“Shinjuku Suwan” (“Shinjuku Swan”) di Sion Sono

Nell’universo manga ed anime vi sono molti generi.

Lo shonen, ovverosia il genere d’azione e combattimento dedicato ad un pubblico di adolescenti e giovani adulti, è sicuramente tra i più popolari, nonché probabilmente il più noto al di fuori del Giappone. DragonBall, One Piece, Naruto, sono alcune fra le serie più famose nel genere, viste da milioni di ragazzi in Italia come in tutto il mondo; sono opere profondamente legate a cliché (le cui radici talvolta affondano nella mitologia orientale), percorse da personaggi caratteristici e sorrette da strutture narrative spesso prevedibili nel loro sviluppo.

Shinjuku Swan è l’adattamento di uno di questi manga shonen, girato da Sion Sono nel suo impegnatissimo 2015 (ben cinque film in uscita). Ed è un adattamento che non stravolge queste strutture e cliché, ma li adegua ai tempi cinematografici e alle necessità legate al trasferimento dell’azione tipica di fumetti e di film d’animazione in un film live-action. L’obiettivo di Sion Sono è evidentemente quello di soddisfare tanto il pubblico affezionato all’opera originale quanto i neofiti o coloro che sono interessati solamente al film in sé. L’operazione è delicata, ma la mano del regista è sapiente e rispettosa, e l’operazione si può considerare un successo.

Nel protagonista Tatsuhiko ritroviamo, secondo uno dei cliché più noti del genere, un personaggio già visto mille volte: un bonaccione, uno scapestrato dal cuore d’oro violento con i prepotenti, gentile con i deboli. Insomma un Goku, un Luffy o un Naruto, per ricollegarci ai manga più noti. La novità sta nel microcosmo in cui questo personaggio è calato, che è tutt’altro che mitico e fantastico: si tratta del quartiere di Tokyo dei locali a luci rosse e del gioco d’azzardo Shinjuku, dove l’eroe è un ragazzo di strada senza un mestiere che viene casualmente reclutato da una agenzia di scouting per prostitute.

Ma in realtà anche questo microcosmo non si sottrae alle regole caratteristiche del genere: i pestaggi frequentissimi lasciano ben poche tracce sull’eroe e sui suoi amici, un po’ gangsters papponi e un po’ monaci zen indifferenti al dolore (persino una palla da bowling in faccia guarisce con un paio di cerotti). Personaggi larger than life sono inseriti in strutture gerarchiche ben definite che ci danno immediatamente un’idea delle loro capacità e restituiscono una narrazione semplice da interpretare, immediatamente soddisfacente soprattutto per un giovane spettatore.

I meccanismi della storia sono, quindi, quelli noti, ben oliati e perfettamente funzionanti, e per chi li conosce ed apprezza la soddisfazione sta nel vederli girare con estrema precisione e sicurezza, lasciandoci totalmente liberi di apprezzare la bellezza nascosta in ogni dettaglio: nelle coreografie dei combattimenti, nei costumi, nella scenografia, nei dialoghi misuratamente esagerati, nelle gag da puro slapstick.

Da lodare, infine, l’estrema parsimonia nell’uso di CGI (Computer-Generated Imagery), uno strumento spesso abusato nel genere dei cinecomics, a discapito del realismo e della sensazione di solidità dei corpi; in Shinjuku Swan ogni corpo è palpabile, ogni pugno è percepibile, ogni gemito di sofferenza dei personaggi viene rispettato e valorizzato, per la soddisfazione ed il divertimento dello spettatore.

 

“Tutti giù per terra” e “La strada di Levi” di Davide Ferrario

Giornata conclusiva di Piemonte Movie.
Al Cinema Massimo ha avuto luogo la proiezione pomeridiana di due film di Davide Ferrario, al quale quest’anno è stata dedicata un’intera sezione della manifestazione.  Tutti giù per terraLa strada di Levi riassumono bene la diversità e la ricchezza dell’opera del regista bergamasco che tanto adora Torino e ben la rappresenta nei suoi film, come Dopo mezzanotte, Tutti giù per terra e il recente La luna su Torino.

