Schermo nero, vento. Poi, un vociare umano, commisto a nitriti. In un polveroso e spartano ippodromo, una corsa di cavalli viene interrotta al suo acme, con un ricorso ad un freeze-frame. A chi spetti la vittoria, non è dato saperlo.
Ecco che U slavu ljubavi (In Praise of Love) ri-comincia per la prima volta. Di nuovo nero, di nuovo rumori ambientali: a sovrastare ogni cosa sono cinguettii e muggiti. La presenza umana, stavolta, non è contemplata nemmeno sul piano sonoro. Dalla natura, incontaminata, si passa ai corpi animali. Lunghe inquadrature statiche, ipnotizzate da deretani equini. Lo sguardo di Drakulić non sembra porsi come un punto di stazione privilegiato rispetto ad altri, ma come uno dei tanti possibili. Il mondo viene lasciato fluire nella sua spontaneità, in ogni suo respiro. Non importa se i soggetti antropomorfici abbandonano il campo. Non è questione di décadrages, o di sovvertire una qualche regola grammaticale. Si tratta piuttosto di non riconoscersi in un’organizzazione gerarchica del materiale audiovisivo. Tutto è ugualmente meritevole di attenzione, e Drakulić è capace di restituirci l’indecidibilità di un punto di vista.
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