Presentato in concorso al TFF39, il primo lungometraggio del regista turco Selman Nacar è un dramma etico e psicologico, che si concentra sul processo di cambiamento fissandone ogni suo più piccolo passaggio.
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“LUZ VIAJE OSCURO” BY TIN DIRDAMAL, EVA CADENA
Article by Niccolò Buttigliero
Translated by Mattia Prelle
A 64 minutes and 1.700 kilometers long train trip that swings between light and darkness, plumbing a metaphysical Vietnam. It moves through the 17th parallel – the most bombed place in the world – and the Ruc settlement, a population who fans the holy fire whose extinction would cause the extinction of the world too.
Continua la lettura di “LUZ VIAJE OSCURO” BY TIN DIRDAMAL, EVA CADENABETWEEN PERFORMERS AND SCREEN: TFF’S MASTERCLASSES DEDICATED TO THE ACTOR
Article by Sara Longo
Translated by Stefania Frassetto
It may seem like cinema does not live off-screen. It appears like a chimera that exists only when you are looking at it; but that is not true: behind every film there is an organic and heterogeneous group of people working non-stop to bring back the magic, finally, to the theatres. Through the three Masterclasses dedicated to the figure of the actor in the setting of the Turin Film Festival, it was possible to create an interesting confluence of acting and the figures that gravitate around it, offering an in-depth analysis on the several field jobs that support the performers throughout their growth.
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7 giugno 1919: la piccola nazione di Malta decide di non abbassare nuovamente la testa a favore dell’Impero britannico, ribadendo la propria voglia di indipendenza. E tra gli anfratti cittadini, i tetti delle case e le piazze dell’isoletta al largo della Sicilia, comincia a sgorgare il sangue quando gli inglesi imbracciano le baionette e cominciano a imporre la loro legge.
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Presentato in anteprima nella sezione Encounters dell’ultima Berlinale, dove ha vinto il Premio Speciale della Giuria, Taste, primo lungometraggio del regista vietnamita Lê Bao, approda al TFF39 nella sezione Fuori concorso/TFLAB.
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Impiegata modello nel call center di una compagnia di carte di credito, Jina (Gong Seung-yeon) è una ragazza schiva e riservata, saldamente ancorata alle proprie abitudini, al placido susseguirsi di luoghi e gesti che scandiscono le sue giornate, divise tra il suo piccolo appartamento di ringhiera e il luogo di lavoro.
Continua la lettura di “ALONERS” DI HONG SEONG-EUNTHE EDGE OF DAYBREAK DI TAIKI SAKPISIT
La sezione Incubator del TFF39 presenta il primo lungometraggio del regista thailandese Taiki Sakpisit. Partendo da un neo sul collo, passando al corpo di una bimba in fin di vita, fino ad arrivare ad un candido vestito bianco, il regista realizza il gelido affresco di un’inquietudine profonda trasformandola in pura poesia.
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Julie Lecoustre ed Emmanuel Marre presentano fuori concorso il loro primo lungometraggio, una storia che si muove lungo un doppio binario: la rappresentazione quasi documentaristica degli assistenti di volo di compagnie low-cost e l’analisi introspettiva della protagonista, che non riesce a elaborare un lutto.
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Un fiammifero che si accende nella completa oscurità. Questo è il simbolo su cui si regge Grosse Freiheit / Great Freedom, film diretto da Sebastian Meise in concorso al Torino Film Festival, che a Cannes ha vinto il Premio della Giuria nella sezione Un Certain Regard, e che verrà presentato dall’Austria come candidato agli Oscar 2022. Sguardi mantenuti nel tempo e tocchi evidenziati da inquadrature ravvicinate scandiscono il film del regista austriaco, insieme a sentimenti espressi tramite passaggi di sigarette, messaggi nascosti nelle pagine forellate di una Bibbia e parole taciute.
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“Le stanze di Rol”, sezione parallela del TFF39 dedicata al cinema di genere, si apre con Coming home in the dark che fin dall’inizio mette in guardia lo spettatore. La famiglia Hoaganraad, in gita in un isolato tratto di costa neozelandese, si imbatte in due misteriosi vagabondi, e il dubbio è subito posto: questo incontro è stato minuziosamente pianificato o non è altro che un crudele scherzo del destino?
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Article by Alice Ferro
Translated by Giulia Baldo
“Somos malas, podemos ser peores” We are evil, we can be even more evil.
The notes of a trumpet in the silence of a recording room seem to foretell the roar of an earthquake. This is how Dora Garcia’s documentary opens, almost concealing – albeit temporarily – the disruptive force of what it will be its main subject. Music is, indeed, the seed of this work, whose title is the Spanish translation of “Wenn ich mir was wünschen dürfte”, a song by the German composer Friedrich Holländer… if I could desire something. The delicate recording sessions alternate with the intense images of the feminist movement’s fights, which have overwhelmed Mexico City for five years. The disappointment and the unheard suffering of women have been going on for so long that the sadness, the vulnerability derived from abandonment have transformed in shield and sword at the same time. This is what the song communicates, echoing for the entire duration of the film.
