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“MY AMERICA” BY BARBARA CUPISTI

Article by Roberto Guida

Translated by Nadia Tordera

“We, the people of the United States, in order to form a more perfect union, establish justice, ensure domestic tranquility, provide for the common defense, promote the general welfare, and secure the blessings of liberty to ourselves and our posterity, do ordain and establish this Constitution for the United States of America.” A famous preamble, thought to be immortal even if we are immediately warned that in reality, in 2020, many still try to understand it.

However there is a light in Barbara Cupisti’s documentary work My America, feeble but alive.

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“MY AMERICA” DI BARBARA CUPISTI

“Noi, popolo degli Stati Uniti, allo scopo di perfezionare ulteriormente la nostra unione, di garantire la giustizia, di assicurare la tranquillità interna, provvedere per la difesa comune, promuovere il benessere generale ed assicurare le benedizioni della libertà a noi stessi ed alla nostra posterità, ordiniamo e stabiliamo questa Costituzione per gli Stati Uniti d’America.” Un preambolo celebre, pensato per essere immortale anche se siamo subito avvertiti che in realtà, nel 2020, ancora molti cercano di comprenderlo.

C’è tuttavia una luce nel lavoro documentario My America di Barbara Cupisti, flebile ma viva.

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“MÃES DO DERICK” (MOTHERS OF DERICK) BY DÊ KELM

Article by Valentina Velardi

Translated by Francesca Cozzitorto

Presented in the International section of the festival, the film is about the life of a non-monogamous and unconventional family made up of a nine-year-old boy, Derick, Tammy’s biological son, and his other three mothers who raised him: Bruna, Shiva and Ana.

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“MÃES DO DERICK” (MOTHERS OF DERICK) DI DÊ KELM

Presentato nella sezione Internazionale.doc, il film mostra la vita di una famiglia non monogama e anticonvenzionale composta da un bambino di nove anni, Derick, figlio biologico di Tammy, e dalle altre tre madri che lo crescono: Bruna, Shiva e Ana.

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“KUFID” BY ELIA MOUTAMID

Article by Carola Capello

Translated by Simona Sucato

“As a child, my parents taught me to say Inch’Allah (God willing) when I plan to do something. Here, Kufid is this: planning something unplanned. An oxymoron”. As Elia Moutamid states – Moroccan director, special mention as best new director at 2018 Nastri d’Argento –, whose first film Talien won in 2017 the Gran Premio della Giuria at Torino Film Festival.

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“KUFID” DI ELIA MOUTAMID

“Da piccolo i miei genitori mi hanno insegnato a dire Inch’Allah (se Dio vuole) quando metto in programma di fare qualcosa. Ecco, Kufid è questo: la pianificazione di qualcosa di non pianificato. Un ossimoro”. Così afferma Elia Moutamid – regista di origine marocchina, menzione speciale come miglior regista esordiente ai Nastri d’Argento 2018 –, il cui primo film Talien fu premiato nel 2017 con il Gran Premio della Giuria al Torino Film Festival.

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“CASA DE ANTIGUIDADES” BY JOÃO PAULO MIRANDA MARIA

Article by Fabio Bertolotto

Translated by Nadia Tordera

Even before the images, there is a white light that suggests the coordinates for viewing the film. A light that invades the screen and appears as an eccentric substitute for black, on which the opening credits flow in reverse, from the top to the bottom, suggesting a backward path. This inverse motion is the spirit that moves Casa de antiguidades, the film of the Brazilian director João Paulo Miranda Maria that first looks at the past to talk about the present.

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“CASA DE ANTIGUIDADES” DI JOÃO PAULO MIRANDA MARIA

Ancora prima delle immagini, è una luce bianca a suggerire le coordinate per la visione del film. Una luce che invade lo schermo e appare come un eccentrico sostituto del nero, su cui i titoli di testa scorrono al contrario, dall’alto verso il basso, suggerendo un percorso a ritroso. È proprio questo moto inverso lo spirito che muove Casa de antiguidades, del registra brasiliano João Paulo Miranda Maria, un’opera prima che guarda al passato per parlare del presente.

