet è uno dei film che la quarta edizione di Job Film Days sceglie per omaggiare Laurent Cantet e al contempo per dare spazio al lavoro dell’insegnamento e alla scuola, luogo privilegiato per osservare da vicino le sfide di una società sempre più complessa. François Marin, interpretato da François Bégaudeau, l’autore dell’omonimo romanzo semi-autobiografico da cui è tratto il film, fa l’insegnante di lettere in una scuola secondaria nella periferia di Parigi. Come gli altri insegnanti della scuola, ogni giorno deve fare i conti con una classe piuttosto difficile: le sue lezioni vengono spesso interrotte da battute, commenti e provocazioni che, seppur fuori luogo, non mancano di sottolineare il divario che lo separa dai suoi allievi, perlopiù immigrati di prima o di seconda generazione. Il film segue le vicende di François e della sua classe durante tutto l’anno scolastico, tra litigi, incomprensioni e difficoltà d’ogni genere. 

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“IO CAPITANO” DI MATTEO GARRONE

Un planisfero con un enorme spazio bianco al suo interno: è questa la superficie su cui scorre il titolo dell’ultimo film di Matteo Garrone, Io capitano, vincitore del Leone d’argento per la regia all’ultima Mostra del cinema di Venezia. Un’immagine eloquente, che incarna l’idea di un’assenza di confini, di limiti. Eppure un limite i due protagonisti della storia, i cugini sedicenni Seydou (Seydou Sarr, insignito del premio Mastroianni come attore emergente) e Moussa (Moustapha Fall) ce l’hanno davanti ogni giorno: quello rappresentato dalla loro città natale, Dakar. I due sognano di lasciarla e di partire per fare fortuna in Europa. Senza dire niente alle proprie famiglie e dopo aver raccolto i soldi necessari, intraprendono una traversata che dal Senegal li porterà alle coste dell’Italia; ma non sarà un viaggio privo di difficoltà.

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“JEANNE DU BARRY” DI MAïWENN

Inaugurata lunedì 17 luglio e in programma fino a fine mese, la Rassegna Cannes mon Amour propone un’ampia selezione di film dell’ultimo festival di Cannes in alcuni cinema di Roma, Milano, Torino, Bologna e Firenze. La prima serata è stata inaugurata dal film che ha aperto la 76° edizione del festival di Cannes, Jeanne du Barry, storia di una cortigiana di umili origini che si aggiudicò il titolo di ultima favorita del Re di Francia Luigi XV.

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“ANIMALI SELVATICI” DI CRISTIAN MUNGIU

Animali Selvatici – l’ultimo lungometraggio del cineasta romeno Cristian Mungiu, presentato in concorso al Festival di Cannes del 2022 – si apre con un’apparente e spiazzante contraddizione: nessun titolo di testa, nessun preambolo; solo una delle inquadrature a macchina fissa a cui ci ha tanto abituati nelle sue pellicole precedenti, che si focalizza su un bambino che esce di casa per andare a scuola. Dopo uno stacco di montaggio, la macchina da presa segue di spalle il bambino mentre attraversa il bosco dietro casa: lo sorpassa e si immobilizza nel momento in cui si ferma anche il bambino, il cui sguardo si è posato su qualcosa fuoricampo tra i rami alti degli alberi. Stacco al nero, cominciano a scorrere i titoli di testa. Più che in medias res, si dovrebbe parlare in questo caso di un incipit in medium nullum.

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“RAPITO” DI MARCO BELLOCCHIO

Alla fine è tutto nello sguardo, sembra volerci dire Marco Bellocchio già nei poster e nelle locandine promozionali del suo ultimo film, Rapito, presentato in concorso alla 76sima edizione del Festival di Cannes. Lo sguardo del piccolo Edgardo Mortara (Enea Sala) – sestogenito di una famiglia bolognese ebrea prelevato nel 1858 dall’autorità pontificia perché segretamente battezzato e tradotto a Roma – rivolto verso noi spettatori mentre viene tenuto in braccio da papa Pio IX. Ed è proprio il suo sguardo il cuore del racconto: lo sguardo di un bambino che viene strappato a sei anni dalla sua casa, che del mondo non sa nulla. Specialmente del mondo cristiano. I suoi occhi si soffermano sulle immagini di Cristo, sulle icone che gli vengono continuamente messe sotto agli occhi per trasmettergli più efficacemente la “vera” fede. E l’operazione di conversione infine riesce, tant’è che Mortara avrebbe vissuto il resto dei suoi giorni da missionario.

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“ALL THE COLOURS OF THE WORLD ARE BETWEEN BLACK AND WHITE” DI BABATUNDE APALOWO

If it feels this good, it must be right.

Vincitore del Teddy Award 2023, All the Colours of the World are between Black and White è il primo film a tematica LGBTQ+ ad essere realizzato in Nigeria, paese in cui l’omosessualità può costare fino a 14 anni di carcere. Bambino lavora come rider e, quando non è in sella alla sua moto, si rilassa a casa, tra le attenzioni non corrisposte della bella Ifeyinwa e le litigate dei vicini in piena crisi matrimoniale. Sarà Bawa, proprietario di un negozio di scommesse con la passione per la fotografia, a rompere gli schemi della sua vita così tranquilla.

