26 novembre 1976 : I Sex Pistols pubblicano il loro primo singolo Anarchy in the UK. Nasce il punk: una tendenza musicale che però contagia ben presto moda, cultura e diventa una vera e propria filosofia di vita. Ed è proprio lì nella Londra della crisi che inizia a diffondersi il germe del punk. Proprio in questi giorni in Gran Bretagna si celebra il quarantesimo anniversario della nascita del punk e il Torino Film Festival si unisce alla celebrazione dedicando una sezione ai film punk, I Did it My Way , in una dimensione che spazia dal movimento politico, ai leader della scena punk musicale.
Si è svolta, nelle sedi Rai, la conferenza stampa di Le fils de Joseph di Eugène Green, presentato nella sezione “Onde” al 34° Torino Film Festival. Il regista si è reso disponibile a rispondere per mezz’ora alle molte domande e curiosità da parte dei giornalisti, mostrando inoltre la conoscenza dell’italiano quasi impeccabile. La storia narrata vuole essere foriera del messaggio che la comunicazione tra generazioni (tra padri e figli per esempio) è molto importante; il problema maggiore della civiltà di oggi, come afferma Green, è che la gente non vive più nel presente, ovvero nella realtà, ma in una dimensione sempre più virtuale. Questo tema influenza diversi lavori del regista.
Leo Gabin è un collettivo belga il cui nome è l’unione delle iniziali dei nomi dei tre artisti che lo compongono. Un’unica entità a rappresentanza di tutti. Al centro del loro interesse c’è la transmedialità digitale. I Leo Gabin, oltre a occuparsi di arte visuale “tradizionale” e di installazioni, raccolgono materiale video, prevalentemente proveniente dal web, rielaborandolo attraverso un uso alquanto originale del found footage.
Tra le rovine dell’antica Roma e gli scheletri di edifici industriali moderni, Lou Castel si ritrova a mettere in atto una performance d’attore che vive drammaticamente nel presente. Un presente in Italia, paese dove l’attore svedese si è formato, e un presente cinematografico, che propone allo spettatore una riflessione in prima persona sulla cultura e sul mestiere dell’attore.
“This is the first day of the rest of your life” says a voice on the speakers. We find ourselves in an old construction machinery factory in Mexico City: all the employees work in harmony, the mood is easygoing, informal. Everything is idyllic – at least in the first ten minutes. An upsetting occurrence breaks the routine, as the beloved chief, Don Alejandro, is found lifeless in the back of the storage.
As it turns out, the company has been on the brink of bankruptcy for years, also because of the crisis in Mexican manufacturing sector, and everyone’s salary has been paid directly by Don Alejandro. At this point, workers feel very discouraged and start ruling chaos in the factory.
“Questo è il primo giorno del resto della vostra vita” dice una voce dagli altoparlanti. Siamo in una vecchia fabbrica di macchinari per l’edilizia a Città del Messico: tutti i dipendenti lavorano in serenità, c’è un clima familiare, regna il buonumore. Tutto è idilliaco. Per i primi dieci minuti del film. Un evento sconvolgente infrange la routine: il loro amato capo, Don Alejandro, viene trovato senza vita nel retro del magazzino.
Si scopre quindi che in l’azienda è in realtà sull’orlo del fallimento da anni, anche a causa della crisi del settore manifatturiero messicano, e che il salario di ognuno dei dipendenti veniva pagato direttamente da Don Alejandro, di tasca sua. A quel punto i dipendenti vengono presi dallo sconforto e nella fabbrica inizia a regnare il caos.
L’incontro prende il nome dal libro scritto a quattro mani da Gianni Amelio e Francesco Munzi, L’ora di regia. Da un’idea nata da vari incontri con Emiliano Monreale, è un testo che cerca di sciogliere i nodi attorno al rapporto tra docente di cinema e studente.
There is a city in this world that reflects the times we live in; there is a place in this city that is its metaphor. The city of Paris and its clubs: people from every walk of life, students, jailbirds, kids, transvestites, aspiring actresses, pushers and common people intertwine and meet. Everybody is looking for something, everyone hopes to get in in spite of prejudice.
