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The Hallow by Corin Hardy

Article by: Luca Richiardi

Translation by: Kim Turconi

How do a young and loving couple react to the unknown?
The most primordial and essential life events can have serious effects on us, when they are experienced firsthand. The unknown is hidden behind the birth of a child, in the way in which such event changes the perception of the relationship between parents; the unknown can be found in tales and myths, among the folklore that is (or was) transmitted to children.
The Hallow, first feature film of the young British author Corin Hardy, deals with ambiguities and the unknown. The film initially titled “The Woods”, was premiered at the Sundance Festival, where it has been noticed for its qualities.
The Hallow is without any doubt a horror; it proudly represents the genre with all the trimmings and many clichés that are so appreciated by horror fans. We see a little family, happy to start their life together in their new isolated home surrounded by a lively, dark, dangerous forest. There is nothing wrong with using and abusing of such commonplaces, when it is done skillfully. This is what good films do, and they manage to do it in a stimulating and pleasant way.

Good films put the audience at ease by presenting a familiar atmosphere: a relaxed audience can be carried in different directions – even new directions – as long as the film itself is able to respect the audience. This is the case of The Hallow.

As he said himself during the press conference, Corin Hardy is a big fan of horror, especially of the golden age of Italian horror: the ’70s and ’80s variety of Dario Argento and Lucio Fulci – as evidenced by Corin’s shirt of Suspiria, worn with pride.
Hardy is well aware of what it needs to make a good horror film, and he shows great respect for his role models.
The Hallow is born from the legends of European folklore – Irish folklore in particular – and, for this reason, the film is set in Ireland itself. Hardy gathered together changelings, fairies, sylvan monsters, traditional creatures and he reshaped them with his own hands. He also showed to us some preliminary but beautiful sketches of the creatures design.
The Hallow is the result of measured quotations scattered throughout the film, good narrative choices that keep the tension high by playing on ambiguous situations, believable performances from the actors, great soundtrack and the light – almost invisible – hand of the director.

A horror film not to be taken lightly: it will scare, confuse and entertain you, and it will make you desire to watch another Corin Hardy’s film again.

“The Hallow” di Corin Hardy

Come reagisce una coppia giovane e innamorata di fronte all’ignoto?

Le cose più antiche e fondamentali dell’esistenza, quando vissute in prima persona, possono avere su di noi effetti terrificanti. L’ignoto si nasconde nella nascita di un figlio, nel modo in cui questo evento modifica la percezione del rapporto di coppia tra i genitori; l’ignoto si trova nelle leggende, nel folklore, nelle fiabe che si raccontano (o si raccontavano) ai bambini.

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“Evolution” di Lucille Hadzihalilovic

La visione del film turba e scuote; questa è l’unica certezza che ci concede l’opera seconda di Lucille Hadzihalilovic, regista francese timida d’indole ma dotata di una voce spiazzante e ardita, la quale ci presenta un film duro e coinvolgente, a dieci anni da Innocence, il suo lungometraggio d’esordio.

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“Iona” di Scott Graham – Conferenza stampa

In conferenza stampa è oggi protagonista il film Iona, del regista Scott Graham.

Scott Graham ha già partecipato al Torino Film Festival nel 2012 vincendo il premio per il miglior film con Shell. Bruno Fornara fa notare al regista che il tema che lega  i due film è la solitudine. Graham spiega che quando ha deciso di girare Shell sapeva già che si sarebbe cimentato con il tema che poi sarebbe confluito in Iona.

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Cinque cortometraggi – TFF 2015

In un clima caldo e familiare, la sera di domenica 22, assistiamo alla prima dei cortometraggi di Spazio Torino e la tensione dell’attesa è palpabile. Probabilmente metà del pubblico presente conosce o ha collaborato direttamente alle riprese dei film, tanto che sono seduta a fianco della moglie dell’unico superstite della tragedia raccontata da Neve rosso sangue di Daniel Daquino, Evento Speciale della rassegna. Ambientato a Valmata, in provincia di Cuneo, il film vede protagonisti un gruppo di partigiani che poco prima della fine del secondo conflitto mondiale vengono trucidati dalla Brigata Bassano. Il film rievoca un clima che non è concesso dimenticare.

