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“L’OSPITE” DI DUCCIO CHIARINI

Verte sulla precarietà questo “romanzo di formazione fuori tempo massimo”, come l’ha definito il regista stesso, che indaga il dissidio tra età biologica e psicologica. Duccio Chiarini arriva a Torino con il suo secondo film, L’ospite, compreso tra i titoli della sezione Festa Mobile del Torino Film Festival e accolto con calore dal pubblico in sala.

Un racconto equilibrato che mescola sapientemente ironia e dramma mostrando il “viaggio” di Guido, ricercatore universitario sulla soglia dei quaranta costretto a ricomporre i pezzi della propria esistenza dopo una relazione fallita.

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“WILDLIFE” BY PAUL DANO

Article by: Giorgia Bertino

Translation by: Cecilia Facchin

Some people may remember him as the quiet and peevish guy hidden by his long black hair in Little Miss Sunshine, or as a writer on the verge of a crisis who falls in love with one of his characters in Ruby Sparks; for all the film-lovers, he is also an actor pushed down by the weight of a career born and dead in blockbusters in Youth, and, for the most curious ones, he is the best friend of a zombie with superpowers in the eccentric Swiss Army Man. It goes without saying: Paul Dano acted in many movies, working with directors such as Paul Thomas Anderson, Ang Lee, Steve McQueen, Paolo Sorrentino and Denis Villeneuve. It is important to keep that in mind if you are watching the first film directed by this 34-year-old man, who decided to take on the challenge of filmmaking after many years of acting at high levels.

Wildlife – one of the nominees for the TFF36 contest – tells the slow and transparent story of the implosion of a family which moves to Montana.

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“WILDLIFE” di PAUL DANO

C’è chi se lo ricorda silenzioso e imbronciato, nascosto dietro un folto ciuffo di capelli neri in Little Miss Sunshine, o nei panni di uno scrittore in crisi che s’innamora di uno dei suoi personaggi in Ruby Sparks; per i più cinefili, è anche un attore soffocato dal peso di una carriera nata e finita nei blockbuster in Youth – La giovinezza e, per i più curiosi, il migliore amico di un cadavere con i super poteri nell’eccentrico Swiss Army Man. Insomma, di film Paul Dano ne ha fatti parecchi, lavorando con registi del calibro di Paul Thomas Anderson, Ang Lee, Steve McQueen, Paolo Sorrentino, Denis Villeneuve. Ed è importante tenerne conto se si ha davanti l’opera prima di un trentaquattrenne che, dopo anni di recitazione di un certo livello, decide di misurarsi con la regia.

Wildlife – in concorso al TFF36 – è il racconto lento e trasparente dell’implosione di una famiglia americana trasferitasi in Montana.

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“LAND” BY BABAK JALALI

 

Article by: Annagiulia Zoccarato

Translation by: Emiliana Freiria

 

The contemporary history of Native Americans is sad and scarcely talked about, but the Torino Film Festival seems to hold those who tell it in high regard. After Avant les rues, competing in Torino 34, and the excellent Wind River by Taylor Sheridan, previewed last year, the next one is Land by the Iranian film director Babak Jalali, made with the support of Torino Film Lab.

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“LAND” di BABAK JALALI

La storia contemporanea dei nativi americani è una storia triste di cui si parla poco, ma il Torino Film Festival sembra in un certo senso avere un occhio di riguardo per chi la racconta. Dopo Avants les rues in concorso a Torino 34 e l’ottimo Wind River di Taylor Sheridan presentato in anteprima lo scorso anno, adesso tocca a Land dell’iraniano Babak Jalali, realizzato con il sostegno di Torino Film Lab.

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“IMPETUS” BY JENNIFER ALLEYN

Article by: Cristian Viteritti

Translated by: Giulia Maiorana

Impetus by Jennifer Alleyn is a hybrid film which combines typical expressive forms of documentary films, such as interviews, with fictional ways of narrating. The final product is a film full of storylines and timeframes that lead to a reflection on action and movement’s relevance and strength.

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“IMPETUS” DI JENNIFER ALLEYN

Impetus di Jennifer Alleyn è un film ibrido, che mescola alcune delle tipiche modalità espressive del documentario, come l’intervista, con i mezzi narrativi delle opere di finzione.  Il prodotto finale è un film ricco di intrecci e di linee temporali che terminano in una riflessione sull’importanza e la potenza del movimento, dell’azione.

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“Lace Crater” di Harrison Atkins

A 22 anni Harrison Atkins dirige il suo primo lungometraggio, non nascondendo di aver tratto ispirazione dal film Begotten di Edmund Elias Merhige, dove i personaggi sono tutti incappucciati o in costume, non parlano mai né fanno capire alcunché di sé stessi, un po’ come il fantasma del film di Atkins.

Proprio per quanto riguarda il il fantasma, il regista rivela di aver scelto questo tipo di costume creato con sacchi di iuta, proprio per allontanare il personaggio dai soliti cliché riguardanti gli spettri. Inoltre dichiara di aver preso a modello le maschere del teatro kabuki, anche se difficilmente si trovano congruenze tra il film e il suddetto teatro giapponese.

Per quanto concerne la protagonista, la sua seconda vita su un gioco di realtà virtuale viene spiegata dalla relazione con l’alienazione postmoderna generata dai social media, dove nonostante la morte, l’account continua ad esistere.

I tratti stilistici dell’horror soprannaturale si mescolano con sfumature melodrammatiche che in alcuni casi spiazzano lo spettatore, come si nota nelle prime fasi dell’incontro fra Ruth ed il fantasma, dove la protagonista quasi psicoanalizza il suo interlocutore. Tutto ciò ammorbidisce la tensione del film nei momenti più intensi.

La colonna sonora è composta prevalentemente da musica elettronica combinata in alcuni casi a effetti rallenty in altri a fasi spaesanti con immagini che tendono allo psichedelico. Atkins rivela che queste immagini sono frutto del caso, in quanto in postproduzione copiando i file su hard disk, accidentalmente si scollegò il cavo, creando questo effetto che poi il regista ha voluto lasciare, per sottolineare lo stato di alienazione e le fasi di malattia che la protagonista Ruth vive in scena.

Per concludere, vi invito caldamente a tenere d’occhio questo regista che al suo esordio nonostante la giovane età, è riuscito a portare al Torino Film Festival un ottimo film e a stupire.

Premiazioni TFF 32

Una chiusura in positivo per questo trentaduesimo Torino Film Festival: il 5% in più di biglietti venduti. Emanuela Martini, vice  direttore della precedente edizione, termina con successo il suo battesimo del fuoco al timone della kermesse con una selezione che ha saputo soddisfare ogni genere di palato.

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THE BABADOOK

Article by: Davide Bertolino

Translation by: Carla Cristina Loddo

After the success both of the critic and the audience at the Sundance Film Festival, The Babadook, first feature film by the newcomer Jennifer Kent, participates in competition at the Torino Film Festival. Even by following with absolute rigour the classical phases of horror films with a possession subject (the monster, the kid who plays with the presence, the mother initially incredulous), the Australian film cleverly avoids banality giving a new point of view, certainly in a more psychological and deeper way than numerous other products of the same genre.

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