C’è una città in questo nostro mondo che è specchio dei tempi in cui viviamo; c’è un luogo in questa città che ne è una metafora in piccolo. Parigi e le sue discoteche: varia umanità, studenti, avanzi di galera, ragazzini, travestiti, aspiranti attrici, spacciatori, gente comune si intrecciano e si incontrano. Ognuno cerca qualcosa, ciascuno spera di superare un ingresso filtrato dalle discriminazioni.
Nobody would expect that something frightening could happen in a safe place but that’s what happens in this film, an anti-horror.
The director Chris Peckover prefers bright lights and colours, unlike the classic horror movie. His aim is to create an atmosphere that wouldn’t anticipate any scary event.
I termini “safe neighborhood” designano in America la vita in quartiere sicuro. Nessuno si aspetta che qualcosa di spaventoso possa accadere in posto sicuro, ma è proprio quanto avviene nel film, un horror antihorror.
Il regista Chris Peckover predilige luci forti e colori vivaci, diversamente dai consueti film horror. Il suo intento è quello di creare un’atmosfera che non facesse presagire eventi spaventosi.
Nella penultima giornata di appuntamenti per la stampa, Joachim Lafosse ha parlato con Bruno Fornara del suo L’économie du couple, presentato alla 34ª edizione del Torino Film Festival nella sezione Festa Mobile.
L’économie du couple racconta di una coppia separata che vive sotto lo stesso tetto, ma non ci viene dato sapere perché il legame tra i due amanti si sia spezzato. “Non si sa mai il vero motivo della rottura di una relazione”, commenta il regista, “e perciò ho voluto lasciare lo spazio allo spettatore di intuire quali siano le ragioni che hanno portato i due personaggi al punto di rottura. Tuttavia è commovente notare come il denaro sia la questione sulla quale si anima la maggior parte delle discussioni, quando in realtà si litiga su questo argomento perché c’è sofferenza per il mancato riconoscimento da parte del partner di quanto si è fatto e si è dato all’interno della coppia. È altrettanto doloroso notare che sono sempre più frequenti i casi di coppie che evitano di separarsi perché non c’è la possibilità di sostenere l’affitto mensile di un nuovo alloggio”.
Cédric Kahn e Bérénice Béjo, il lui e la lei della coppia di Joachim Lafosse, sono nel film genitori di due graziose gemelle, le quali sono speculari rispetto alla coppia in crisi. “Ciascuno di noi, quando è all’inizio di una relazione”, comincia a spiegare Joachim, “sente una sorta di istinto verso una fusione, una costruzione di un rapporto gemellare e simbiotico. Se due persone diventano i genitori di una coppia gemelli, inevitabilmente si troveranno a confrontarsi con quello che non riusciranno mai ad essere, cioè una fusione assoluta”. Nel corso del film si nota, infatti, che la progressiva unione delle gemelline va di pari passo con la separazione dei due genitori.
L’économie du couple parla soprattutto della gestione della casa. Non a caso il titolo contiene la parola economia, la quale deriva dal greco e significa, per l’appunto, casa, inteso anche come beni di famiglia. In una delle sequenze del film il personaggio interpretato da Cédric Kahn spiega ad una delle sue bambine che cosa significa ricchezza. Al di là del denaro, di chi ne ha e di chi non ne ha, la ricchezza propriamente detta è quella culturale. Il personaggio di Bérénice Béjo è, però, incapace di vedere e ricordare l’arricchimento che il suo ex compagno ha dato nell’ambito coniugale e familiare, dando importanza unicamente all’aspetto materiale.
“Sono stato molto chiaro con Mazarine Pingeot, lo sceneggiatore, sul ruolo dell’ambiente casalingo”, conclude Joachim Lafosse. “Volevo che il pubblico percepisse chiaramente che in quel luogo fosse stato distrutto un amore”.
Chi l’avrebbe mai detto che in Piemonte, in due paesini ai piedi delle Alpi, vive una delle comunità cinesi più popolose d’Europa?
Il documentario di Francesca Bono mira a scoprire ed entrare in intimità con questa comunità, seguendo la vita scolastica e privata di alcuni adolescenti cinesi, nati in Cina ma da sempre in Italia.