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“Les loups” di Sophie Deraspe

Sophie Deraspe, regista canadese già nota al Torino Film Festival per una sua precedente partecipazione in concorso con Un soffio di vita nel 2009, quest’anno presenta nella sezione TFF33 Les loups. Protagonista è  una comunità di pescatori che vive sulla riva dell’Oceano Atlantico ignorando le sovrastrutture e le regole della civiltà metropolitana. La quotidianità che si vive in città è molto distante da questa “utopica” comunità.

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“Brooklyn” di John Crowley

Brooklyn :è un film drammatico diretto da John Crowley e sceneggiato da Nick Hornby, basato sull’omonimo romanzo di Colm ToìbinE’ la storia commovente di Eilis Racey (Saoirse Ronan), una giovane immigrata irlandese che, attirata dalle promesse dell’America, parte dall’Irlanda lasciando la famiglia per New York City. L’iniziale nostalgia di casa diminuisce rapidamente e Eilis si lascia prendere dal fascino inebriante dell’amore. Ben presto la sua vivacità si scontra con il suo passato, e la giovane dovrà scegliere tra i due Paesi e le vite che essi le offrono.

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“Morituri” di Daniele Segre – Conferenza stampa

Un Daniele Segre beato fra le donne quello di oggi in conferenza stampa: insieme a Tiziana Catalano, Donatella Bartoli e Luigina Dagostino presenta il suo nuovo film, Morituri, interamente girato nel cimitero sconsacrato di San Pietro in Vincoli a Torino.

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“The Assassin” di Hou Hsiao-Hsien

The Assassin è un film diretto dall’applaudito regista taiwanese Hou Hsiao-hsien, arrivato al Torino Film Festival nella sezione Festa mobile dopo aver trionfato all’ultimo Festival di Cannes vincendo il premio per la miglior regia.

Nella Cina del nono secolo una ragazzina di dieci anni, Nie Yinniang, viene sottratta ai genitori e cresciuta per diventare un’assassina/giustiziera, capace di garantire l’ordine e la giustizia. Viene accuratamente preparata, infatti, per combattere la corruzione e la crudeltà dilaganti fra le province dell’Impero.

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“London Road” di Rufus Norris

Questo film diretto Rufus Norris, tratto da una pièce teatrale, si ispira a un fatto realmente accaduto: l’omicidio di cinque prostitute nella cittadina di Ipswick nel Suffolck, in Inghilterra. Le testimonianze dei residenti di London Road, una via di Ipswick, sono state raccolte dalla sceneggiatrice Alecky Blythe per essere portare in teatro attraverso il suo approccio verbatim: il copione è, infatti, lo script di interviste registrate a persone realmente coinvolte nella vicenda.

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“Borsalino City” di Enrica Viola – Conferenza stampa

La domanda che sorge spontanea a chi abbia visto Borsalino City è: “Perché la decisione di dedicare un intero lungometraggio alla storia di un cappello?”
La regista Enrica Viola risponde sorridendo e ben spiega questa scelta singolare sostenendo che il Borsalino non è un cappello come gli altri. Esso è stato ed è un simbolo di come da una provincia piemontese, Alessandria, si sia arrivati a Hollywood, e come da un semplice cappellaio sia nata una delle industrie italiane più riconosciute nel mondo. Il capitalismo e l’industrializzazione hanno permesso questa spinta centrifuga, pur mantenendo la peculiarità del lavoro artigianale.

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“The Devil’s Candy” di Sean Byrne

Nel profondo Sud dell’america rurale, la mitica terra dei good ol’ boys, insomma in Texas, c’è una giovane e amabile famigliola che cerca casa. Il padre, Jesse, è un pittore, e ha trasmesso la propria passione per la musica metal alla figlia adolescente, mentre la madre lavora in un salone di bellezza; tutto sommato, una normalissima famiglia moderna.

Ma, ottenuta con grandi sacrifici la casa dei loro sogni, essi scoprono che questa è stata il teatro di efferati delitti compiuti da un uomo, un killer deforme obeso modellato sul serial killer John Wayne Gacy (l’attore, Pruitt Taylor Vince, già aveva interpretato un personaggio curiosamente simile ma allo stesso tempo opposto in Constantine). Le voci che lo tormentano lo costringono ad uccidere bambini e giovani ragazzi per soddisfare l’ingordigia del suo demoniaco Maestro, che è, nientepopodimeno, il Diavolo in persona, il quale ha messo gli occhi sulla figlia adolescente di Jesse – quella che lui considera “la caramella più dolce di tutte”.

