It is impossible not to feel perplexed after seeing AmicheMai (2024) by Maurizio Nichetti, the director, screenwriter and actor best known for his surreal comedy, he returned to directing twenty-three years after his last film Honolulu Baby (2001) with a comedy on the road that sees two protagonists played by Angela Finocchiaro and Serra Yilmaz.
Impossibile non avere delle perplessità dopo aver visto AmicheMai (2024) di Maurizio Nichetti, regista, sceneggiatore, attore noto ai più per la sua comicità surreale, tornato alla regia dopo venti tre anni dal suo ultimo film Honolulu Baby (2001) con una commedia on the road che vede due protagoniste interpretate da Angela Finocchiaro e Serra Yilmaz.
Jenny (Emma Drogunova) and Bubbles (Paul Wollin) share a relationship where love and addiction are intertwined. Despite her pregnancy, Jenny cannot give up methamphetamine, which she uses daily with her partner. The situation is further precipitated when Jenny receives an order to execute a prison sentence, which forces her to report to a prison institution.
Jenny (Emma Drogunova) e Bolle (Paul Wollin) vivono una relazione in cui si intrecciano amore e dipendenza. Nonostante la gravidanza, Jenny non riesce a rinunciare alle metanfetamine, di cui fa uso quotidiano insieme al suo compagno. La situazione precipita ulteriormente quando Jenny riceve un ordine di esecuzione di una pena detentiva, che la obbliga a presentarsi in un istituto carcerario.
Premiered at the latest Toronto International Film Festival, The Assessment is set in a dystopian near future where humanity is the primary cause of the world’s destruction and the driving force behind the climate changes that have ravaged it. In response to this catastrophic situation, an extreme measure has been taken: the creation of a semi-dictatorial society, a fabricated paradise where every action is controlled, and individuals—deemed incapable of managing their freedom—are now confined by a dense web of constraints.
The story follows a couple (played by Himesh Patel and a surprising Elizabeth Olsen) who appear to enjoy an idyllic life in this regimented world, despite its bleak and impersonal atmosphere. Wide exterior shots reveal a barren landscape, and their futuristic villa exudes sterility, painted in the coldness of artificial colours. In this new, surreal, impersonal society, the couple wishes to have a child but must first pass an assessment: they are required to live with a woman (Alicia Vikander) who will evaluate their suitability to become parents.
The protagonists endure and overcome a series of trials that grow increasingly senseless and extreme. Set against an oppressive rhythm, the haunting soundtrack accompanies the couple through a spiral of madness, where free will is sacrificed in the name of a greater good and an ostensibly perfect society. Yet, one final choice remains: to continue living in an artificial world dominated by illusion and control, or to return to the scarred real world, but as free individuals.
Through its sci-fi lens, The Assessment tackles universal themes such as climate change and free will, while also addressing intimate and personal issues like motherhood. By drawing on genre conventions, it provokes thought and invites reflection on these pressing and timeless questions.
Presentato in anteprima all’ultimo Toronto International Film Festival, The Assessment è ambientato in un futuro distopico non troppo lontano, in cui l’umanità è la principale responsabile della distruzione del mondo e la causa dei mutamenti climatici che lo hanno devastato. A questa situazione catastrofica è stata trovata una soluzione estrema: la creazione di una società semi-dittatoriale, un paradiso fittizio in cui ogni gesto è controllato, e le persone, evidentemente incapaci di gestire la propria libertà, sono ora strette in una fitta rete di vincoli.
La coppia protagonista (interpretata da Himesh Patel e da un’atipica Elizabeth Olsen) sembra vivere felicemente in un mondo ideale, nonostante l’atmosfera sia desolante e anonima: i campi lunghi degli esterni mostrano un paesaggio arido e la loro futuristica villa è asettica, dipinta dalla freddezza di colori artificiali. In questa nuova società impersonale e surreale, la coppia vorrebbe avere un figlio, ma ha bisogno di superare un esame: convivere con una donna (Alicia Vikander) che verifichi l’adeguatezza dei due partner a diventare genitori.