“Mi sono detto: ma se prendessimo una storia di ragazzi e la rappresentassimo come se fosse Shining? Mi piaceva raccontare una storia di adolescenza ma come se fosse un film horror, perché l’adolescenza a volte può essere decisamente horror”. Con queste parole Andrea De Sica presenta I figli della notte, film in concorso al Torino Film Festival 2016, giustificando la scelta di un genere lontano dalle tendenze del cinema italiano contemporaneo. Non una commedia sui giovani, quindi, né tantomeno un film “sulla solita freddezza dei ragazzi ricchi”: De Sica cerca l’empatia tra personaggi e spettatore proponendo un horror teen rivisitato e decisamente fuori dagli schemi. Continua la lettura di “I figli della notte” di Andrea De Sica→
Fixeur is a film about a moral issue: how far can a journalist investigate? And how much information can the press show?
“Fixeur” is a journalist who, when dealing with a big shot, prefers not to write an article personally, and instead he becomes an intermediary for another, more famous, foreign journalist, in order to increase his profit and prestige. That’s what Radu (Tudor Istodor) does; he’s a wannabe journalist who, in order to establish himself, is willing to trample on ethical principles, looking for a girl who has been victim of child prostitution trade, who has been repatriated from Paris where she worked as a prostitute and now she has denounced who had kidnapped and exploited her.
Fixeur è un film su un dilemma morale: fino a che punto un giornalista può arrivare a indagare? E fino a che punto il giornalismo e l’informazione possono mostrare?
“Fixeur” viene chiamato il giornalista che, quando ha per le mani un colpo grosso, per accrescere il proprio guadagno e prestigio preferisce non scrivere personalmente un articolo, ma fare da intermediario per un altro giornalista straniero più importante. E’ quello che fa Radu (Tudor Istodor), aspirante giornalista che pur di affermarsi è disposto a calpestare i principi morali dando la caccia ad una ragazza quattordicenne che è stata vittima della tratta delle minorenni, è stata rimpatriata da Parigi dove lavorava come prostituta ed ora ha denunciato chi l’aveva rapita e sfruttata.
La mattinata di conferenze stampa di sabato 19 novembre si conclude con l’intervento di Gabriele Salvatores, guest director della trentaquattresima edizione del TFF. Le domande vertono inevitabilmente sulla scelta dei cinque pezzi facili che hanno dato il nome ad una delle sezioni del festival di quest’anno. Il film prediletto, racconta il regista, è senza dubbio Jules et Jim, emozionante e dolcemente evocativo fin dal titolo e fedele custode del ricordo di un giovane Salvatores che da semplice spettatore diventa un cinéphile consapevole.
Anna Biller is a director who can also be called “artisan” in every way: she takes care of the direction, the screenplay, costumes, photography, editing and production. For the first time, in this movie she does not appear as actress, choosing as the main character the beautiful Samantha Robinson, who is able to combine sensuality and empathy, which are required to bring to life the figure of a mermaid-witch (a pair that nowadays, as stated by the director, is difficult to portray).
The director, a fan of Pasolini’s cinema, explains her choice for the artisanal dimension with economical justifications and with her will to work along with some traditional and accurate women’s job like weaving and embroidery.
Anna Biller è una regista che si può definire “artigiana” in tutti i sensi: si occupa da sola della regia, della sceneggiatura, dei costumi, della fotografia, del montaggio e della produzione; in questo film per la prima volta non appare come attrice, scegliendo come protagonista la bellissima Samantha Robinson, in grado di unire la sensualità e l’empatia necessaria per dar vita a una figura di strega-sirena (un binomio che – come ha dichiarato la regista – è difficile da mettere in scena oggigiorno).
La regista, ammiratrice del cinema di Pasolini, giustifica la scelta della dimensione artigianale con motivazioni economiche e con la volontà di lavorare in sintonia con alcuni tradizionali e meticolosi lavori femminili come la tessitura e il ricamo.
The Wallis Islands community, in New Caledonia, is crying for young Soane’s departure towards an apparently thriving and promising future, which will certainly be better than his perspectives as a Maori community member. Though he is leaving, his back will always wear the scars of his father’s beatings, who is a tough pig farmer.
The journey of young and talented rugby player Soane will turn out to be the price to pay for the freedom he has always searched inside his heart. France, apparently civil and modern, is just the other face of Wallis. If the latter is a wild and insidious land, the new country, rich in comforts and services, is just not the right place for the naïve protagonist.