Sean Byrne è il regista di questo film, un horror in cui la musica fa da protagonista. E’ musica di un genere particolare, quello metal, anzi thrash metal (Metallica, Slayer, Megadeth), e la colonna sonora viene costantemente messa in risalto per dettare i tempi del montaggio e il gusto visivo di scenografie (pareti tappezzate di poster), costumi, magliette e tatuaggi dei protagonisti. Il punto di forza del film è proprio nel soddisfare i fan di questo genere musicale con continui riferimenti ed omaggi ai suoi “mostri sacri”.

Avrei voluto e potuto amare The Devil’s Candy per l’ambientazione, le musiche e la cultura metal e le tematiche sataniste. Ma, purtroppo, non bastano gli ingredienti giusti per preparare un buon piatto. Per fare un buon piatto, come un buon film, ci vogliono soprattutto esperienza, senso della misura, capacità di improvvisare e uscire dal tracciato con sicurezza.

Proprio come accade spesso per il genere di musica che intende omaggiare, questo film finisce per essere ripetitivo, incapace di sorprendere, e soprattutto senza il mordente necessario per impaurire. Non c’è abbastanza drammaticità o tensione, il sangue cola poco, il mostro cattivo è un bambinone che non spaventa – se non quando impugna una pistola per breve tempo maneggiandola proprio come farebbe un bambino, il che crea il momento di maggior disagio dell’intero film.

Le musiche, per quanto belle, sono incapaci di sorreggere la tensione per l’intera durata del film, ed è discutibile che appartengano soltanto al thrash metal, escludendo generi come il death, black e doom che avrebbero reso meglio il senso di malvagità, oppressione e pericolo che la presenza demoniaca/omicida avrebbe dovuto creare. Anche la partecipazione del gruppo musicale Sunn O))) ai sound effects, per quanto apprezzabile, è limitata dalla costante ripetizione del medesimo tema (il sussurro del demonio) che diventa fin troppo familiare e perde rapidamente ogni mordente.

Appaiono insomma troppo presenti la mano del regista, i suoi gusti personali, la sua voglia di far sposare immagini e musiche ad ogni occasione, e il film ne soffre in scorrevolezza, ma non è comunque sconsigliato a priori: ha i suoi pregi e troverà sicuramente un suo pubblico.

“Bølgen” (“The Wave”) di Roar Uthaug

Norvegia. Una piccola città su un fiordo è minacciata da una montagna che rischia di franare da un momento all’altro. Ciò causerebbe uno tsunami che distruggerebbe la ridente cittadina. Solo il geologo Kristian prende sul serio la minaccia. Proprio quando sta per cambiare vita e lavoro accade la catastrofe.

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“London Road”di Rufus Norris – Conferenza Stampa

Ieri alle 13:00 in Sala Stampa nei locali della Rai, l’ultima conferenza stampa della giornata vedeva protagonista London Road di Rufus Norris. Erano presenti Adam Cork, autore delle musiche, e Alecky Blythe, la sceneggiatrice. Entrambi hanno curato l’allestimento sia del musical che del film. Se il trasformare in musical un evento così tragico come quello di cinque omicidi di prostitute (realmente accaduti a Ipswick) meritava attenzione, ancora più attenzione era necessaria nel momento in cui questo evento veniva trasposto al cinema. “Lo spettacolo nasce come spettacolo teatrale ma questo non ci ha esentato dalla responsabilità di riflettere in quest’opera uno spaccato di vita reale. Normalmente al musical si associa la commedia, numeri di danza, canzoni d’amore e tutta una spettacolarità che invece in London Road non troviamo. La nostra preoccupazione principale è stata quella di essere fedeli e rispettosi nei confronti delle vittime degli omicidi ma anche nei confronti degli intervistati che avevano affidato la loro testimonianza ad Alecky” ha dichiarato Cork.

