“Microbo & Gasolina” di Michel Gondry – 2

Al centro della storia due adolescenti, Daniel e Theo, i Microbo e Gasolina del titolo. Uniti da grande amicizia decidono di sfruttare le abilità meccaniche di Theo per costruire un’automobile con la quale girare la Francia durante le vacanze estive. Il tutto all’insaputa dei loro genitori. Continua la lettura di “Microbo & Gasolina” di Michel Gondry – 2

Conferenza stampa di apertura del 35º TFF

Azzurri, penetranti, indiscreti. Sono gli occhi da maga di Kim Novak ad aprire la conferenza stampa del Torino Film Festival, giunto ormai alla sua 35ºesima edizione. Nella sala 2 del cinema Massimo, di fronte a giornalisti, istituzioni e semplici curiosi, il direttore Emanuela Martini svela i dettagli della manifestazione.

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“L’uomo dei cinque palloni” di Marco Ferreri – Serata di chiusura Sottodiciotto 2016

Il Festival Sottodiciotto si è concluso dopo un’ intensa settimana di programmazione, con la proiezione del film di Marco Ferreri L’uomo dei cinque palloni (1965).

Il film è stato presentato da Steve Della Casa e da tanti ospiti d’eccezione, come il presidente del Museo Nazionale del Cinema Paolo Damilano e il direttore della Film Commission Torino Piemonte Paolo Manera, concordi a dedicare la serata di chiusura a due personalità molto importanti per la città di Torino: Gianni Volpi e Gianni Rondolino.

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“BOZZETTO NON TROPPO” DI MARCO BONFANTI

Il primo documentario sul Maestro dell’animazione

Presentato al Festival del Cinema di Venezia, Bozzetto non troppo racconta i retroscena del lavoro e la quotidianità del maestro del disegno animato Bruno Bozzetto. Candidato agli Oscar, chiamato come collaboratore da John Lasseter, vincitore di numerosi premi e “poco abituato a stare da quella parte della macchina da presa”, Bozzetto si presenta allo spettatore come un uomo semplice e pieno di entusiasmo. Continua la lettura di “BOZZETTO NON TROPPO” DI MARCO BONFANTI

Serata “Super8 Rock’n Memories”

Dopo la collaborazione con Steve Della Casa per il documentario Nessuno ci può giudicare – presentato durante il 34 esimo Torino Film Festival – il collettivo dei Superottimisti si lancia in una nuova avventura: una serata dedicata a vecchie pellicole e filmini girati a Torino. Presentati durante il Film Festival Sottodiciotto, i filmati sono stati donati dai cittadini torinesi – presenti in sala – grazie ai quali è stata possibile l’ideazione di questa serata.

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Tavola rotonda “Fra la via Emilia e il West – Il western nel fumetto italiano”

L’esplorazione di mondi sconosciuti, il significato della frontiera e il mito dell’avventura hanno messo radice in Italia sin dai primi anni del dopoguerra. Nel 1948 nasce il fumetto Tex Willer e con esso nasce il fumetto western all’italiana, che da più di cinquant’anni viene letto dagli italiani. Nel corso degli anni il mito del lontano Ovest si afferma tra le impalcature della settima arte e l’Italia diventa la madre del genere spaghetti western, rendendo prestigio nel mondo alla produzione nostrana del settore cinematografico. Nel 1976 esce nelle sale Keoma, capolavoro del regista Enzo G. Castellari, che diventa un asse portante del genere western all’italiana. I paesaggi e i personaggi delle storie dei fumetti e del grande schermo diventano complementari, eroi e portatori di morte si alternano sui paesaggi desertici dell’immaginazione e disegnano a colpi di pallottola la conquista di una terra sconosciuta e selvaggia.

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Gli incubi di Dario Argento

Dai suoi sogni il regista Dario Argento crea gli incubi per gli spettatori. In tre minuti egli riesce a creare la suspense del thriller e dell’horror movie. Dal primo episodio della serie La finestra sul cortile all’episodio della setta voodo, il maestro della suspense mette in scena le intime paure del pubblico e lo fa usando sempre la sua amara ironia.

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In ricordo di Corrado Farina

Nella giornata di venerdì 2 dicembre si è tenuta presso il Cinema Romano, in occasione del Sottodiciotto Film Festival & Campus 2016, la presentazione del volume Attraverso lo schermo. Film visti e film fatti edito da Il Foglio. Nel volume è l’autobiografia di una importante figura del cinema torinese e non solo: Corrado Farina.

L’incontro, condotto da Steve Della Casa (direttore del Festival) e Matteo Pollone dell’Università di Torino, ha permesso “a chi ha conosciuto Dado di ricordarlo con affetto e semplicità”,  come sottolinea lo scrittore Ernesto Ferrero.

