Una lenta panoramica accarezza la vastità del paesaggio montano dell’Appalachia; in lontananza una flebile esplosione destabilizza per pochi secondi la pace di quella visione paradisiaca. Tutto tace. Si apre così The Evening Hour, il nuovo lungometraggio di Braden King che, dopo nove anni dal successo di Here (2011), ritorna adattando per il grande schermo l’omonimo romanzo di Carter Sickels. Nella sua nuova opera, King privilegia uno sguardo più realistico sulla vita della periferia americana, depotenziando i classici stilemi narrativi del noir ed instillando, al contempo, una profonda riflessione sul destino di un’intera generazione: giovani disillusi nei confronti di un futuro inesistente, costretti a subire la pressione di un mondo che non concede alcuna via di fuga, se non quella di annegare nell’abisso della droga e della violenza.
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“THE EVENING HOUR” BY BRADEN KING
Article by Luca Giardino
Translated by Carmen Tucci
A slow overview opens onto the mountain landscape of Appalachia; in the distance a feeble explosion destabilizes for a few seconds the peace of that vision of paradise. Everything is quiet. This is how The Evening Hour starts, the new feature film produced by Braden King who, after nine years from Here (2011), comes back adapting for the big screen the Carter Sickel’s novel of the same name. In his new movie, King focuses on the realistic life of American suburb, discouraging the classical stylistic noir narrative elements and instilling a deep reflection about the fate of an entire generation: young people feel disillusioned about a non-existent future, forced to suffer the pressure of a world that doesn’t give escape apart from becoming addicted to drugs and violence.
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Article by Laura Anania
Translated by Francesca Cozzitorito
Pilar Palomero’s first feature film has two strong points: realism and ease. This combination characterises both the storyline and the overall style, making Las Niñas an emotional and nostalgic film. The protagonist is Celia, an eleven-year-old girl who lives with her young mother in Zaragoza in the early 90s. Her friendship with Brisa, the new girl in town, who rejects religion as a totalising concept, shows Celia a different understanding of reality.
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Il primo lungometraggio di Pilar Palomero ha due punti di forza: realismo e disinvoltura. Un connubio presente tanto nel racconto quanto nello stile, così da rendere Las niñas un film emozionante e in un certo senso nostalgico. Celia, la protagonista, ha undici anni e vive con la giovane madre a Saragozza nei primi anni ’90. La nuova amicizia con Brisa, una ragazza che non accetta la religione come precetto totalizzante, manifesta a Celia una nuova visione della realtà.
Continua la lettura di “LAS NIÑAS” DI PILAR PALOMERO“THE SALT IN OUR WATERS” DI REZWAN SHAHRIAR SUMIT
Rudro (Titas Zia), giovane artista in cerca di ispirazione, decide di lasciare la caotica vita della capitale Dhaka e intraprendere un viaggio in una remota isola di mangrovie sul delta del Bangladesh. Inizialmente accolto dalla piccola comunità locale, un ristretto gruppo di famiglie che si sostenta grazie alla pesca, Rudro si ritrova ben presto frainteso e poi ostracizzato dagli abitanti del villaggio. Questi, guidati dal Messere (Fazlur Rahman Babu), imam e capo locale, guardano prima con sospetto e in seguito con aperta disapprovazione le sue istallazioni così come le sue abitudini.
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Article by Sirio Alessio Giuliani
Translated by Simona Sucato
“The world goes on but you feel a little further behind”
Patrizia pronounces this sentence looking towards the camera. The sounds of the nearby street are the background to her words. The sun enlights her face and from her eyes transpires the typical melancholia of those who have suffered much, but also the hope of who doesn’t want to surrender. In this photo we can summarize the meaning of San Donato Beach, the new Fabio Donatini’s feature film, in competition at the 38° Torino Film Festival in the section TFFDOC/ Italiana.
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“Il mondo va avanti ma tu ti senti un po’ più indietro”.
Patrizia pronuncia questa frase fissando l’obiettivo. I rumori della strada vicina fanno da sottofondo alle sue parole. Il sole le illumina il volto e dai suoi occhi traspare la malinconia tipica di chi ha sofferto molto, ma anche la speranza di chi non si vuole arrendere. In questa istantanea si può riassumere il senso di San Donato Beach, il nuovo lungometraggio di Fabio Donatini in concorso al 38° Torino Film Festival nella sezione TFFDOC/ Italiana.