Il lavoro di Cork e Blythe è stato quello di rendere esattamente non solo le parole dei residenti di London Road ma anche la modalità nella quale erano state espresse. Alecky Blythe adotta infatti, in teatro, la tecnica verbatim: cioè la riproduzione letterale delle dichiarazioni rese da testimoni con tutte le variazioni della voce di chi parla, il tono e le esitazioni. Questo andamento ritmico della voce ha richiesto una strutturazione melodica e ritmica sia per i dialoghi recitati che per i dialoghi cantati: una vera e propria partitura in cui alle parole recitate si è soprapposto un accompagnamento musicale che le ha trasformate in “canzoni”.

Adam Cork ha sottolineato che la transizione dal palcoscenico teatrale allo schermo cinematografico lo preoccupava molto anche in considerazione del successo che aveva avuto il musical, perché temeva la perdita di immediatezza tra gli attori e gli spettatori: “Il cinema ha il suo quarto muro che è lo schermo e temevamo che questo avesse un impatto molto forte sull’interazione tra il pubblico e gli attori. Poi però la riflessione che abbiamo fatto a posteriori è che ciascuno di noi è molto più abituato a vedere una rappresentazione drammatica su uno schermo piuttosto che in teatro: la televisione la guardiamo tutte le sere, a teatro non andiamo tutte le sere, e quindi abbiamo capito che sarebbe stato più facile per il pubblico riuscire ad assorbire una tessitura documentaristica in una forma filmica, più immediata, rispetto a quella teatrale ”.

24/11 - conferenza stampa London Road

Alecky Blythe non è stata solo la sceneggiatrice di London Road per il teatro e per il cinema, ma si è anche occupata di condurre e montare le interviste. Ha raccontato di essersi recata a Ipswich nel 2006, quando erano già stati rivenuti i corpi delle cinque prostitute: “Sono andata con il mio registratore raccogliendo le testimonianze di persone che avevano vissuto, più o meno direttamente, i terribili eventi. Ipswick è una città piccola, la popolazione era scioccata dai fatti che avevano gettato scompiglio in una situazione di apparente tranquillità: c’era un assassino latitante, problemi di droga e di prostituzione”.

A seguito degli omicidi, London Road si è trasformata da strada tranquilla a comunità spaventata che organizza turni di sorveglianza notturna. Nei due anni successivi la Blythe è tornata più volte a Ipswick e il suo interesse è passato dai cittadini di Ipswich ai residenti di London Road, perché nel frattempo Steve Wright era stato arrestato come responsabile degli omicidi e si era scoperto che viveva in quella strada divenuta ormai il punto centrale del “quartiere a luci rosse” di Ipswich. “Il lavoro che ho fatto, in teatro e in cinema, è stato diverso perché la sceneggiatura cinematografica ha esigenze diverse partendo dal fatto che mantengo le parole cosi come sono state dette durante le dichiarazioni. Nel film ho dovuto ridurre i dialoghi perché il racconto avveniva anche per immagini: ho rinunciato a una parte dei dialoghi, ma non ho rinunciato alla caratterizzazione dei dialoghi, al sapore della testimonianza resa” ha precisato Alecky.

Alla domanda se ci fosse un intento di critica verso i residenti che in alcune parti del film pronunciano parole molto dure nei confronti delle prostitute, la Blythe ha risposto che non c’è mai stata nessuna volontà di criticare i residenti, né c’è stata da parte degli stessi protagonisti alcuna percezione di critica nei loro confronti: “Abbiamo cercato di essere il più possibile rispettosi della sincerità delle dichiarazioni rese dai residenti. Quando sono andata la prima volta a condurre le interviste, naturalmente, percepivo i diversi punti di vista e le tensioni che c’erano, ma tutte le loro rivelazioni erano sincere. Le dinamiche e i  conflitti sono via via cambiati nel tempo: questo aveva a che fare con lo scoprire cose che avvenivano nella strada che loro non sapevano stessero avvenendo, e percepivano tutto con un senso di possesso della strada, come se qualcuno si sentisse più o meno titolato a controllarla. La sensazione che probabilmente arriva al pubblico nell’ascoltare le loro dichiarazioni è la difficoltà nel capire quello che loro hanno provato in questo percorso che poi è quello che ha generato certi toni nell’esprimere le loro opinioni. Credo che nessuno di noi che non ha vissuto gli eventi, possa capire cosa significhi avere la vita completamente stravolta”.

