«La filosofia del camionista è molto semplice: stai
seduto e guardi avanti, ma puoi guardare anche indietro.»
Con questo ricordo di uno dei tanti uomini che hanno
incrociato la strada del suo documentario, Hassen Ferhani spiega la
realizzazione di 143 Rue du désert,
in concorso al TFF nella sezione Internazionale.Doc.
Nel pomeriggio di giovedì 28 novembre il Torino Film Festival ha presentato, nella sua sezione più sperimentale e ardita, un blocco di quattro film di autori italiani, rispettivamente Carlo Michele Schirinzi, Mauro Santini, Giuseppe Boccassini e Salvo Cuccia. Sperimentazione è proprio la parola d’ordine necessaria per capire le scelte che hanno portato i selezionatori ad inserire queste opere nel festival, opere difficili e metaforiche che provocano apertamente l’osservatore con l’obbiettivo di ottenere una reazione, sia essa un’attivazione del pensiero critico o una fuga dalla sala.
Il consueto appuntamento con il cinema del regista Tonino De Bernardi nella sezione Onde rappresenta sempre un momento di riflessione sulla natura stessa dell’arte e sul più profondo scopo di quest’ultima. La carriera di De Bernardi è emblematica del cinema underground italiano, una realtà spesso non troppo valorizzata nel nostro Paese. “Il mio è un cinema nel tempo”, ha detto De Bernardi durante il Q&A al Reposi: un film realizzato con materiale girato dal 2009 al 2019 è al di fuori delle logiche produttive dell’industria cinematografica cosiddetta mainstream, ma anche di quella indipendente nel senso tradizionale.
Opera prima in concorso al TFF37, Ohong Village è il racconto minuto di un nucleo famigliare taiwanese. Minuto nello svolgimento, composto nella tecnica, frettoloso nell’assemblaggio di storia e immagini, Ohong Village fa più bella figura come documentario che come film a soggetto. Storia di un ritorno a casa di un giovane taiwanese, cervello in fuga, accolto nella sua immobile Taiwan dalla famiglia e dall’amico di sempre. Storia di menzogne, di simboli (fiacchi), e di suoni di incredibile potenza espressiva.
Queen & Slim
è la storia di come un controllo di routine da parte della polizia
possa trasformarsi
in un’esperienza molto diversa
per due afroamericani nell’America contemporanea. Rifacendosi alle
sempre più numerose storie di violenza da parte di poliziotti
bianchi su membri della comunità nera
il film parte da una provocazione: cosa succederebbe se la vittima
reagisse? Ernest “Slim” Hines (Daniel Kaluuya) e Angela “Queen”
Johnson (Jodie Turner-Smith) stanno tornando da un deludente
primo appuntamento quando vengono fermati da un poliziotto e, per
legittima difesa, lo uccidono; la pellicola li segue nella loro breve
ma intensa fuga attraverso gli Stati Uniti, nel tentativo di arrivare
a Cuba.
Ohong Village, director’s debut film, is the intimate portrayal of the
everyday life of a Taiwanese family. Due to its detailed development,
understated technique, hasty images and story editing, it seems to be
more of a documentary than a feature movie.
It talks about a highly skilled and extremely clever boy who has
just got back home to Taiwan, to his family and his longlife friend. It talks
about lies, about (weak) symbols, and about incredibly powerful and emotional
sounds.
Già protagonista del film in concorso Raf (Harry Cepka), Grace Glowicki partecipa al Torino Film Festival anche in veste di regista con il suo primo lungometraggio, Tito.
Tito (interpretato dalla stessa Grace Glowicki) è un disadattato, un emarginato che, dopo aver subito una violenza, vive isolato nella sua casa arredata con un mobilio essenziale, perseguitato da suoni terrificanti e immaginari mostri che sembrano essere in agguato ovunque lui si trovi, tormentato da un malessere fisico che gli impedisce anche di mangiare. All’improvviso appare nella sua casa un “friendly neighbour” (Ben Petrie) – come viene presentato nei titoli di testa – che parla senza sosta, lo nutre, gli fa assumere sostanze stupefacenti e sembra, per un istante, sottrarlo alla sua solitudine e paura, prima di rivelarsi come un altro dei suoi carnefici.
Un viaggio spesso è qualcosa che spaventa perché presuppone un cambiamento: il lasciarsi alle spalle un luogo per raggiungerne un altro. Tuttavia esso può essere anche più astratto, ovvero una situazione interiore che un individuo si appresta a vivere, una sorta di viaggio per scoprire se stessi.
Not only as the protagonist in the film Raf (Harry Cepka), Grace Glowicki also participates in Torino Film Festival as a director with her first feature film, Tito.
Tito (interpreted by Grace Glowicki herself) is a misfit, an outcast who, after having suffered violence, lives isolated in his house with sparing furniture. He is haunted by scary sounds and imaginary monsters that seem to be in ambush wherever he is. Tito is also tormented by a physical illness that prevents him even from eating. Suddenly a “friendly neighbour” (Ben Petrie) – as he is presented in the opening credits – appears in his house. He talks incessantly, and Tito feeds him, makes him take drugs, and, for a while, he seems to get him out of his solitude and fear, but actually he will reveal himself as another of his executioners.
È tanto innata quanto audace la spinta dell’uomo verso mondi nuovi. È il vettore che caratterizza l’evoluzione e che dipende dalla giusta combinazione di curiosità, necessità e impudenza: dalla prima scimmia che scese dall’albero al primo uomo che poggiò piede sulla luna. Eppure non serve nessuna speciale propulsione per ritrovarsi a esplorare l’inesplorato, è necessario solo cambiare punto di vista.