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“LUCKY” BY NATASHA KERMANI – “REGRET” BY SANTIAGO MENGHINI

Article by Luca Giardino

Translated by Valeria Collavini

“Go it alone”: that’s the title that young writer May Ryer (Bea Grant) chooses for her latest self-help handbook. Although her books don’t sell well and business is slow, May has far worse problems to deal with. A creepy, masked man breaks every night into the house where the writer lives with her husband, haunting her and pushing her to the edge. However, nobody seems to take this situation seriously – neither her condescending, insensitive husband nor the police, leaving May alone to her fate.

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“LUCKY” DI NATASHA KERMANI – “REGRET” DI SANTIAGO MENGHINI

“Go it alone” (“cavarsela da soli”): questo è il titolo che la giovane scrittrice May Ryer (Bea Grant) sceglie per il suo più recente manuale d’auto-aiuto. I suoi libri non hanno un grande riscontro e gli affari vanno a rilento, ma questo risulta essere l’ultimo dei problemi per May. Un inquietante uomo mascherato irrompe ogni notte nella casa in cui la scrittrice vive con il marito, tormentando la donna fino allo stremo delle forze. Nessuno, però, sembra dare rilevanza a questi avvenimenti, né il marito – accondiscendente e insensibile – né la polizia, abbandonando May al suo destino.

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“A MACHINE TO LIVE IN” BY YONI GOLDSTEIN and MEREDITH ZIELKE

Article by Angelo Elia

Translated by Nadia Tordera

«Just for a moment, let’s dream together». This is the beginning of A Machine To Live In, directed by Yoni Goldstein and Meredith Zielke and shown at the Torino Film Festival “ TFFDOC/Paesaggio” section. The dream in which the film wants us to live is about Brasilia, the Brazilian capital built on a bare plain in a thousand days. Desired by the President Kubitschek, planned and designed by the architects Lúcio Costa and Oscar Niemeyer, it was introduced as a utopia that has become reality at its inauguration in 1960. Brasilia is a shimmering example of modernist architecture: It is a city with many shapes, many triangles, lots of white, lots of mirrors and «completely shadowless». Probably this is the reason why the incidence of ultraviolet rays causes many cases of visual impairment. But if we want to live in a dream, we have to see less.

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“A MACHINE TO LIVE IN” DI YONI GOLDSTEIN E MEREDITH ZIELKE

«Per un momento, immaginiamo insieme un sogno», ci viene detto all’inizio di A Machine To Live In, opera prima diretta da Yoni Goldstein e Meredith Zielke e presentata al Torino Film Festival nella sezione TFFDOC/Paesaggio. Il sogno di cui il film vuole farci partecipi è quello di Brasilia, capitale del Brasile costruita in mille giorni dove prima c’era solo una nuda pianura: voluta dal presidente Kubitschek, pianificata e progettata dagli architetti Lúcio Costa e Oscar Niemeyer, fu presentata alla sua inaugurazione nel 1960 come un’utopia divenuta realtà. Scintillante esempio di architettura modernista, Brasilia è una città con molte curve, molti triangoli, molto bianco, molti specchi e «completamente senza ombre». Per questo sembra che la sua configurazione aumenti l’incidenza dei raggi ultravioletti causando molti casi di disabilità visive. Bisogna accettare di vedere meno se si vuole vivere in un sogno. Continua la lettura di “A MACHINE TO LIVE IN” DI YONI GOLDSTEIN E MEREDITH ZIELKE

“MOVING ON” BY YOON DAN-BI

Article by Alessandro Pomati

Translated by Paola Macchiarella

“I long that far away place, where my loved ones come from”: these song lyrics open “Moving on”, first Yoon Dan-bi work, winner of four awards at the Busan International Short Film Festival. These lyrics seem to suggest a return to the roots for the director, back to her starting point.

