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“MARTYRS” DI PASCAL LAUGIER

Il 23° TOHorror Fantastic Film Fest omaggia i 15 anni di uno degli horror più violenti e divisivi degli anni 2000, un vero e proprio punto di non ritorno per la New French Extremity. Un anniversario non casuale quello dei quindici anni, che crea uno strano cortocircuito con il tempo della narrazione del film. Diviso in tre parti, tre tappe diseguali e in una certa misura incongrue stilisticamente (un prologo ambientato quindici anni prima fatto di traumi infantili e indagini della polizia, una seconda parte da revenge movie al femminile, una terza che vive senza la protagonista e si espande fino a toccare il misticismo e la filosofia), Martyrs è una riflessione complessa sul (non)senso delle sofferenze umane e – sorprendentemente – sull’amore.

Lucie è una bambina vittima di torture che viene ritrovata in strada dalla polizia. Nell’istituto in cui viene ospitata stringe un forte legame con Anna, che la sostiene durante le visioni e i flashback che la tormentano. Quindici anni dopo, Lucie riconosce i suoi aguzzini da una foto sul giornale e si reca a casa loro per vendicarsi. Anna la segue, ma non sa che la sua compagna rimarrà uccisa e inizierà per lei un calvario nelle grinfie di un’organizzazione disposta a tutto per scoprire che cosa può vedere dell’aldilà un essere umano sospeso fra la vita e la morte.

Ciò che continua ad affascinare di Martyrs è proprio il ruotare con prepotente insistenza teorica intorno al concetto di visione, alla sua potenza e alle sue infinite possibilità e al contempo alla sua totale, nichilista insensatezza. Il film stesso è un’orribile esperienza di visione al servizio del nulla, una sevizia gratuita che si concretizza plasticamente nell’ultima scena del film, con la negazione della rivelazione, dell’immagine che Anna è riuscita a portare indietro dall’estasi del martirio, la risposta ultima al senso della vita umana. “Rimanga nel dubbio”: è la beffa e l’invito finale, la consolazione paradossale che ci resta. Una frase lapidaria che riconsidera l’immaginazione contro il reame dell’occhio-certezza, l’abbandonarsi completamente alla vita, al flusso senza sosta della sofferenza, guidati solo dal filo di Arianna della nostra umanità (la voce di Lucie che sorregge Anna lungo le stazioni della croce, la musica dolce che Laugier sovrappone alle ultime scene di tortura). L’ultima cosa che lo spettatore vede è un super8 di Anna e Lucie bambine, quindici anni prima, che giocano nel parco dell’istituto. Un piccolo frammento estrapolato dal filmato di documentazione che la polizia mostra ad Anna all’inizio del film e che, risemantizzato negli attimi estremi del film, diventa la testimonianza intima di un aldilà illusorio ma sempre negato, come il cinema stesso.

Irma Benedetto