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“ARRÊTE AVEC TES MENSONGES” DI OLIVIER PEYON

“I migliori adattamenti sono i migliori tradimenti”: con queste parole Philippe Besson, autore del romanzo Arrête avec tes mensonges, si rivolge ad Olivier Peyon, regista dell’omonimo film in concorso alla 38esima edizione del Lovers Film Festival. Un racconto a ritroso che ripercorre il primo amore del protagonista Stéphane, uno scrittore di successo ritornato al paese di origine. L’incontro con Lucas, il figlio del suo amato, risveglierà in lui i ricordi di un amore segreto, per anni tenuto in vita dai suoi racconti di finzione.

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“UN BEL MATTINO” DI MIA HANSEN-LØVE   

Parigi, oggi. Sandra (Léa Seydoux) è una traduttrice e interprete vedova da cinque anni con una figlia piccola a carico, che si ritrova a fare i conti con la malattia degenerativa del padre (Pascal Greggory), ex professore universitario di filosofia, una situazione familiare turbolenta e una relazione extraconiugale con un amico di vecchia data, Clément (Melvil Poupaud). Il tutto avrà un forte impatto su di lei e sul suo modo di vivere e la spingerà a osservare il mondo da un’altra prospettiva.

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“LA HIJA DE TODAS LAS RABIAS” di LAURA BAUMEISTER

L’esordio alla regia di Laura Baumeister, in concorso alla 40esima edizione del Torino Film Festival, narra una storia crudele e dolorosa, in grado di unificare l’oppressione di cui è vittima il suo paese d’origine, il Nicaragua, con i soprusi ai quali la piccola Maria (l’energica e pensierosa Ara Alejandra Medal) è costretta a sottostare.

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“EO” DI JERZY SKOLIMOWSKI

Sono due le principali direttrici che si possono individuare quando si tratta di rappresentare gli animali al cinema: quella che li vede come soggetti emotivi familiari e rassicuranti, capaci di far commuovere e identificare lo spettatore, e quella che sottolinea la distanza e la qualità aliena del loro sguardo indecifrabile, che interroga e mette in crisi il punto di vista umano sul reale.

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“PARLAMI D’AMORE” DI DANIELE DI BIASIO E ADELMO TOGLIANI

Questa è “una storia che sa di tram che dalle borgate ti portano a Cinecittà per fare la comparsa”: la storia tutta italiana di un talento internazionale. Scritto e diretto da Adelmo Togliani e Daniele Di Biasio, Parlami d’amore ripercorre la carriera di Achille Togliani, cantante dalla voce di velluto e uomo bellissimo, un artista che, dalle riviste alle sale da ballo, ha accompagnato l’Italia nel dopoguerra e non l’ha lasciata più. Dopo aver lavorato come comparsa, iniziò la sua carriera di “idolo romantico” con i fotoromanzi al fianco di Sophia Loren, all’epoca Sofia Lazzaro, diventandone il fidanzato e riempiendo così  le pagine della cronaca rosa.

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“IL CRISTO IN GOLA” DI ANTONIO REZZA

“Il Cristo in gola”, ultimo film di Antonio Rezza, completato diciott’anni dopo l’inizio della lavorazione, occasionalmente senza l’ausilio della sua storica partner teatrale Flavia Mastrella, è l’ennesima conferma della sua incredibile capacità di modellare il cinema alle sue esigenze performative, e mai viceversa. La scelta di utilizzare il linguaggio delle immagini per mettere in scena la sua particolarissima versione di Cristo, risulta evidente sin dall’inizio: la precisione, quasi filologica, con il quale l’attore originario di Novara traspone “Il vangelo secondo Matteo” di Pasolini viene squarciata dall’arrivo in scena dello stesso Rezza, creando una spaccatura insanabile tra questa e le precedenti rappresentazioni del figlio di Dio.

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“WHERE IS THIS STREET? OR WITH NO BEFORE AND AFTER” DI JOÃO PEDRO RODRIGUES E JOÃO RUI GUERRA DA MATA

“Per ricordare quel che è passato, andiamo piano, non c’è fretta”, canta Isabel Ruth ripercorrendo i passi di Ilda, personaggio che interpretò quasi sessant’anni fa nell’opera prima di Paulo Rocha, I verdi anni (1963). L’architettura narrativa di quest’ultima viene esplicitamente adottata dai due registi, João Pedro Rodrigues e João Rui Guerra da Mata, come partitura per la loro ballade per i quartieri di una Lisbona ormai globalizzata e gentrificata.

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“RUNNER” DI MARIAN MATHIAS

Campi sterminati, cieli lividi, vento che soffia impietoso: questo il paesaggio di Runner di Marian Mathias, crudo dramma sociale che racconta la scoperta dell’amore nell’immutabilità del Midwest americano. La storia di Haas, una sorta di Dorothy contemporanea che, come la protagonista de Il mago di Oz, viene colpita da un “ciclone” che la mette in viaggio: la scomparsa del padre e il pignoramento della casa. Partita alla volta dell’Illinois per soddisfare le ultime volontà del defunto, torna con la consapevolezza di poter scegliere del proprio destino.

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Il magazine delle studentesse e degli studenti del Dams/Cam di Torino