And this is also what happens to the main characters of Yoon’s film, a brother and a sister who leave the house of their divorced father, a humble street vendor selling knockoff designer shoes. The children move to their grandfather’s, a suffering old man who is often hospitalized.

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“MOVING ON” DI YOON DAN-BI

“Bramo quel luogo lontano, dove vivono i miei cari”: su questi versi di una canzone si apre “Moving On”, opera prima di Yoon Dan-bi, premiata con ben 4 premi all’ultima edizione del festival di Busan. Versi che sembrano indicare un ritorno, per chi li ha scritti, alle proprie origini, al proprio nucleo di partenza.

Ed è proprio questo che accade ai due protagonisti, fratello e sorella, del film di Yoon quando, abbandonata la casa del padre divorziato, un modesto venditore ambulante di imitazioni di scarpe di marca, si trasferiscono nella casa del nonno paterno, un anziano sofferente e spesso costretto al ricovero in ospedale.

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“WILDFIRE” BY CATHY BRADY

Article by Valentina Velardi

Translated by Aurora Sciarrone

Intimist and political at the same time, the director Brady’s debut film shows the transgenerational psychological impact of the Northern Irish conflict through the story of two sisters.

Filmed on the border between Northern Ireland and the Republic of Ireland, it begins when Kelly (Nika McGuigan), missing after her mother’s death, suddenly comes back to the little town where she ran away from, bursting into her sister Lauren’s life (Nora-Jane Noone).

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“WILDFIRE” DI CATHY BRADY

Intimista e al contempo politico, l’esordio al lungometraggio della regista Brady mostra l’impatto psicologico transgenerazionale del conflitto nordirlandese attraverso la storia di due sorelle.

Girato al confine tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda, il film prende avvio quando Kelly (Nika McGuigan), scomparsa in seguito alla morte della madre, ritorna all’improvviso nella piccola cittadina da cui era scappata, irrompendo nella vita di sua sorella Lauren (Nora-Jane Noone).

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“MICKEY ON THE ROAD” BY MIAN MIAN LU

Article by Noemi Castelvetro

Translated by Simona Sucato

Renegotiating gender rules costs an overseas trip, the Mickey of the title, in a post-adolescence coming of age parable that establishes once and for all, the transition to adulthood. On the road is also the festive path of Mian Mian Lu’s debut feature film: from Taipei, to Vancouver and finally in competition for the 38th edition of Torino Film Festival.

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“MICKEY ON THE ROAD” DI MIAN MIAN LU

Rinegoziare le norme di genere costa un viaggio oltremare, quello della Mickey del titolo, in una parabola coming of age post-adolescenziale che sancisce, una volta per tutte, il passaggio all’età adulta. On the road è anche il percorso festivaliero del lungometraggio di debutto di Mian Mian Lu: da Taipei, a Vancouver e infine in concorso per la 38esima edizione del Torino Film Festival.

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“GUNDA” by VICTOR KOSSAKOVSKY

Article by Carola Capello

Translated by Giulia Neirone

After Aquarela – cautionary film about water strength and beauty premiered in 2018 Venice Film Festival and included in the 2019 documentary nomination of the Academy Awards – Gunda is another simple, although not granted, food for thought by the Russian director Victor Kossakovsky. Set in a farm where we can only see a wooden house surrounded by nature, the main character is a group of animals in their everyday life.

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“GUNDA” DI VICTOR KOSSAKOVSKY

Dopo Aquarela – il film monito sulla forza e la bellezza dell’acqua presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2018 e selezionato per l’Oscar come Migliore Documentario l’anno successivo –, il regista russo Victor Kossakovsky con Gunda ci mette di fronte a un altro semplice, per quanto non scontato, spunto di riflessione. Ambientato in una fattoria (della quale ben poco si vede se non una casetta di legno e tanta vegetazione), il film ha come protagonisti un gruppo di animali e racconta la loro vita quotidiana.

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