“GREENER GRASS” BY JOCELYN DEBOER AND DAWN LUEBBE

Article by: Noemi Castelvetro
Translated by: Francesca Massa

Jill (Jocelyn DeBoer) and Lisa (Dawn Luebbe), hectic mothers, trophy wives and frenemies, live in a small, thoroughly organized residential district, with disgusting pastel colors, where people go around with golf carts. Jill is a people pleaser, and she decides to give her newborn to Lisa, whom accepts: the people around the two women smoothly approve this exchange, and surreal events full of symbolic elements increase. 

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“GREENER GRASS” DI JOCELYN DEBOER E DAWN LUEBBE

Jill (Jocelyn DeBoer) e Lisa (Dawn Luebbe), madri frenetiche, casalinghe mantenute e migliori nemiche, vivono in una piccola città residenziale maniacalmente organizzata, dai nauseanti colori pastello, dove la gente va in giro in golf cart. Jill ha uno strano bisogno di compiacere le persone, a tal punto da offrire impulsivamente il proprio neonato a Lisa, che lo accetta: questo episodio, considerato come perfettamente normale da tutti coloro che vorticano attorno alla vita delle due donne, apre la strada a eventi sempre più surreali, in cui è possibile riconoscere, attraverso un occhio più analitico, alti contenuti simbolici.

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“LA GOMERA” DI CORNELIU PORUMBOIU

I fini intenditori a Cannes l’hanno bollato come giochino fine a se stesso, come pasticciaccio brutto o esperimento formale non all’altezza delle sue ambizioni. Meno sonora, più pacata, la schiera degli entusiasti, che alla kermesse francese pure erano presenti e l’hanno applaudito tanto quanto i detrattori lo hanno fischiato. Il nuovo film del regista rumeno un pasticcio, diciamolo subito, lo è per davvero: postmoderno, però, e non ruffiano.

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“LA GOMERA” BY CORNELIU PORUMBOIU

Article by: Fabrizio Spagna
Translated by: Gabriele Cepollina

Film critics in Cannes have branded it as a childish play, a bundle of tangles or a formal experiment which has failed the expectations. On the other hand, the crowd of the enthusiasts present at the display is quiet and has praised it as much as its detractors have booed it. The new movie made by the Romanian director is actually a bundle of tangles: a postmodern but not a pimped one.

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“IL GRANDE PASSO” DI ANTONIO PADOVAN

Alla sua seconda esperienza alla regia, dopo Finché c’è prosecco c’è speranza (2017), Antonio Padovan ci presenta un’opera che è un’insolita e atipica mescolanza di film dal sapore fantascientifico alla Spielberg e commedia tutta italiana, senza dimenticare l’influenza dei film di Carlo Mazzacurati, regista della sua stessa terra.

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“IL GRANDE PASSO” BY ANTONIO PADOVAN

Article by: Silvia Gentile
Translated by: Lucrezia Villa

After his debut as a director with Finchè c’è prosecco c’è Speranza (2017), Antonio Padovan presents his second film, which is an atypical combination along the lines of Spielberg’s science-fiction films and Italian comedies, not to mention the great influence of director Carlo Mazzacurati, with whom Padovan shares roots. 

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“MADE IN BANGLADESH” DI RUBAIYAT HOSSAIN

Made in Bangladesh, come le etichette che troviamo sui nostri vestiti: fin dalle prime immagini il film si concentra sulle dure condizioni di lavoro cui sono sottoposte le donne che li producono, in stanze sovraffollate e senza misure di sicurezza. La protagonista Shimu (Rikita Nandini Shimu), dopo la morte di una collega in un incendio nella fabbrica, si ribella a queste condizioni e inizia a collaborare con una giornalista per fondare un sindacato che tuteli le lavoratrici (tutte donne, perché per loro è previsto un salario inferiore rispetto agli uomini e perché ritenute più facilmente controllabili).

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“MADE IN BANGLADESH” BY RUBAIYAT HOSSAIN

Article by: Ottavia Isaia
Translated by: Francesca Massa

Made in Bangladesh, just like the labels we find on our clothes: from the first frames, the film focuses on the harsh working conditions under which the women who produce them are subjected, in overcrowded rooms and without security measures. The leading character Shimu (Rikita Nandini Shimu), after the death of a colleague in a factory fire, fights against these conditions and begins to collaborate with a journalist to start a union that protects women workers (all women, because they are considered more easily manageable and they are paid less than men).

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“THE GOOD LIAR” DI BILL CONDON

Dopo aver riscosso un discreto successo nel 2015 con il film Mr. Holmes. Il mistero del caso irrisolto, adattamento del libro di Mitch Cullin, Bill Condon si cimenta nuovamente in una trasposizione cinematografica. Tratto dall’omonimo romanzo di Nicholas Searle, The Good  Liar è un thriller drammatico che vede per la prima volta insieme sul grande schermo due attori del calibro di Helen Mirren e Ian McKellen.

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“THE GOOD LIAR” BY BILL CONDON

Article by: Maria Bruna Moliterni
Translated by: Viola Locci

In 2015 Bill Condon obtained a good success with Mr Holmes, a film inspired by Mitch Cullin’s book. Today Condon grapples with a new film based on Nicholas Searle homonymus’s novel, The Good Liar. The two main actors are Helen Mirren and Ian McKellen who play together for the first time on the big screen.