I due protagonisti resistono e superano una serie di prove che diventano sempre più insensate ed estreme. Cadenzata da un ritmo angosciante, la colonna sonora accompagna la coppia in una spirale di follia, in cui il libero arbitrio è messo da parte in nome di un bene superiore e di una società apparentemente perfetta. Eppure, un’ultima scelta è ancora possibile: continuare a vivere in un mondo artificiale nel quale la finzione e il controllo sono padroni, oppure tornare nello sfregiato mondo reale, ma da uomini liberi.
Attraverso la fantascienza, The Assessment affronta temi universali come il cambiamento climatico e il libero arbitrio, ma anche questioni intime e private come la maternità, riuscendo così a ricorrere agli stilemi di genere per innescare un’interessante riflessione.
The American Dream is a central theme in American cinema. “Dreamers” manifest themselves in different forms: on the one hand, character groups, such as those of Martin Scorsese and Francis Ford Coppola, whose mafia gangs offer a stark depiction of the lust for wealth and success; on the other hand, lonely dreamers, individuals willing to go to any lengths to pursue great ideals. However, stories that reflect the American Dream outside United States’ borders are often overlooked, demonstrating how these universal aspirations transcend cultures and geographies. Moreover, there are narratives inspired by this theme that do not resort to exaggeration but achieve a sober and realistic balance.
And it is in the film The Black Sea that these dynamics become most prominent. The protagonist, Khalid, a young African American man with high ambitions, dissatisfied with his job at a bar in Brooklyn, decides to quit after being contacted by a Bulgarian woman on Facebook, who offers him ten thousand euros to spend time with her. However, upon his arrival in the Balkans, he discovers that the woman is deceased, thus initiating his financial exile in an unfamiliar land. Directors Derrick B. Harden and Crystal Moselle follow the journey of Khalid, played by Harden himself, as he tries to integrate into a foreign community, exploring themes of individual aspiration and loneliness, similar to those addressed by Kubrick in Barry Lyndon. The adjustment process in the small town bathed by the Black Sea, which the film’s title refers to, proves to be complex; Khalid must take any available job to survive. His situation has drastically changed: necessity now guides his choices. However, he develops a friendship with a Bulgarian woman, and together they manage to merge their ambitions; this will allow them to find a balance that will enable them to achieve their desired success without erupting into conclusions of ethical and moral decay.
L’American Dream è un tema centrale nel cinema americano. I “dreamers” si manifestano in diverse forme: da un lato, i gruppi di personaggi, come quelli di Martin Scorsese e Francis Ford Coppola, le cui gang mafiose offrono una rappresentazione cruda della brama di ricchezza e successo; dall’altro, i solitari sognatori, individui disposti a superare ogni limite per perseguire ideali grandiosi. Tuttavia, spesso si trascurano le storie che riflettono l’American Dream al di fuori dei confini statunitensi, dimostrando come queste aspirazioni universali trascendano culture e geografie. Inoltre, esistono narrazioni ispirate a questo tema che non ricorrono all’esagerazione, ma raggiungono un equilibrio sobrio e realistico.
Ed è proprio nel film The Black Sea che queste dinamiche si evidenziano con maggiore rilevanza. Il protagonista Khalid, un giovane afroamericano con grandi ambizioni, insoddisfatto del suo lavoro in un bar di Brooklyn, decide di licenziarsi dopo essere stato contattato da una donna bulgara su Facebook, che gli offre diecimila euro per trascorrere del tempo con lei. Tuttavia, scopre al suo arrivo in territorio balcanico, che la donna è deceduta, avviando così il suo esilio economico in terra sconosciuta. I registi Derrick B. Harden e Crystal Moselle seguono il percorso di Khalid, interpretato dallo stesso Harden, mentre cerca di integrarsi in una comunità estranea, esplorando temi di aspirazione individuale e solitudine, simili a quelli affrontati da Kubrick in Barry Lyndon. Il processo di adattamento nella cittadina bagnata dal Mar Nero, a cui si rifà il titolo del film, si rivela complesso; Khalid deve trovare qualsiasi lavoro disponibile per sopravvivere. La sua situazione è drasticamente cambiata: ora la necessità guida le sue scelte. Tuttavia, sviluppa un’amicizia con una donna bulgara e insieme riescono a fondere le loro ambizioni, questo permetterà loro un equilibrio che gli consentirà di realizzare il successo desiderato senza sfociare in conclusioni di disfacimento etico e morale.