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“Walking With Red Rhino – A spasso con Alberto Signetto” di Marilena Moretti

Una vita d’Artista

Resta un sorriso malinconico ma ottimista sulle labbra dello spettatore al termine di Walking with Red Rhino, toccante omaggio che la documentarista Marilena Moretti ha fatto ad Alberto Signetto, regista, artista visivo ma soprattutto amico. Continua la lettura di “Walking With Red Rhino – A spasso con Alberto Signetto” di Marilena Moretti

Otto cortometraggi di Too Short to Wait

Otto sono stati i cortometraggi presentati nella sezione Comedy al pre-festival Too Short to Wait, e purtroppo nessuno di questi è stato scelto nella selezione dei primi dieci che saranno effettivamnete in concorso al Piemonte Movie gLocal Film Festival.
Nell’ora e mezza di proiezione si sono susseguite sullo schermo queste otto storie di media-corta durata (la più corta di quattro minuti e la più lunga di ventidue) che lasciano un sapore agrodolce, o dolceamaro che dir si voglia, contrariamente all’aspettativa che il nome della sezione potrebbe creare nello spettatore.

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Cinque cortometraggi di Charlot

Il Sottodiciotto Film Festival festeggia i cento anni di vita di Charlot, creato da Charlie Chaplin nel 1914, diventato uno dei personaggi comici più amati di sempre da grandi e piccoli.
Per l’occasione sono state proiettate cinque comiche recentemente restaurate dalla Cineteca di Bologna che hanno divertito come allora i bambini presenti in sala, segno che quel tipo di comicità, unita alla bravura di Chaplin, non sfiorisce mai.

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“Il Solengo” di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis

Durante le riprese del suo cortometraggio precedente, Belva nera, Zoppis e Rigo di Righi si sono trovati per caso ad assistere al passaparola di un aneddoto che sarebbe poi diventato l’inizio di un percorso di documentazione che si è concluso con la nascita della loro opera prima, Il Solengo. Continua la lettura di “Il Solengo” di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis

“Yellowbird” di Christian de Vita

Yellowbird è la parola inglese per indicare “canarino”. Il protagonista del lungometraggio di animazione di Christian de Vita (storyboard artist di Fantastic Mr. Fox di Wes Anderson e di Frankenweenie di Tim Burton) viene chiamato così per la maggior parte del film, anche se non è un canarino.

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“White Bird in a Blizzard” di Gregg Araki

White Bird in a Blizzard è un film gelido (come suggerisce il titolo, letteralmente “Uccello bianco nella bufera”): al freddo rimandano non solo i colori freddi e alcune ambientazioni, ma anche continui riferimenti nei dialoghi (“Questo paese sembra congelato nel tempo”).

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“Eden” di Mia Hansen-Løve

L’ultimo film di Mia Hansen-Løve assomiglia più alla corrente di un fiume che alla trasposizione di una sceneggiatura sullo schermo. Le cose accadono, i personaggi vanno e vengono, gli ostacoli diventano sempre più evidenti ma il tempo scorre in una maniera quasi impalpabile, è un continuo flusso dal quale i personaggi pericolosamente in equilibrio si lasciano trasportare senza farsi troppe domande.

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“Mike Tyson: tutta la verità” di Spike Lee

Un diretto a Mike Tyson

Quando bisogna ritrarre una delle personalità più conosciute del XX secolo, Spike Lee non sbaglia mai. A maggior ragione se si tratta di un uomo cresciuto nella Grande Mela e di colore. Dopo Malcolm X del 1992 e il documentario del 2002 Jim Brown: All-American sulla vita dell’omonimo giocatore di football americano, Spike Lee realizza un docufilm su Mike Tyson. Mike Tyson: tutta la verità non è altro che la ripresa di uno spettacolo teatrale che il pluricampione dei pesi massimi di pugilato tenne all’Imperial Theatre di New York. Il film, realizzato per la rete televisiva americana HBO, è un monologo del pugile di circa 90’: “This is my story. My mistakes, my heartaches, my joy, my sorrow, my gift, my life, my undisputed thruth”. Continua la lettura di “Mike Tyson: tutta la verità” di Spike Lee

“Ida” di Pawel Pawlikowski

1962. Cresciuta in un convento polacco, l’orfana Anna si prepara a prendere i voti. Prima di concedere la sua esistenza a Dio, la madre superiora le consiglia di visitare la zia Wanda, l’ultima sua parente in vita. Anna segue il consiglio e l’incontro con la zia è rivelatore perché scopre di essere ebrea e conosce il suo vero nome: Ida Lebenstein. Le due donne partono alla ricerca di indizi per comprendere come siano morti i genitori di Ida. L’ultimo lavoro di Pawel Pawlikowski è un dramma a due voci. Seppure la struttura sia lineare e a dir poco canonica, il regista polacco, come la maggior parte dei registi dell’Est, traccia ritratti psicologici vividi e dettagliati delle due protagoniste. Continua la lettura di “Ida” di Pawel Pawlikowski

“Wish I Was Here” di Zach Braff

A poco più di dieci anni di distanza dal suo esordio dietro la macchina da presa con La mia vita a Garden State, Zach Braff veste nuovamente i panni di regista, sceneggiatore ed attore protagonista per il suo secondo lungometraggio Wish I Was Here.