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Article by Marco Ghironi
Translated by Aurora Sciarrone
The town of Mostar, its divers and a bridge really do split the generations of a community that is trying to forget and move on from war. Competing in the Italiana.doc’s section, Daniele Babbo makes his directorial debut with I Tuffatori – The Divers, quietly moving in the heart of Bosnia, along with the voices and memories of Igor, Denis, Miro, Edy and Goran. Faces and bodies that bewitch tourists with their leaps into the void, and at the same time hide the fear of an unknown future.
“I TUFFATORI” DI DANIELE BABBO
La città di Mostar, i suoi tuffatori ed un ponte fanno da vero e proprio spartiacque generazionale di una comunità che cerca di andare avanti e dimenticare la guerra. In concorso nella sezione Italiana.doc, Daniele Babbo compie con I Tuffatori il suo esordio alla regia muovendosi silenzioso nel cuore della Bosnia accompagnato dalle voci e dai ricordi di Igor, Denis, Miro, Edy e Goran. Volti e corpi che con i loro salti nel vuoto ammaliano i turisti, mascherando allo stesso tempo le paure di un futuro incerto.
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Article by Angelo Elia
Translated by Valeria Collavini
Every revolution opens the way to unlimited possibilities and presents a challenge to everyone’s ability to imagine a new future, hoping not to be let down. Let’s consider the example of the Haitian Revolution: almost simultaneous to the French one, it was the only slave insurgency that led to the establishment of an independent state, Haiti. The rest of its history is unfortunately known to be less glorious: a long, sad series of misfortunes, dictatorships, and economic and even natural disasters. More than two hundred years later, European directors Louis Henderson and Olivier Marboeuf come together with a group of Haitian actors to reflect upon the legacy of the Haitian Revolution through the story of one of its best-known protagonists, Toussaint Louverture. To tell his story they start from the ending, namely in France.
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Ogni rivoluzione apre la strada a infinite possibilità e pone a ognuno l’ardua sfida di immaginare un nuovo futuro, sperando di non venire delusi. Si prenda come esempio la rivoluzione haitiana: quasi contemporanea a quella francese, fu l’unica rivolta di schiavi nella Storia a dare vita a uno stato indipendente, Haiti. Il resto della storia, come si sa, è purtroppo meno glorioso: una triste e lunga sequela di miseria, dittature, disastri economici e infine naturali. A più di duecento anni di distanza, i registi europei Louis Henderson e Olivier Marboeuf si uniscono ad alcuni attori haitiani per cercare di riflettere sull’eredità della rivoluzione haitiana attraverso la storia di uno dei suoi più celebri protagonisti, Toussaint Louverture. E raccontano questa storia partendo dalla fine, cioè dalla Francia.
Continua la lettura di “OUVERTURES” DI THE LIVING AND THE DEAD ENSEMBLEL’ESPERIENZA DI VENEZIA 77
Dal 2 al 12 settembre la 77^ Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia si è svolta in presenza, sfidando la paura del contagio da Nuovo Coronavirus, non ancora debellato in Italia. L’organizzazione della Biennale ha avuto diversi mesi per valutare tutti i problemi legati a un evento così grande e ha deciso di inaugurarlo con nuove regole che permettessero il suo svolgimento dal vivo. Queste regole pare siano state efficaci, perché ancora non sono stati riscontrati casi di contagio legati direttamente alla Mostra del Cinema.
Naturalmente molti ospiti provenienti da paesi a rischio non hanno potuto partecipare al festival veneziano e il numero di partecipanti è stato ridotto per contenere al minimo gli affollamenti. Sono stati 5.500 gli accreditati, 1300 i giornalisti (850 italiani e 450 stranieri), con un complessivo calo del 40% rispetto al 2019. Il totale degli ingressi nei 10 giorni di festival è di 92.000, -66% rispetto all’anno precedente in cui erano stati 154.000. Ogni sala poteva contenere al massimo la metà delle persone previste per la capienza massima, ma le platee parevano ancora più spoglie, rendendo percepibile all’occhio il calo di pubblico. Il festival ha dovuto inoltre investire 2 milioni in più rispetto al budget previsto di 12 milioni, per permettere l’approntamento di tutte le norme di sicurezza. Dispenser di gel disinfettante in ogni angolo, misuratori della temperatura automatici all’ingresso dell’area della Mostra, personale dispiegato per la pulizia, il controllo degli accessi, per sorvegliare il metro di distanza e la mascherina sul volto in tutte le aree della mostra, dal bar fino alla sala, dove doveva essere indossata per l’intera durata della proiezione. Pur nel rispetto di questi protocolli si sono create comunque situazioni di affollamento, specialmente su autobus e vaporetti. E sebbene il red carpet fosse occultato da un alto pannello, in diverse occasioni i curiosi hanno cercato di sbirciare la passerella dei divi dai piccoli spazi tra una transenna e l’altra.