Article by: Laura k. Barbella Translated by: Gabriele Cepollina
So bold and natural is the mankind’s urge to explore new worlds. It is what features the process of evolution, that depends on the right combination of curiosity, need and audacity: from the first monkey that descended of its tree, up to the first man who walked on the surface of the moon. Nonetheless, if you really want to adventure the unexplored, it is not necessary to be pushed, changing your own point of view is just enough.
Opera prima dei due registi italiani realizzata grazie ad una produzione indipendente italo-americana. Nel cast spiccano, su tutti, Anthony Hopkins, Madeline Brewer e Camille Rowe. Si tratta di un film complesso, dal carattere fortemente sperimentale, che si articola su due principali livelli di lettura.
Article by: Sirio Alessio Giuliani Translated by: Anna Benedetto
Debut film of two Italian directors, Spinotti and De Amicis, Now is Everything was made thanks to an Italian-American indie production, starring the talented Anthony Hopkins, Madeline Brewer and Camille Rowe. It is a rather complex film with various experimental elements in it, paving the way for two possible interpretations.
Il giovane regista Harry Cepka, al TFF37 con il suo lungometraggio di debutto, esplora le dinamiche di potere nei rapporti interpersonali. “Un film costato 5 anni di sudore, lacrime e sangue”: così Cepka introduce l’opera, resa possibile dalla ormai già consolidata collaborazione con l’attrice Grace Glowicki (di cui ha prodotto Tito, 2019), interprete della protagonista Raf.
The young director Harry Cepka takes part to the TFF37 with his debut feature film. He explores the power dynamics in interpersonal relationships. “It took me five years of tears, sweat and efforts to make this film.” says Cepka to introduce his work, which is the result of the collaboration with the actress Grace Glowicki (of which he produces Tito in 2019) who interprets Raf.
Dopo Frastuono, presentato al TFF nel 2014, Davide Maldi realizza il secondo capitolo di una trilogia sull’adolescenza. Il film, presentato nella sezione TFFDOC/italiana, parte da un presupposto ben preciso: ricercare un contesto in cui dei ragazzi siano portati sin dalla giovane età a imparare un mestiere e, di conseguenza, ad accelerare il proprio percorso di crescita. Da qui deriva la decisione di segire il primo anno scolastico di una classe di cinque studenti di un istituto alberghiero.
Article by: Valentina Velardi Translated by: Alice De Vicariis
After Frastuono, presented at the TFF in 2014, Davide Maldi makes the second chapter of a trilogy on adolescence. The film, presented in the section TFFDOC/italiana, starts from a clear premise: the search for a context where teens are encouraged to learn a profession at an early age, and so grow up faster. For this reason, Maldi decided to follow the first school year of an hospitality institute class composed of five students.
È il 1989 e in televisione scorrono ininterrotte le immagini della morte di Nicolae Ceaușescu e della moglie Elena. Federica (Jasmine Trinca) sta festeggiando il Natale con la sua famiglia quando, per la prima volta, soffre di una crisi epilettica. Qualche anno più tardi è un’adolescente ossessionata dal cult Simple Men (Hal Hartley, 1992) e dal personaggio interpretato da Elina Löwensohn, afflitta nel film dallo stesso disturbo. I destini delle due donne sono destinati a intrecciarsi vorticosamente quando una Federica ormai adulta (e regista) incontra l’attrice rumena per le vie di Roma. La cineasta propone a Elina di interpretare se stessa in un biopic ambientato a Bucarest e l’attrice supera le sue riluttanze nella speranza di riguadagnarsi un successo da tempo sopito. Simple Women, lungometraggio di esordio di Chiara Malta, dichiara i suoi intenti fin dalle battute iniziali, sovrapponendo registri diversi in un racconto meta-cinematografico che sfuma i confini tra realtà e finzione.
Article by: Giulia Leo Translated by: Selene Novaro Mascarello
It’s 1989 and television is broadcasting footage of Nicolae Ceaușescu and his wife Elena’s deaths. Federica (Jasmine Trinca) is spending Christmas with her family when she has her first epileptic seizure. A few years later she is a teenager, obsessed with the cult movie Simple Men (Hal Hartley, 1992) and with Elina Löwensohn’s character, who suffers from the same neurological disorder. Their fates are destined to intertwine when Federica, now an adult and a film director, meets the Rumanian actress in Rome. She offers her a part as herself in a biopic set in Bucharest; despite her initial reluctance, the actress accepts, hoping to regain some of her long-lost fame. Simple Women is Chiara Malta’s debut film; the director’s intent is made clear from the very beginning, with an intermixture of different registerswithin a meta-cinematic frame in which the lines between reality and fiction are blurred.
Francesco Dongiovanni’s documentary, I giorni e le opere, competes at TFF in the Italian.Doc section. It is about the meeting between two souls. Peppino is a quiet countryman who moves on the blurry line between the past and the present. Dongiovanni follows him paying attention not to trample on that fine line which divides the two dimensions, and that seems to survive only in Peppino. One of the most important features of the film is the breeder’s skillful work, but the director’s touch is also remarkable: the silent long shots – even when they are empty – are characterized by the swinging of the hand-held camera. Thanks to this technique, horizons imperceptibly bend and dissolve, and the loneliness of the different locations appear even more meaningful.