Mexico, torn apart by femicides and continuous disappearings, is the centre of a global plague, of a social emergency which has to be narrated as the product of a centuries-old culture and not as the result of few, isolated cases. “Every minute of every week they kidnap our friends, they kill our sisters” sing the women of Mexico City, showing their green handkerchiefs in support of legal abortion or the colourful signs which symbolize, one by one, the rights they claim. The march is irrepressible, it permeates the city and then resolves itself into destruction: the only weapon these women have left in order to be heard. It is through union that the individual vulnerabilities interweave in a defence network which allows women and little girls to reclaim the street, a place so ordinary, and yet almost prohibited to the one who walks alone. And it is precisely to those lonely women that the chants are addressed: “You are not alone”, “If they touch one, we will all answer”, “Yes, I believe you”.
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Moloch (1999), Taurus (2001), Il Sole (2005), Faust (2011). Quando Aleksandr Sokurov fa riferimento alla sua tetralogia, anche solo alludendovi fuggevolmente, in un istante comprendiamo che non possono esservi dubbi: si tratta di un unico organismo estetico. Complesso, ma unitario. Un corpus coerente, inscindibile nelle sue singole parti. La follia di Hitler, la malattia di Lenin, la de-divinizzazione di Hirohito: tutte fluiscono l’una nell’altra, convergendo, coadiuvate dalla putrescenza di Faust. Un’epopea della deformazione e del collasso – fisico e ideologico a un tempo – che, paradossalmente, fa corpo.
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«Riprenderti con la videocamera è solo una scusa per guardarti», dice Gainsbourg a Birkin, con quel suo tono dolce e pacato, in una delle prime scene di Jane Par Charlotte, film presentato in anteprima alla 74ª edizione del Festival di Cannes – e riproposto al TFF39 nella sezione Surprise. Il film oltrepassa subito i freddi confini del documentario biografico assumendo la forma di una conversazione intima e sensibilmente viva tra madre e figlia, dove lo iato tra queste due identità (così come quello tra biografia e autobiografia) si fa sempre più labile, fino a coinvolgere anche Joe, la figlia più piccola di Charlotte.
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Article by Valentina Velardi
Translated by Giulia Baldo
«I have the impression that the more massive our communication is, and the more we consume points of view and opinions, the more superficial that communication gets». This is how Ronny Trocker comments on the subject of his film which, by observing the reactions of the different members of what seems to be the perfect German family – educated, wealthy and bilingual – following a little break-in at their beach house, examines human relationships and the dynamics, often disfunctional, underlying them.
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Italia, il fuoco e la cenere si presenta come un viaggio poetico e onirico attraverso le dive, i fantasmi, le luci e le ombre del cinema muto italiano. Ne esplora l’essenza più materica, avvicina la propria lanterna alla carne, ai corpi, alle spalle scoperte nella penombra, agli sguardi penetranti, alle convulsioni febbrili delle dive. La componente erotica è centrale: il cinema faceva tremare i benpensanti, nelle sale buie permetteva a donne e uomini di mescolarsi. L’esplorazione cinematografica diventa esplorazione storica e dipinge la realtà di un paese in continuo mutamento, dalle scene pompose e splendenti alla decadenza e all’abisso del fascismo che si avvicinano inesorabili.
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Il duo di street artist napoletani Cyop&kaf torna al cinema con un nuovo documentario, dopo il premiato Il segreto (2013), presentato alla 31esima edizione del Torino Film Festival. Il nuovo film, Lievito, è il risultato di una riflessione ventennale. Seguendo con la telecamera le giornate di una colonia estiva, un laboratorio teatrale all’interno di uno spazio museale e un dojo di judo, i registi si interrogano sulle pratiche educative, partendo dal grado zero della relazione allievo-maestro.
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Article by Gaia Verrone
Translated by Benedetta Di Fiore
Inspired by true events narrated in the homonymous novel by Enrico Costa of 1884, Il muto di Gallura is the only Italian feature film in competition at TFF 39. In mid-nineteenth-century Sardinia, a feud broke out between two Gallura families, triggering a conflict that lasts for several years, through a chain of reciprocal wrongs. In the name of the ancient and sacred law of retaliation, 70 people are killed, many by the hand of a deaf-mute boy, Bastiano Tarsu.
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Article by Laura Anania
Translated by Stefania Frassetto
On his cinematographic debut, Qi Rui proposes in the Contest section Torino 39 the touching story of Zhang Jixiang (Li Yingchun), a twelve-year-old girl running from an oppressive and suffocating world. The main character lives in an extremely poor little town in the Chinese mountains, when, one day, she becomes her classmates’ target as she is falsely accused of stealing.
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In concorso alla trentanovesima edizione del Torino Film Festival è stata presentata l’opera prima del regista egiziano Omar El Zohairy: una veemente critica all’egemonia maschilista da cui è segnata la società egiziana che, acquistando toni sempre più assurdi, sfocia in una dark comedy dall’umorismo lugubre.
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«Il luogo in cui non si mente», per Emmanuel Carrère, è la letteratura (Yoga, Adelphi, 2021). Desplechin non adatta il più influente scrittore francese contemporaneo, bensì traspone uno dei più importanti autori americani recentemente scomparso, Philip Roth. Se Carrère parte dalla propria vita e inventa per farne trasparire il senso, Roth-Desplechin fanno esattamente l’opposto: usano la finzione per raggiungere l’autenticità dei sentimenti dei personaggi, riproponendo così l’annosa questione sullo statuto della relazione tra arte e vita.
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