In definitiva il rispetto delle norme di sicurezza alla Mostra è rimasto in mano ai singoli spettatori, che hanno deciso come e quanto attenersi alle regole, sotto lo sguardo attento delle maschere che, oltre a vigilare contro la pirateria, hanno dovuto aguzzare la vista per richiamare all’ordine chi esponeva il naso durante le proiezioni.
In definitiva però, di questa edizione segnata dal Covid-19, l’attenzione si è subito spostata sui film. A un primo sguardo generale sul programma si poteva pensare che questa edizione sarebbe stata contrassegnata da film sperimentali, autori meno noti che avrebbero presentato lavori meno canonici, dato anche il periodo critico in cui questi film sono stati completati. A guardare invece i premi assegnati possiamo invece affermare il contrario. Venezia ha mantenuto una linea che guarda al mercato. A cominciare da Nomadland, ottimo film di Chloé Zhao, regista cinese naturalizzata statunitense e ora impegnata nell’ultima produzione Marvel, fino al disturbante Nuove Orden, produzione messicana che punta su una rappresentazione fumettistica della violenza, senza però riuscire a coinvolgere lo spettatore in una vera riflessione sull’ingiustizia sociale, e che pare nato pronto per la diffusione su Netflix. Film validi, come Pieces of a Woman insignito con la Coppa Volpi per la miglior attrice a Vanessa Kirby; film che effettivamente rappresentano un festival in cui l’originalità è comparsa ai margini, nei film minori e meno visti, mentre il concorso vedeva competere film semplici, rotondi, completi, perfetti magari, ma che aggiungono poco o nulla alla ricerca sul linguaggio del cinema contemporaneo. Ci sono però le dovute eccezioni: Never Gonna Snow Again di Małgorzata Szumowska e Michał Englerte e In Between Dying di Hilal Baydorov sono stati i titoli più atipici e articolati del concorso e che, pur facendo riferimento a filmografie e autori precedenti, danno un loro contributo a un discorso sul cinema come luogo di riflessione, di sospensione e anche di morte, un luogo dove una società contrassegnata da violenza e mutamenti incontrovertibili si ritira fino a scomparire.
Per quel che riguarda i film italiani, presenti numerosi in tutte le sezioni della Mostra, pochi hanno ottenuto un riconoscimento ufficiale: il Leone per la Miglior Sceneggiatura della sezione Orizzonti è andato a Sergio Castellitto con il suo esordio I predatori, mentre Pierfrancesco Favino ha vinto la Coppa Volpi come Miglior Attore in Padrenostro di Claudio Noce. Questi e molti altri titoli italiani saranno presto in sala, per rilanciare i settori della distribuzione e dell’esercizio pesantemente penalizzati dai mesi di lockdown e successivamente dal periodo estivo.
Vedremo se il pubblico li accoglierà con un calore diverso da quello ricevuto a Venezia, nella speranza di una nuova annata in cui la ripartenza di progetti e produzioni porterà a nuove opere italiane di rilievo.
TORINO JOB FILM DAYS
Nell’ambito delle celebrazioni di “Torino città del cinema 2020”, dal 21 al 23 settembre, presso il cinema Massimo, si è svolta la prima edizione dei “Torino Job Film Days”, festival dedicato ai diritti dei lavoratori, ma non solo.
Nato in occasione del settantesimo anniversario dello Statuto dei Lavoratori, il festival, diretto dalla dottoressa Annalisa Lantermo, medico del lavoro e dirigente della ASL di Torino, si è configurato infatti sia come un vero e proprio concorso aperto a cortometraggi documentari o di fiction dedicati, in varia forma, alla tematica, sia come un momento di riflessione sulla rappresentazione del lavoro nel cinema e sulla professioni fel cinema, in particolare nella tribolata fase post-pandemia di COVID-19.