Durante la lavorazione del film, ha poi aggiunto Alecky, sia lei che Cork, che Norris, sono stati molto attenti a mantenere aggiornati i residenti sulle scelte effettuate e su come intendevano portare sullo schermo questa vicenda. Hanno ad esempio mostrato loro la location che avevano scelto per il film, una strada molto diversa dalla vera London Road, ma che consentiva al regista di mostrarne l’evoluzione: da strada tetra, squallida, oscura dell’inizio a strada bella e pieni di fiori che vediamo alla fine del film. La reazione da parte di tutti i residenti  è stata molto positiva al punto che per la scena conclusiva del film molte delle comparse erano proprio i residenti stessi.

La reazione, invece, del pubblico italiano, come faceva notare un giornalista presente in sala stampa, è stata anche di riso in alcuni momenti del film. La sceneggiatrice ha risposto che questo è normale, e in parte anche voluto, proprio in virtù del fatto che quando lei lavora ad un progetto  preferisce concentrarsi non sull’occhio del ciclone ma sulle onde che questo propaga, lasciando anche un po’  “respirare” la storia e permettere al pubblico di provare empatia e simpatia per i protagonisti. La volontà di decentrare lo sguardo è anche la motivazione alla base dell’assenza di Steve Wright sia nel musical che nel film: “Il motivo per cui sono andata a Ipswich è perché le vicende che mi stavano a cuore erano quelle della popolazione della città, in particolare dei residenti della strada, per capire come la vita di queste persone sia stata completamente sconvolta  per la casualità di abitare vicino ad un serial killer. In più Steve Wright era già coperto dai media di tutto il mondo. E’ la percezione che mi hanno dato le persone che ho intervistato che volevo rendere in questo lavoro”.

Adam Cork, in chiusura, ha aggiunto che il riso spontaneo che può sorgere guardando il film non è un riso di derisione, ma appunto un riso empatico rispetto a qualcosa che il pubblico riconosce come familiare, una reazione che potrebbe avere chiunque nella medesima situazione.

Guldkysten (Gold coast) by Daniel Dencik

Article by: Giulia Tinivella Dettoni

Translation by: Roberto Gelli

Guldkysten (Gold Coast) is a film produced in 2015 by Danish director and writer Daniel Dencik and has been presented within the section Festa Mobile in TFF.

gold coast 2

The story takes place in the first half of 19th century. A young and naive Danish botanist leaves for the African colonies in the Gold Coast, in order to check and develop local plantations, and at the same time with the purpose of studying several floral species in those savage places, which are still unknown. Once he reaches the colonies, he is amazed by the enchanted nature of its forests and meets black people, towards whom he feels at the beginning a sense of superiority, soon replaced by the idea that there are no differences between they and him. He witnesses the disgusting behavior of the colony governor and his vices towards local women and men, who have to endure any kind of wickedness and vulgarity. As time goes by, he becomes a visionary: he dreams of a world without slavery, in which he could educate local people, in order to let them progress. But no one is going to support him.

gold coast 1

One day he discovers that a rich black merchant traffics in slaves. He furiously decides to intervene and stop that slave trade, which was already forbidden by law, though still practiced. In spite of an illusory victory, where justice, liberty and equality finally seem to prevail, the young botanist soon finds himself alone and ends up being treated in worse conditions than those reserved to the slaves.

gold coast 3

The director makes the movie start by showing the final scenes as a prologue: in this way, he wants to give more importance to the set up rather than to the narration. Gold Coast refers to Romanticism, a period when nature was celebrated for its vitality. We see the beautiful landscapes of Ghana (the same ones of Cobra Verde of Herzog), which are the protagonist of the film in some of its parts and represent the adoration of nature. Above all, Daniel is struck by the law regulating this savage nature: mathematical laws, not the traditional ones already known at that time. The spiral figure with its cyclic nature and its repeating is what mostly attracts him. It is part of the story’s architectural structure and works as a message telling us that in a certain way, the world will always come back to its original condition, to be what it was before.
This is a film, which shows the magnificent beauty of African nature but at the same time, it points out the evil of human being, who does not deserve to live in such a perfect world.

 

“John From” di João Nicolau

Gli anni dell’adolescenza sono i più belli e contemporaneamente i più brutti della nostra vita. Questa è una tipica frase con la quale non si sa mai se essere d’accordo o no; di certo è vero che gli anni dell’adolescenza sono quelli in cui i nostri sogni cominciano a prendere forma, a deragliare dai binari infantili verso la dura realtà. E’ un processo quasi obbligato nel percorso dall’adolescenza all’età adulta. Nel film di João Nicolau accade esattamente l’opposto.

