Archivi categoria: Torino Film Festival

“SIN SEÑAS PARTICULARES” BY FERNANDA VALADES

Article by Francesco Dubini

Translated by Carmen Tucci

A los migrantes, en sus viajes inciertos y llena de promesas, a las famillas de los desaparecidos.

This dedication closes the end credits of a movie that doesn’t end for real, but it continues to vibrate in the powerful echo of reality that tells. Immigrants, their uncertain journeys with a lot of promises, families of missing people : the movie is about these facts following Magdalena’s journey, a mother who’s looking for his son, who left for the United States in search of safety and disappeared for months. Born as a short film in 2012, the movie grows with its director with the bad situation that tells, about violence that tears mexican society apart and it opens a wound that doesn’t stop bleeding. Fernanda Valadez chooses to analyze that blood through the measure of intimacy : Sin señas  particulares denounces the pain of a country through the pain of a mother.

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“SIN SEÑAS PARTICULARES” dI FERNANDA VALADES

A los migrantes, en sus viajes inciertos y llena de promesas, a las famillas de los desaparecidos.

Questa la dedica che chiude i titoli di coda di un film che non finisce per davvero, ma continua a vibrare nell’eco potente della realtà che racconta. Dei migranti, dei loro viaggi incerti e pieni di promesse, delle famiglie dei dispersi: il film racconta tutto questo percorrendo il viaggio di Magdalena, madre alla ricerca di un figlio partito per gli Stati Uniti in cerca di salvezza e scomparso da mesi. Nato come cortometraggio nel 2012, il film ha continuato a crescere con la sua regista insieme al male che racconta, quello della violenza che lacera la società messicana di oggi e continua ad aprire una ferita che non smette di sanguinare. Fernanda Valadez sceglie di analizzare quel sangue attraverso la misura dell’intimità: Sin señas particulares è un film che denuncia il dolore di un paese, nell’esperienza del dolore di una madre.

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“THE EVENING HOUR” DI BRADEN KING

Una lenta panoramica accarezza la vastità del paesaggio montano dell’Appalachia; in lontananza una flebile esplosione destabilizza per pochi secondi la pace di quella visione paradisiaca. Tutto tace. Si apre così The Evening Hour, il nuovo lungometraggio di Braden King che, dopo nove anni dal successo di Here (2011), ritorna adattando per il grande schermo l’omonimo romanzo di Carter Sickels. Nella sua nuova opera, King privilegia uno sguardo più realistico sulla vita della periferia americana, depotenziando i classici stilemi narrativi del noir ed instillando, al contempo, una profonda riflessione sul destino di un’intera generazione: giovani disillusi nei confronti di un futuro inesistente, costretti a subire la pressione di un mondo che non concede alcuna via di fuga, se non quella di annegare nell’abisso della droga e della violenza.

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“THE EVENING HOUR” BY BRADEN KING

Article by Luca Giardino

Translated by Carmen Tucci

A slow overview opens onto the mountain landscape of Appalachia; in the distance a feeble explosion destabilizes for a few seconds the peace of that vision of paradise. Everything is quiet. This is how The Evening Hour starts, the new feature film produced by Braden King who, after nine years from Here (2011), comes back adapting for the big screen the Carter Sickel’s novel of the same name. In his new movie, King focuses on the realistic life of American suburb, discouraging the classical stylistic noir narrative elements and instilling a deep reflection about the fate of an entire generation: young people feel disillusioned about a non-existent future, forced to suffer the pressure of a world that doesn’t give escape apart from becoming addicted to drugs and violence. 

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“LAS NIÑAS” BY PILAR PALOMERO

Article by Laura Anania

Translated by Francesca Cozzitorito

Pilar Palomero’s first feature film has two strong points: realism and ease. This combination characterises both the storyline and the overall style, making Las Niñas an emotional and nostalgic film. The protagonist is Celia, an eleven-year-old girl who lives with her young mother in Zaragoza in the early 90s. Her friendship with Brisa, the new girl in town, who rejects religion as a totalising concept, shows Celia a different understanding of reality.

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“LAS NIÑAS” DI PILAR PALOMERO

Il primo lungometraggio di Pilar Palomero ha due punti di forza: realismo e disinvoltura. Un connubio presente tanto nel racconto quanto nello stile, così da rendere Las niñas un film emozionante e in un certo senso nostalgico. Celia, la protagonista, ha undici anni e vive con la giovane madre a Saragozza nei primi anni ’90. La nuova amicizia con Brisa, una ragazza che non accetta la religione come precetto totalizzante, manifesta a Celia una nuova visione della realtà.