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In concorso nella sezione “Giornate degli Autori” alla settantasettesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Spaccapietre dei fratelli De Serio porta sul grande schermo una storia dall’attualità spiazzante e insieme in grado di attraversare trasversalmente tempi diversi, collocandosene al di fuori: una storia assoluta.
Ambientato nelle periferie pugliesi dei nostri giorni, il film si addentra nei soprusi di un caporalato senza tempo, che oggi come ieri violenta la dignità dell’uomo. L’inesorabile movimento di discesa negli inferi di questa realtà si compie nel film con un andamento talmente naturale da turbare, come uno scivolamento che inevitabilmente conduca alla scoperta di un orrore sempre maggiore.
“LE SORELLE MACALUSO” DI EMMA DANTE
Nella periferia di Palermo, in una grande casa avvolta in una perenne penombra, vivono da sole cinque sorelle, ognuna di loro diversa dalle altre quattro, sia per età sia per indole: chi ha sempre il naso dentro un libro; chi pensa solo a farsi bella; chi ha la passione per il cibo; chi sogna di diventare una ballerina; e chi, ancora, non ha una personalità ben definita, e guarda alle sorelle maggiori per capire chi vuole essere.
L’unico mezzo di sostentamento delle ragazze è l’allevamento e l’addestramento di colombe per i grandi eventi mondani. E quando non si occupano di questo compito a tratti snervante, le cinque sorelle vanno al mare, per ballare e per sconfiggere la canicola facendo un tuffo nell’azzurro male siciliano. Ma è proprio in questo luogo deputato al loro svago che si abbatterà la disgrazia che cambierà per sempre le loro vite.
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La pandemia da Covid-19, che stiamo ancora vivendo benché in pochi sembrino ricordarselo, ha messo ulteriormente in luce il fatto che la società contemporanea viva sotto una “dittatura della felicità” o happycracy, come l’hanno definita Edgar Cabana ed Eva Illouz in un libro omonimo del 2019 (uscito in Italia per Codice Edizioni).
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Lui si chiama Matthias (Gabriel D’Almeida Freitas): 26 anni, promessa di un prestigioso studio legale canadese, irsuto, concreto. Lui si chiama Maxime (Xavier Dolan): 26 anni, barista, ipersensibile, una voglia rosso acceso sulla guancia destra, in procinto di lasciare il Canada per trasferirsi in Australia. I due sono amici sin dall’infanzia e nel corso degli anni hanno sviluppato un rapporto di fratellanza più di sangue che spirituale, onesto e scevro da qualsiasi imbarazzo.
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Dopo più di tre mesi di lockdown, il 15 giugno le luci dei cinema si sono riaccese. Era un giorno molto atteso, carico di speranze e di timori nell’illusione che con l’arrivo di questa data avremmo capito il futuro del cinema. Ma se già si parlava di crisi delle sale prima dell’emergenza Covid-19, come aspettarsi un evento straordinario per il giorno della riapertura? Sono stati infatti 116 gli schermi attivati, neanche il 10% sul totale di 1.218 presenti sul territorio. I film proposti sono stati 41, dei quali soltanto 8 sono state prime visioni al cinema di film già disponibili al pubblico attraverso piattaforme on demand, come Les Misérables e Favolacce.
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“EMA” DI PABLO LARRAÍN
Un semaforo brucia nella prima inquadratura. Una ragazza con lanciafiamme e capelli biondo platino osserva, poco distante. È Ema (Mariana Di Girolamo) e quel fuoco, con cui si apre l’ultimo film di Pablo Larraín e che non smetterà mai di ardere, è il fuoco che le brucia dentro. Il fuoco dei sensi di colpa causati dalla decisione di riportare in orfanotrofio Polo, il bambino adottato insieme al marito Gastòn (Gael García Bernal). È un fallimento che non le dà pace.
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Nel lontano 2015, quando Amazon stava iniziando a metabolizzare il fatto di “produrre e distribuire film”, Netflix, con Beasts of No Nation, in concorso a Venezia, si confermava l’indesiderato disgregatore dell’industria cinematografica. I servizi streaming non erano più solo un’idea abbozzata di ciò che il futuro avrebbe potuto riservare: in pochissimi anni, hanno rappresentato – e rappresentano tutt’ora – un’enorme quantità di denaro investita per l’acquisto di spettacoli, film di successo e produzione di titoli originali. E poiché le statistiche che stanno dietro a tutto questo sono praticamente sconosciute, quanto (e come) gli abbonati si convertano in termini di fatturato rimane un mistero.
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