The memory of Benedetto Croce’s last Christmas serves, in Pupi Avati’s film, as a pretext to illustrate the biography of one of the greatest key players of Italian history. From political depth to talent in studies, from the vocation for freedom to philosophical vision, the documentary – presented out of competition at the forty-second edition of the Turin Film Festival – opens up an original glimpse into the life of the Italian philosopher and senator.
Il ricordo dell’ultimo Natale vissuto da Benedetto Croce è, nel film di Pupi Avati, il pretesto per raccontare la biografia di uno dei più grandi protagonisti della Storia italiana. Dallo spessore politico al talento negli studi, dalla vocazione alla libertà alla visione filosofica, il documentario – presentato fuori concorso alla quarantaduesima edizione del Torino Film Festival – apre uno squarcio originale sulla vita del filosofo e senatore italiano.
The Kyiv of 1968, depicted by Stanislav Gurenko and Andrii Alf’erov in Dissident, is not a vibrant urban symphony like the avant-garde Berlin of Walter Ruttmann, but a grey, oppressive sprawl of streets and buildings constantly hit by a violent and unrelenting rain, a ghost of the Soviet Union that looms, heavy and suffocating, over the shoulders of the Ukrainian population. In the dissonant flow of a city in motion, the dreams, anxieties, and illusions of individuals abandoned to their fate intertwine, tormented by solitude and in perpetual conflict between a peaceful struggle for independence and a burning desire for rebellion.
La Kiev del 1968 rappresentata da Stanislav Gurenko e Andrii Alf’erov in Dissident non è una vitale sinfonia urbana come la Berlino avanguardista di Walter Ruttmann, ma un cinereo agglomerato di strade ed edifici costantemente colpiti da una pioggia violenta e incessante, spettro dell’Unione Sovietica che aleggia, oppressiva, sulle spalle del popolo ucraino. Nel flusso disarmonico di una città in movimento si intrecciano i sogni, le angosce e le illusioni di individui abbandonati a loro stessi, tormentati dalla solitudine e in perenne conflitto tra una pacifica lotta per l’indipendenza e un ardente desiderio di ribellione.
What is racism for you? Behind this simple question posed to elementary school’s children, centuries of discrimination and prejudices can hide, reiterated by the fear of the unknown, of what is unfamiliar or what, due to ignorance and dullness, one fears to know. However, the pure and innocent gaze of children tends to observe the world differently from adults, turning a frequently disappointing reality into the most imaginative and idyllic of fairy tales. It is precisely with the classic “once upon a time” that Julie Deply’s Les Barbares begins: a play, a ruthless farce around which twirl characters bordering on the surreal, grotesque masks of contemporary society.
Che cos’è secondo te il razzismo? Dietro una semplice domanda rivolta a dei bambini di una scuola elementare si possono nascondere secoli di discriminazioni e pregiudizi reiterati dalla paura dell’ignoto, di ciò che non si conosce o che, per ignoranza e ottusità, si teme di conoscere. Gli sguardi puri e innocenti dei bambini tendono tuttavia ad osservare il mondo in modo diverso rispetto agli adulti, trasformando una realtà spesso deludente nella più fantasiosa ed idilliaca delle favole. Ed è proprio con il classico “c’era una volta” che inizia Les Barbares di Julie Delpy: uno spettacolo teatrale, una farsa spietata attorno alla quale volteggiano dei personaggi al limite del surreale, maschere grottesche della società contemporanea.
A white corridor. A blinding, almost divine light. A choir of voices that seem to emanate from the beyond. Mario Balsamo introduces the Anemos hospice in Turin in his latest documentary, In ultimo—a concise yet poignant title that encapsulates the mission pursued with care and dedication by the hospice staff: guiding individuals toward understanding their illness and embracing that condition in which we all stand as equals. Every shot is overexposed and prolonged, a deliberate choice that transports the viewer into a suspended, timeless dimension entirely removed from ordinary reality.