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“THE SALT IN OUR WATERS” by REZWAN SHAHRIAR SUMIT

Article by Valentina Velardi

Translated by Francesca Cozzitorto

Rudro (Titas Zia), a young artist in search of inspiration, decides to leave the chaotic life of Dhaka and embark on a journey to a remote mangrove island in the Bangal Delta. At first, he is welcomed by the local community, a small group of families who make their living fishing, but Rudro soon finds himself misunderstood and then ostracized by the villagers. Led by the Chairman (Fazlur Rahman Babu), imam and local leader, they first stare suspiciously and then with open disapproval at his installations and habits.

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“THE SALT IN OUR WATERS” DI REZWAN SHAHRIAR SUMIT

Rudro (Titas Zia), giovane artista in cerca di ispirazione, decide di lasciare la caotica vita della capitale Dhaka e intraprendere un viaggio in una remota isola di mangrovie sul delta del Bangladesh. Inizialmente accolto dalla piccola comunità locale, un ristretto gruppo di famiglie che si sostenta grazie alla pesca, Rudro si ritrova ben presto frainteso e poi ostracizzato dagli abitanti del villaggio. Questi, guidati dal Messere (Fazlur Rahman Babu), imam e capo locale, guardano prima con sospetto e in seguito con aperta disapprovazione le sue istallazioni così come le sue abitudini.

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“SAN DONATO BEACH” BY FABIO DONATINI

Article by Sirio Alessio Giuliani

Translated by Simona Sucato

“The world goes on but you feel a little further behind”

Patrizia pronounces this sentence looking towards the camera. The sounds of the nearby street are the background to her words. The sun enlights her face and from her eyes transpires the typical melancholia of those who have suffered much, but also the hope of who doesn’t want to surrender. In this photo we can summarize the meaning of San Donato Beach, the new Fabio Donatini’s feature film, in competition at the 38° Torino Film Festival in the section TFFDOC/ Italiana.

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“SAN DONATO BEACH” DI FABIO DONATINI

“Il mondo va avanti ma tu ti senti un po’ più indietro”.

Patrizia pronuncia questa frase fissando l’obiettivo. I rumori della strada vicina fanno da sottofondo alle sue parole. Il sole le illumina il volto e dai suoi occhi traspare la malinconia tipica di chi ha sofferto molto, ma anche la speranza di chi non si vuole arrendere. In questa istantanea si può riassumere il senso di San Donato Beach, il nuovo lungometraggio di Fabio Donatini in concorso al 38° Torino Film Festival nella sezione TFFDOC/ Italiana.

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“I TUFFATORI-the divers” by DANIELE BABBO

Article by Marco Ghironi

Translated by Aurora Sciarrone

The town of Mostar, its divers and a bridge really do split the generations of a community that is trying to forget and move on from war. Competing in the Italiana.doc’s section, Daniele Babbo makes his directorial debut with I Tuffatori – The Divers, quietly moving in the heart of Bosnia, along with the voices and memories of Igor, Denis, Miro, Edy and Goran. Faces and bodies that bewitch tourists with their leaps into the void, and at the same time hide the fear of an unknown future.

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“I TUFFATORI” DI DANIELE BABBO

La città di Mostar, i suoi tuffatori ed un ponte fanno da vero e proprio spartiacque generazionale di una comunità che cerca di andare avanti e dimenticare la guerra. In concorso nella sezione Italiana.doc, Daniele Babbo compie con I Tuffatori il suo esordio alla regia muovendosi silenzioso nel cuore della Bosnia accompagnato dalle voci e dai ricordi di Igor, Denis, Miro, Edy e Goran. Volti e corpi che con i loro salti nel vuoto ammaliano i turisti, mascherando allo stesso tempo le paure di un futuro incerto.

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“OUVERTURES” By THE LIVING AND THE DEAD ENSEMBLE

Article by Angelo Elia

Translated by Valeria Collavini

Every revolution opens the way to unlimited possibilities and presents a challenge to everyone’s ability to imagine a new future, hoping not to be let down. Let’s consider the example of the Haitian Revolution: almost simultaneous to the French one, it was the only slave insurgency that led to the establishment of an independent state, Haiti. The rest of its history is unfortunately known to be less glorious: a long, sad series of misfortunes, dictatorships, and economic and even natural disasters. More than two hundred years later, European directors Louis Henderson and Olivier Marboeuf come together with a group of Haitian actors to reflect upon the legacy of the Haitian Revolution through the story of one of its best-known protagonists, Toussaint Louverture. To tell his story they start from the ending, namely in France.