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“Love Child” di Valerie Veatch

Love Child  di Valerie Veatch, presentato in concorso nel 2014 al Sundance Film Festival nella sezione documentari, è stato oggi riproposto al Sottodiciotto Film festival & Campus, con un’introduzione di Andrea Mattacheo. Questo film racconta la storia di una coppia di giovani coreani del Sud che ha lasciato morire la figlia di malnutrizione. Il caso ha suscitato molto scalpore perché la coppia ha compiuto questo gesto a causa della dipendenza da un videogame.

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Incontro con Dario Argento

Questa mattina al cinema Romano si è tenuto un incontro con il regista Dario Argento nell’ambito di Sottodiciotto Film Festival & Campus.  Questo incontro è stato pensato come momento di riflessione sul cinema da parte dei giovani – in particolare gli studenti del DAMS e del Corso di Laurea in Ingegneria del cinema. Hanno introdotto l’ospite Steve della Casa – direttore del Festival – e Giulia Carluccio – presidente dell’Aiace e del DAMS – i quali, a partire da un’analisi di alcune tematiche e di alcuni aspetti del linguaggio dell’opera di Argento, hanno espresso sollecitazioni interessanti alle quali il regista si è prestato a rispondere in modo esauriente.

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Mostra “Dylan Dog 30. Trent’anni di Indagatore dell’Incubo”

Alla Pinacoteca Albertina il Sottodiciotto inizia da un fumetto

Sogno del cinema e fumetto sull’incubo si intrecciano nelle notti del Sottodiciotto Film Festival di quest’anno. Che inizia sotto la luna di Dylan Dog, il più italiano degli indagatori su strisce.

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“The Blank Generation” di Ivan Král – Conferenza Stampa

Ivan Král è un musicista, produttore, compositore di colonne sonore e regista. Ha inciso dischi da solista, ha collaborato con artisti quali Patti Smith, Iggy Pop, John Cale, David Bowie, Pearl Jam, U2, e con Amos Poe ha codiretto i documentari Night Lunch (1976) e The Blank Generation (1976).

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“Bleed for This” by Ben Younger

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Bianca Beonio Brocchieri

Translation by: Elisa Grattarola, Elena Salama

Bleed for This shows its protagonist in an unusual way: wrapped with layers of cellophane, while pedaling furiously on a stationary bicycle and sweating like a broken sink[1]. Soon after, he is weighed in front of a crowd of reporters: he falls into the lightweights’ category by a whisker, so that he can attend the big match for the world title. This is the beginning of the new film by Ben Younger – back to the screen after more than ten years since his last one, Prime – a biographical drama based on the life of Vinny “The Pazmanian Devil” Pazienza, a boxer who actually existed, skillfully performed by the rising star Miles Teller, (Whiplash, The Spectacular Now).

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“Bleed For This” di Ben Younger

Bleed for This presenta il suo protagonista in un modo insolito: avvolto dentro a strati di cellophane mentre pedala furiosamente su una cyclette, sudando come un rubinetto aperto. Poco dopo viene pesato davanti a una folla di cronisti: rientra nella categoria dei pesi leggeri per un soffio, e la sua partecipazione al grande match per il titolo mondiale viene confermata. Così inizia il nuovo film di Ben Younger – tornato al cinema a più di dieci anni di distanza dal suo ultimo lungometraggio Prime – un biopic su Vinny “The Pazmanian Devil” Pazienza, boxeur realmente esistito, magistralmente interpretato dalla star emergente Miles Teller (Whiplash, The Spectacular Now).

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“Free Fire” by Ben Wheatley

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Bianca Beonio Brocchieri

Translation by: Francesca Gazzaniga

After High Rise, cryptic adaptation of James G. Ballard’s novel shown at the 33rd TFF, Ben Wheatley is back in town with Free Fire, a show-off, Tarantino-style movie that shamelessly tries to captivate the audience with alluring tricks. We are in 1970; the plot takes place in a single night, inside an abandoned factory in Massachusetts, where an odd bunch of awkward characters gathers to finalize a weapon deal. The ten traffickers are split into two opposing sides, even though it is not difficult to guess that each one hides their own private interest, thus making the already fragile alliances unpredictable. After a preamble right outside the factory, as soon as the cases full of rifles are delivered, the tension increases to the maximum. A tiny spark is enough to start an endless fire, the armed conflict being the scope of the movie. The outstanding cast (Cillian Murphy, Brie Larson, Michael Smiley, Armie Hammer and Sharlto Copley) must crawl, roll, scream, get punched and shot to the bitter end, burn, bleed, without ever abandoning the slight comic patina made of edgy jokes, which are thrown and returned exactly like gunshots. The many characters are literally die-hard: as in cartoons, their bodies can stand any kind of violence without giving up fighting and trash talking.