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John From by João Nicolau

Article by: Barbara Vacchetti

Translation by: Martina Taricco
Teens years are the most beautiful and the worst moments of everyone’s life at the same time: this is a classic cliché with which you never know if to agree or not. Certainly, we usually think that adolescence years are those in which our dreams start to take a more real shape and run off the rails of childhood towards the tough reality, an almost inevitable course from adolescence to adulthood. In the movie of João Nicolau we see the exact opposite of what written above.
The protagonist is Rita: she is fifteen years old and lives with her parents in a huge and odd apartment building where blue prevails. Blue are the lift doors, the mailboxes, the balconies railings. Blue is the perfect colour for the summer during which the movie is set. Perennially on the edge of boredom that is going to submerge her, Rita spends summer walking through the city, playing the pipe organ in a recreation centre and going to parties with her friend, who lives in the same building with which she exchanges some messages written on slips of paper that they hide in the lift.
To break up the monotony of this hot summer, a new neighbour comes: a man who is about thirty-five with his little daughter who has to provide for. His name almost eludes the audience attention because very soon, this absent-minded photographer calls the attention of Rita. Nonetheless, the girl does not see him as he truly is but as the character of the title, John From.
Aided by the fact that the photographer is exhibiting the pictures that he shot in Melanesia, Rita starts to imagine him as the god John From that, according to Melanesian legends, is described as an American soldier “fallen from the sky”. Rita connects this legend to her new neighbour, fallen from the sky as well, like a blessing or a potion against the boredom. Therefore, the attempts of Rita to approach him begin but they all end in inconclusive meetings.
In the midst of her daydreaming, Rita starts to mix up what really happens with what she would like to happen; the boundaries between reality and imagination becomes more and more weak until they merge together. It is therefore difficoult to distinguish the reality from the dream, so that when we are in love, an ordinary wave becomes a sign of fate. Rita plays a game: she questions her iPod, close her eyes, browse the songs then she stops at random and the title of the song should tell her the answer to her question.
Nicolau shows us this adolescent world in a disenchanted and realistic way, dressed up with a touch of irony that could make the movie irresistible. A world in which the parents are distant but caring all the same, teenagers are mature thanks to their experiences and disappointments and an ordinary crush could turns into an endless dream of a wedding and beach games.

“Evolution” di Lucile Hadzihalilovic – Conferenza stampa

Alla domanda “Quali sono i registi che più l’hanno influenzata?” risuonano nella sala due nomi: Dario Argento e David Cronenberg. Questa la risposta che Lucile Hadzihalilovic dà ai giornalisti durante la Conferenza stampa tenutasi oggi 24 Novembre riguardo il suo nuovo film Evolution. Suoi Maestri sono Dario Argento per la sua concezione di horror e per la scelta delle locations, David Cronenberg per la capacità di riprodurre sullo schermo le metamorfosi del corpo. Aggiunge anche che le letture dei miti classici da cui ha tratto l’idea delle creature marine, e degli scritti di Howard Philips Lovecraft sono state fondamentali per la realizzazione del film.

Dopo Innocence del 2004, ambientato in una scuola isolata dal mondo frequentata da innocenti bambine, in Evolution vi sono solo donne e bambini. La regista francese dichiara che la mancanza di uomini nel film accentua maggiormente il suo aspetto orrifico perché nessuno può contrastare le donne che, schiavizzando i bambini, li usano a loro piacimento provocando il loro smarrimento. I personaggi sono rinchiusi in un mondo claustrofobico. L’ambientazione buia e che non lascia respiro rende il racconto terrificante.

24/11 - conferenza Evolution con Lucile Hadžihalilović

Il progetto originale di Evolution prevedeva un numero maggiore di elementi fantascientifici poi accantonati a causa dello scarso budget a disposizione. Sono numerose, invece, le immagini crude che danno una rappresentazione realistica della situazione (forse scorie del cinema di Gaspar Noé – il quale tra l’altro è suo marito).

Evolution è il frutto di angosce personali ma anche un tentativo di risposta alle teorie darwiniane proponendo una visione della Terra abitata da altre creature oltre l’essere umano.