“HUESERA” DI MICHELLE GARZA CERVERA

“Huesera”, in spagnolo, indica la persona esperta nel trattamento delle malattie delle ossa e delle articolazioni. Il termine, però, designa anche La Donna delle Ossa, figura della mitologia messicana il cui compito è di radunare le ossa dei defunti, simbolo della forza vitale che non si consuma, e di pregare finché la carne non torna ad abitare quei resti, ricreando la vita da parti disgiunte. Le ossa di Valeria (Natalia Solián), in Huesera, scricchiolano continuamente, perché farsi scrocchiare le dita delle mani e le giunture della schiena è il modo con cui la protagonista prova (e non sempre riesce) a drenare fuori dal corpo il suo malessere, le sue frustrazioni, le sue inettitudini. A tormentare Valeria è la consapevolezza che sarà presto madre: una maternità apparentemente ricercata, ma intimamente non voluta.

In concorso nella sezione “Crazies”, il film d’esordio della regista messicana Michelle Garza Cervera indaga la condizione della donna e le aspettative culturali e sociali nei suoi confronti, in relazione all’obbligo morale della maternità. Valeria, dentro di sé, ha sempre avuto la certezza che non sarebbe stata una brava madre. Non vuole neanche esserlo, perché lei è e si sente un’artigiana: prova più amore per la culla, ideata dalla sua mente e concretizzata con le sue mani, che per la figlia. I suoi più reconditi desideri di fuga dai doveri che le sono stati imposti crollano a causa di pressioni dalla duplice natura. Da un lato, è schiacciata dalle pressioni esterne, della cultura religiosa, dei genitori e dei suoceri, rappresentati simbolicamente dalle immagini di tradizione iconografica della Vergine Maria – con cui la regista, a inizio film, tesse un sapiente gioco di dissolvenze incrociate. Dall’altro, alcune pressioni le gravano addosso per colpa sua: è lei a scegliere di abbandonare le proprie ambizioni, convinta che seguire la strada tracciata da altri sia la soluzione migliore. Il simbolo ricorrente di questa introspezione è il ragno, rappresentato in quanto madre e tessitrice, che con la propria tela reclude la protagonista nel suo ruolo prestabilito di genitrice, trasformando la casa in una prigione. Sono queste due metafore visive, la Madonna e il ragno, che gettano le fondamenta per la regia e la messa in scena di Garza Cervera, il cui intento è creare un gioco di rimandi in grado di condurre lo spettatore alla scoperta della psiche della protagonista.

La regista auspica, per le donne come per la protagonista, una vera e propria catarsi: il rituale affrontato da Valeria esorcizza le sue paure e le sue paranoie, emancipandola da un ruolo sociale che non le è mai appartenuto. È un processo doloroso, nel quale Valeria è costretta a bruciare una parte della propria coscienza a cui aveva dato ascolto a lungo, ma che le consente di avere la libertà da sempre agognata. E, infatti, quando trova il coraggio di partire, lo fa con la cassetta degli attrezzi.

Marta Faggi

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