Aidan Bloom (Zach Braff) è un trentacinquenne di famiglia ebrea, attore di scarsissimo successo, padre e marito che, nonostante l’età, si trova ancora a lottare per trovare la sua identità e per seguire il suo sogno. Vive a Los Angeles con i due figli, Grace e Noah, e la moglie Sarah (Kate Hudson), la quale è costretta a sobbarcarsi tutte le spese di mantenimento della casa e della famiglia, mentre Aidan passa il suo tempo a partecipare a provini inevitabilmente fallimentari, o a fantasticare di trasformarsi in una sorta di cavaliere spaziale, come aveva sempre sognato da bambino.

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“Girlhood” di Céline Sciamma

Quello che incide su questo racconto di formazione non è lo scorrere del tempo (come accadeva in Boyhood), ma l’etnia della ragazza che influenza la sua vita e l’ambiente che la circonda. Il quartiere dove vive è un vero e proprio ghetto dove vigono regole a sé, dove le madri sono spesso assenti per lavorare e vengono rimpiazzate da fratelli violenti, dove le ragazzine devono prendersi cura delle sorelle ancora più piccole di loro. Ma soprattutto è il regno delle zero opportunità, della rassegnazione a lasciare la scuola perché tanto non serve. Il destino è ineluttabile e tutte finiranno a fare il lavoro delle proprie madri diventando a loro volta madri molto presto. Continua la lettura di “Girlhood” di Céline Sciamma

“Still Alice” di Richard Glatzer e Walsh Westmoreland

Alice Howland (Julianne Moore) è una vivace e affascinate professoressa di linguistica presso la Columbia University di New York che vive felice con il marito neurologo (Alec Baldwin) e i tre figli  (Kate Bosworth, Kristen Stewart e Hunter Parrish). Allarmata da continue dimenticanze e momenti di smarrimento, Alice decide di sottoporsi ad una visita specialistica temendo di avere un tumore al cervello. L’esito è però ben diverso, infatti le viene diagnosticata una forma precoce e genetica del morbo di Alzheimer. Colta da una sorta di imbarazzo, inizialmente Alice non vuole confessare a nessuno la sua malattia, ma dopo essersi nuovamente smarrita nella città e terrorizzata dall’idea che anche uno dei suoi figli possa aver contratto lo stesso morbo, decide di confessarlo alla sua famiglia.  La progressiva perdita del linguaggio e, cosa ben peggiore, della memoria, non le impedisce però di lottare per sé stessa e  per mantenere vivi quei ricordi che hanno rappresentato le fondamenta della sua vita.

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“Qui” di Daniele Gaglianone

Qui: una parola semplice, composta solo da tre lettere.
Chi sente pronunciarle senza avere idea del film che sta andando a vedere (e non avendo letto la trama) rimane spiazzato, quasi con un punto interrogativo immaginario ben piantato in fronte.
Poi, dalle prime immagini s’incomincia a capire a quale luogo questo avverbio faccia riferimento: la Val di Susa e, anche per i meno informati, purtroppo questo territorio piemontese rimanda subito alla bollente questione TAV, o meglio NO TAV. Continua la lettura di “Qui” di Daniele Gaglianone

Premiazioni TFF 32

Una chiusura in positivo per questo trentaduesimo Torino Film Festival: il 5% in più di biglietti venduti. Emanuela Martini, vice  direttore della precedente edizione, termina con successo il suo battesimo del fuoco al timone della kermesse con una selezione che ha saputo soddisfare ogni genere di palato.

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Conferenza stampa di apertura di Sottodiciotto Film Festival 15

Giunto alla sua XV edizione, il Sottodiciotto Film Festival, dedicato al cinema fatto da e per i più giovani e ai film che ritraggono le nuove generazione e quelle passate, si svolgerà dal 5 al 12 Dicembre. Pur risentendo fortemente della disastrosa condizione economica e degli innumerevoli tagli, l’edizione 2014 promette una programmazione ricca di sorprese, con 31 titoli (erano 50 l’anno scorso). Organizzato da Aiace Torino e da Città di Torino –Direzione Cultura Educazione e Gioventù – ITER, l’evento fa del noto verso di Giovenale “Mens sana in corpore sano” il suo motto, richiamando così i giovani ad una riflessione personale e collettiva che contribuisca a creare una comunità che punti al progresso attraverso una sana convivenza sociale fatta di rispetto per gli altri e rispetto per le regole. Continua la lettura di Conferenza stampa di apertura di Sottodiciotto Film Festival 15

Il magazine delle studentesse e degli studenti del Dams/Cam di Torino