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“LE CHOC DU FUTUR” BY MARC COLLIN

Article by: Chiara Perillo
Translated by: Cecilia Malanima

Whatever foreruns the future, so innovations and changes, is often perceived as a choc from those who live in the present, since they’re still busy figuring out the past. From this point of view, Le choc du futur is emblematic, considering that the main issue concerns the creative process of a new kind of music: the music of the future.

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“LE CHOC DU FUTUR” DI MARC COLLIN

Tutto ciò che è precursore del futuro, dunque le innovazioni e i cambiamenti, spesso vengono percepiti come uno choc da coloro che vivono il presente, poiché ancora impegnati a decifrare il passato. Le choc du futur è emblematico da questo punto di vista, dal momento che il tema centrale è il processo creativo di un nuovo tipo di musica: la musica del futuro.

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“ALELÍ” DI LETICIA JORGE

Una spigliata vignetta sul saper ridere. Ridere del dolore e trasformarlo in qualcos’altro: questo è quello che cerca di fare Leticia Jorge nella sua opera seconda Alelí.
La famiglia Mazzotti è calorosa, avvolgente, squilibrata; la morte del padre è l’antefatto delle vicissitudini bizzarre e inverosimili che si susseguono nell’arco di una giornata. Una nera commedia familiare che si confrontano con uno schema classico: venuto a mancare un membro della famiglia, i parenti tentano di gestire il patrimonio materiale ed emotivo che il defunto si lascia dietro.

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“ALELÍ” BY LETICIA JORGE

Article by: Giulia Leo
Translated by: Francesca Massa

A confident illustration about knowing how to laugh. Laugh about the pain and turn it into something else: this is what Leticia Jorge does in her second work Alelí. The Mazzotti family is warm, enchanting, insane; the father’s death is the backstory of the odd and absurd misfortunes that occur in a day.  A family black comedy that follows a classic pattern: as a member of the family passes away, the relatives attempt to deal with the emotional and material heritage which the departed left behind.

“VITALINA VARELA” BY PEDRO COSTA

Article by: Alessandro Pomati
Translated by: Alice De Vicariis

Creatures that move around in the darkness, some limping, others standing on their feet. Creatures that live in some sort of ruins of an ancient city. Creatures that don’t talk, they just act, like animals. Creatures that, once they are pierced through by the dim light that comes from cracks, finally appear to us for what they are: human beings, mostly men.

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“VITALINA VARELA” DI PEDRO COSTA

Creature che si muovono nell’oscurità, alcune zoppicando, altre camminando ritte sulle gambe. Creature che vivono in quelle che parrebbero le vestigia di una città antica. Creature che non parlano, ma agiscono e basta, alla stregua di animali. Creature che, una volta trafitte da raggi di luce che entrano solo attraverso spiragli e pertugi, ci appaiono finalmente per quello che sono: esseri umani, per lo più maschi.

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“STARFISH” DI A.T. WHITE

La sensazione che si prova nel perdere una persona cara è quella di rimanere soli al mondo, di essere gli unici in grado di capire il dolore. Per Aubrey (Virginia Gardner), oltre al dramma della morte della sua migliore amica Grace (Christina Masterson), si aggiungono i sensi di colpa per non esserle stata accanto negli ultimi momenti della sua malattia. Il rimorso, appunto, la spinge a forzare la porta dell’appartamento dell’amica e a trascorrere lì la notte dopo il funerale. Al suo risveglio il villaggio è deserto, silenzioso in un modo anormale. In strada alcune valigie abbandonate sulla neve, rottami metallici, scie di sangue.

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“STARFISH” BY A.T. WHITE

Article by: Giacomo Bona
Translated by: Ilaria Roma

When you lose someone you care about, you feel lonely and the only person who can understand your pain is you. Besides the drama of losing her best friend Grace (Christina Masterson), Aubrey (Virginia Gardner) feels bad for not being there for her when she needed her the most. That is why, after her friend’s funeral, she decides to break into Grace’s apartment and spend the night there. The next morning, she wakes up and finds out that the entire town is strangely silent and empty. There are some abandoned suitcases, scrap metal and blood on the snowy streets.

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“MS. WHITE LIGHT” BY PAUL SHOULBERG

Article by: Beatrice Ceravolo
Translated by: Giorgia Bellini

“Death is thriving”, or “the death’s business is going really well”: these are the cynical but trustworthy words said by Spencer, a psychic played by Zachary Spicer, who also produced the film. That definition describes also the films revolving around this theme: it is quite rare to find a new approach to the everlasting issue of the end of life, but the second film by director Paul Shoulberg gives us a new surprising perspective.

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“MS. WHITE LIGHT” DI PAUL SHOULBERG

«Death is thriving», ossia «Il business della morte va alla grande», afferma cinicamente – ma a ragion veduta – Spencer, un medium interpretato da Zachary Spicer, che ha anche prodotto il film. Lo stesso potrebbe dirsi dei film che trattano questa tematica: è raro trovarvi un approccio originale per quanto concerne la sempreverde questione della fine della vita, ma la seconda esperienza da regista di Paul Shoulberg riesce a distinguersi in positivo.

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Il magazine delle studentesse e degli studenti del Dams/Cam di Torino