Un corridoio bianco. Una luce accecante, quasi divina. Un coro di voci che sembrano provenire dall’aldilà. Mario Balsamo presenta così l’Anemos di Torino nel suo ultimo documentario, In ultimo, un titolo conciso ma efficace nel descrivere una missione che gli operatori dell’hospice perseguono con premura e dedizione: condurre le persone verso l’elaborazione della malattia e l’accettazione di quella condizione di fronte alla quale siamo tutti uguali. Tutte le inquadratura sono sovraesposte e prolungate, una scelta che trasporta lo spettatore in una dimensione sospesa, senza tempo e completamente estranea alla realtà ordinaria.
L’amore che ho (The love I’ve got) by Paolo Licata, presented at the 42nd Torino Film Festival, celebrates Rosa Balisteri, an emblematic voice of Sicily and a symbol of social struggle and resistance. The film, based on the novel of the same name by Luca Torregrossa – the singer’s nephew – goes beyond merely recounting her musical career, but it also fully explores her personal battles and the most private and painful moments of her life.
L’amore che ho di Paolo Licata, presentato al 42° Torino Film Festival, celebra la figura di Rosa Balistreri, voce emblematica della Sicilia e simbolo di lotta e resistenza sociale. Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Luca Torregrossa, nipote della cantante, non si limita al racconto della carriera musicale, ma esplora con intensità le battaglie personali e i momenti più intimi e dolorosi della sua vita.
On an ordinary day, Manca Košir explains to his family the secret of the enchanting cherry blossom: its beauty captivates the observer, but its brittleness and the passage of time make quickly fade that instant of wonder. The eternity of being is enclosed in the celebratory activity of life, day by day. Slovenian director Nina Blažin, who has experienced first-hand the loss of a loved one, feels close to the joyful and combative personality of the protagonist of The Silence of Life, filmed between 2019 and 2023.
A play on oppositions, or a lyrical oxymoron, seems to suggest the title of the film in competition in the international documentary section of the 42nd Turin Film Festival. The Silence of Life seems to tell us that silence is not always the only weapon available against the inevitability of death: stricken by throat cancer, Manca opposes this adverse destiny with specific speech exercises.
The camera probes and observes this woman who is as tenacious as she is aware of her condition. However, the documentary gaze is not ‘cooled down’ by the usual techniques of tailing and approaching, because it is Manca herself who makes the viewer live her story: despite the oppressive weight of time passing by, it is herself who inhabits the space with gestures and words and colours the atmosphere with her clothes (overall red, yellow and pink).
‘Death is part of our existence and we must take as such’. This is the indelible trace left by Manca Košir, then.
In un giorno come tanti, Manca Košir spiega alla sua famiglia il segreto dell’incantevole fiore del ciliegio: la sua bellezza cattura l’osservatore, ma la sua fragilità e lo scorrere del tempo fanno svanire velocemente quell’istante di meraviglia. L’eternità dell’essere, dunque, è conchiusa nell’attività celebrativa della vita, giorno dopo giorno. La regista slovena Nina Blažin, che ha vissuto in prima persona la perdita di una persona amata, si sente vicina alla personalità gioiosa e combattiva della protagonista di The Silence of Life, girato tra il 2019 e il 2023.
Un gioco di opposizioni, o un ossimoro lirico, sembra suggerire il titolo del film in concorso nella sezione documentari internazionali della 42ª edizione del Torino Film Festival. The Silence of Life sembra dirci che il silenzio non è sempre l’unica arma a disposizione contro l’inevitabilità della morte: colpita da un cancro alla gola, Manca contrasta questo destino avverso con specifici esercizi di pronuncia.
La macchina da presa indaga e osserva questa donna tanto tenace quanto più consapevole della sua condizione. Tuttavia, lo sguardo documentario non è “raffreddato” dalle consuete tecniche di pedinamento e di avvicinamento perché è Manca stessa a far vivere allo spettatore la propria storia: nonostante il peso opprimente del tempo che scorre, è lei ad abitare lo spazio con i gesti e le parole e a colorare l’ambiente con i suoi vestiti (predominano il rosso, il giallo e il rosa).
«La morte fa parte della nostra esistenza e dobbiamo prenderla come tale». Questa è dunque la traccia indelebile lasciata da Manca Košir.
Alessandra Sottini
Il magazine delle studentesse e degli studenti del Dams/Cam di Torino