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“OUVERTURES” DI THE LIVING AND THE DEAD ENSEMBLE

Ogni rivoluzione apre la strada a infinite possibilità e pone a ognuno l’ardua sfida di immaginare un nuovo futuro, sperando di non venire delusi. Si prenda come esempio la rivoluzione haitiana: quasi contemporanea a quella francese, fu l’unica rivolta di schiavi nella Storia a dare vita a uno stato indipendente, Haiti. Il resto della storia, come si sa, è purtroppo meno glorioso: una triste e lunga sequela di miseria, dittature, disastri economici e infine naturali. A più di duecento anni di distanza, i registi europei Louis Henderson e Olivier Marboeuf si uniscono ad alcuni attori haitiani per cercare di riflettere sull’eredità della rivoluzione haitiana attraverso la storia di uno dei suoi più celebri protagonisti, Toussaint Louverture. E raccontano questa storia partendo dalla fine, cioè dalla Francia.

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“POR EL DINERO” DI ALEJO MOGUILLANSKY

In una Buenos Aires fagocitata dal libero mercato, una scalcagnata compagnia teatrale di quattro attori cerca di sopravvivere al progressivo annientamento delle produzioni indipendenti. Ognuno di loro vive di altro, e insieme combattono per difendere il sogno di un’arte radicale, libera, finalmente svincolata dai capricci del capitale. Madame Acuña (Luciana Acuña) ad esempio insegna coreografia all’università, suo marito (Alejo Moguillansky) gira spot commerciali su commissione, il vecchio Obelix (Gabriel Chwojnik) invece svende colonne sonore alle agenzie pubblicitarie e monsieur Perpoint (Matthieu Perpoint), il francese appena arrivato in Sudamerica con l’aspirazione della danza, si trova suo malgrado a dover impartire noiose lezioni di lingua.

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“SYNONYMES” DI NADAV LAPID

Passato in sordina al TFF (e non aiutato forse dall’essere stato proiettato nella saletta più piccola a disposizione del Festival, la 5 del Reposi), Synonymes è un film grande, di quelli che dopo la visione covano prepotenti e gonfiano nel tempo, avvinghiandosi alla memoria dello spettatore. Film feroce, saturnino, ingrato, delicato, caustico, frustrato – e via ancora elencando la lunga serie di sinonimi che, nel titolo e nella locandina, segnalano le aggettivazioni possibili per descrivere l’umore malmostoso che anima il protagonista e il suo viaggio alla ricerca di una nuova identità.

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PREMIO MARIA ADRIANA PROLO A LORENZO VENTAVOLI

Quando si parla di cinema a Torino c’è un nome che ritorna spesso: Lorenzo Ventavoli. Siamo abituati a parlare di registi, di attori, di produttori, mentre si parla molto meno di esercenti e pionieri nella divulgazione delle opere cinematografiche. Lorenzo Ventavoli è uno di questi, una figura poliedrica fondamentale per il cinema a Torino e in Italia, e che per questo è stato premiato il 23 novembre dall’Associazione Museo del Cinema con un premio alla carriera Maria Adriana Prolo. 

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“DELPHINE ET CAROLE, INSOUMUSES” DI CALLISTO McNULTY

Be Pretty and Shut Up! è il titolo del documentario che Delphine Seyrig – insieme a Carole Roussopoulus – ha realizzato alla fine degli anni settanta. Entrambe credevano fermamente che fosse indispensabile dare voce alle donne, in particolare a quelle che nell’immaginario comune vivevano soltanto veicolate dalle imposizioni di uomini: le attrici. 

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ITALIANA.CORTI

Contravvenendo a una elementare regola di buona educazione si parlerà prima degli assenti: i corti di finzione. È forse il limite più grande della sezione Italiana.corti, che toglie spazio alla fiction concedendolo esclusivamente al documentario, alla docufiction, al mockumentary. Tornando alle buone maniere per quanto riguarda, invece, i presenti, la linea della selezione è chiara: si parte da una base di realtà. Reale che può essere alterato, rielaborato, persino negato, ma che è punto di partenza imprescindibile. La realtà catturata mentre accade, in sostanza. 

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PREMIO DAMS A VLADIMIR GOLOV (“DYLDA”)

Per la prima volta nella storia del Torino Film Festival, il DAMS viene chiamato a partecipare attivamente alla composizione del palmarès della trentasettesima edizione. Il premio è dedicato alla figura, spesso sottovalutata, del casting director, colui che, in base alle specifiche necessità del copione, è chiamato a selezionare gli attori che parteciperanno alla produzione di un film.

Cinque studenti del Corso di studi – Niccolò Buttigliero, Dario Cerbone, Camilla Fusato, Stefano Tropiano e Chiara Varese – coordinati dalla professoressa Maria Paola Pierini, docente di Tecniche dell’attore, hanno visionato tutti i film in concorso per decidere quale tra essi disponesse della maggiore coerenza tra attori e copione. La giuria ha assegnato il premio a Vladimir Golov, casting director di Dylda di Kantemir Balagov.

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