But Free Fire aims too high. After a promising, high-tension beginning, from the first gunshot onwards the movie implodes in a buildup of stereotypes and repetitive actions. The comic quality and wit of the jokes, some of which are in fact memorable, is flooded by a heavy rain shower of stray bullets and fickle characters who cannot decide where to stand. In action movies, especially in the shooter subgenre, drawing a well-defined geography of the battlefield is paramount, even more so if the plot is set entirely inside a warehouse. The characters themselves are confused about the overall placement of enemies and allies in the factory (several times the wrong targets are hit – insults and apologies follow) but this fact does not justify the degree of confusion the director induces in the viewer. Representing a chaotic guerrilla does not necessarily mean to put the spectator in the same condition of the protagonists. After a generous mayhem shooting, which lasts more than an hour, the result is that moviegoers give up guessing who’s shooting and who’s being shot, as there aren’t enough clues to even try doing it.

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Despite the movie winking at Tarantino, Peckinpah and Scorsese (who is executive producer), unfortunately, Free Fire never takes off. It remains stuck in the same factory where the whole action takes place and never manages to gain the cult-movie effect that other action films were able to obtain without so much effort.

“Free Fire” di Ben Wheatley

Dopo High-Rise, criptico adattamento del romanzo di James G. Ballard proiettato al TFF33, Ben Wheatley torna a Torino con Free Fire, un film in stile tarantiniano che pecca di virtuosismo e tenta spudoratamente di conquistare il pubblico con trovate di grande richiamo. Siamo nel 1970; la vicenda si svolge nell’arco di una sola notte, all’interno di una fabbrica abbandonata nel Massachusetts, dove una strana compagine di improbabili personaggi si riunisce per finalizzare uno scambio d’armi. I dieci trafficanti sono ben divisi in due schieramenti contrapposti, anche se non è difficile intuire che ognuno di loro nasconde qualche interesse privato, rendendo le alleanze fragili e mutevoli. Dopo un preambolo all’esterno della fabbrica, appena le scatole dei fucili vengono consegnate la tensione comincia ad aumentare a dismisura. Basterà pochissimo per far deflagrare un interminabile conflitto a fuoco che costituisce l’ossatura di tutto il film. Il cast stellare (Cillian Murphy, Brie Larson, Michael Smiley, Armie Hammer e Sharlto Copley) è costretto a strisciare, rotolare, urlare, prendere pugni e pallottole a oltranza, bruciare e sanguinare, senza mai abbandonare una leggera patina comica di battute taglienti, scambiate come se le parole fossero, a loro volta, dei colpi di fucile. I molti personaggi sono, letteralmente, duri a morire: come nei cartoni animati, i loro corpi possono subire ogni tipo di violenza, ma non smettono mai di combattere ed insultarsi.

Free Fire, però, punta troppo in alto. Dopo un promettente inizio carico di tensione, dal momento in cui viene sparato il primo colpo il film implode in un accumulo di stereotipi e azioni ripetitive. La comicità e l’intelligenza delle battute, alcune delle quali davvero memorabili, viene sommersa da una pioggia di proiettili vaganti e personaggi voltagabbana che non sanno più da che parte stare. Nei film d’azione, in particolare modo nel sottogenere dello sparatutto, è imprescindibile creare una definita geografia del campo di battaglia, a maggior ragione se la storia si svolge interamente in un capannone industriale. I personaggi hanno le idee confuse sulla generale disposizione di nemici e alleati all’interno della fabbrica (più volte, infatti, vengono colpite le persone sbagliate, con conseguenti insulti e scuse), ma questo non giustifica il grado di confusione che il regista induce nello spettatore. Rappresentare una guerriglia caotica non vuol dire necessariamente mettere lo spettatore nella stessa condizione dei personaggi. Il risultato è che dopo un’ora abbondante di pandemonio a fuoco, non ci sforziamo nemmeno più di capire chi spara e chi è stato colpito, perché non ci viene dato un numero sufficiente di coordinate per provare a farlo.

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Nonostante tutte le strizzate d’occhio a Tarantino, Peckinpah e Scorsese (che è produttore esecutivo del film), Free Fire purtroppo non decolla. Rimane bloccato fra le quattro mura della fabbrica in cui confina la sua azione, senza mai ottenere il tanto cercato effetto cult che altri film d’azione sono riusciti ad ottenere senza così tanto sforzo.

Il magazine delle studentesse e degli studenti del Dams/Cam di Torino