Il cinema di Joanna Hadjithomas e Kalil Joreige – a cui la trentanovesima edizione del Torino Film Festival dedica una personale e una masterclass entrambe curate da Massimo Causo – può essere compreso tra l’inizio e la fine del loro percorso artistico e cinematografico, ovvero tra le cartoline dei titoli di testa del loro primo lungometraggio, Around the Pink House (Al Bayt Al Zaher, 1999), e la scatola, archivio audio-visivo del ricordo e della memoria che, corpo estraneo e così personale, apre Memory Box (2021). Tra questi due estremi, all’interno della cornice più generale della storia del Libano, della sua distruzione e della sua ricostruzione, si apre una lunga e complessa riflessione sul cinema, sullo statuto dell’immagine e, in particolare, dell’immagine-memoria.
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“TROMPERIE” DI ARNAUD DESPLECHIN
«Il luogo in cui non si mente», per Emmanuel Carrère, è la letteratura (Yoga, Adelphi, 2021). Desplechin non adatta il più influente scrittore francese contemporaneo, bensì traspone uno dei più importanti autori americani recentemente scomparso, Philip Roth. Se Carrère parte dalla propria vita e inventa per farne trasparire il senso, Roth-Desplechin fanno esattamente l’opposto: usano la finzione per raggiungere l’autenticità dei sentimenti dei personaggi, riproponendo così l’annosa questione sullo statuto della relazione tra arte e vita.
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Laura Samani parte da elementi bassi con cui si sporca le mani: l’acqua e il sangue, il latte e le lacrime. Ma soprattutto attinge dai riti e dalle credenze popolari di un villaggio di pescatori in Friuli, una zona lontana dall’avvento del “progresso” e della “modernità” (le lampadine sembrano uno scherzo) sospesa in un tempo quasi astorico, mitico e arcaico. La figlia di Agata, nata morta, non può ricevere battesimo e quindi è destinata a vagare in eterno nel limbo; salvo che la madre si metta in cammino per raggiungere una lontana e fredda val Dolais, dove si trova un santuario del respiro in cui il miracolo accade: il bambino nato morto viene riportato in vita per il tempo di un respiro così che possa essere battezzato e avere un nome.
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A qualche anno di distanza da Spring Breakers, Harmony Korine torna in Florida – intensa come un possibile sintesi dei miti e del modus vivendi americani – con The Beach Bum, film che evidentemente intrattiene significativi legami con il precedente.
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Una sorpresa e una rivelazione: non solo la scoperta del fatto che Dio sia donna, ma soprattutto l’inclusione di Teona Strugar Mitevska nel pàntheon degli autori europei. È l’utilizzo della potenza della “macchina cinema” quello che più stupisce nella filmografia della regista macedone, dal momento che recupera e reinterpreta la lezione del cinema civile, sempre impegnato ad affrontare tematiche attuali per smuovere le coscienze senza avere un tono moraleggiante o predicatorio: “il cinema non può essere una forma di autoerotismo, ma deve essere uno specchio della società in cui viviamo e un modo per reagirvi”.
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L’ultimo piano è un film collettivo – firmato da nove registi (Giulia Cacchioni, Marcello Caporiccio, Egidio Alessandro Carchedi, Francesco Di Nuzzo, Francesco Fulvio Ferrari, Luca Iacoella, Giulia Lapenna, Giansalvo Pinocchio, Sabrina Podda) con la supervisione artistica di Daniele Vicari e prodotto dalla Scuola d’Arte Cinematografica “Gian Maria Volonté” con Vivo film – che non ha paura di osare e che non soffre di alcun complesso di inferiorità nei confronti dell’industria cinematografica, ma anzi la sfida. Nonostante qualche imperfezione, questo film d’esordio non ha nulla da invidiare a molte altre opere prime italiane e nemmeno a tante produzioni nostrane, spesso stereotipate, che percorrono un canovaccio e una strada ormai scontata e ripetitiva.
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Un doppio legame unisce Taika Waititi a Torino. Dopo What We Do in the Shadows, mockumentary in cui il regista si è divertito a esplorare la quotidianità di un gruppo di vampiri, Waititi torna a Torino per aprire la 37° edizione del Torino Film Festival con Jojo Rabbit, in cui si cimenta con una delle pagine più drammatiche della Storia – la caduta del Terzo Reich –, senza tuttavia rinunciare a un tono ironico e scanzonato. Il film, nato durante la fase di postproduzione di What We Do in the Shadows, ha avuto una lunga gestazione ma non poteva essere realizzato in un momento più adatto.
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“Lo spirito del tempo”, verrebbe da pensare guardando l’ultimo lavoro di Pietro Marcello che, attraverso la parabola di Martin Eden – tratta dall’omonimo romanzo di Jack London – restituisce un affresco del Novecento quasi sospeso nel tempo e nello spazio. Ormai l’autore ci ha abituati al suo stile: uno stile assolutamente personale, veicolo di un’idea di cinema anticonvenziale e irriducibile a categorie consuete.
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Anche grazie al consolidato sodalizio artistico con Zhao Tao, attrice feticcio presente in quasi tutti i film di Jia Zangke, il regista crea un fil rouge che lega tutti i suoi lavori, i quali, attraverso le storie dei personaggi, narrano da un lato la storia dell’autore, dall’altro la storia della Cina che rimane una presenza sullo sfondo. Ash is the Purest White continua su questa strada, offrendo allo spettatore un viaggio che, dall’inizio di questo secolo, arriva ai giorni nostri, attraversando migliaia di chilometri.
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“BULLI E PUPE” DI STEVE DELLA CASA E CHIARA RONCHINI
Se gli anni Sessanta, tema del documentario precedente di Steve Della Casa, Nessuno mi può giudicare (2016), sono entrati con maggiore forza nell’immaginario collettivo, gli anni Cinquanta si presentano ancora, ai più, come un periodo caotico, tutt’al più semplificabile in un schema dicotomico, tra Partito Comunista Italiano e Democrazia Cristiana, tra URSS e USA. La forza di Bulli e pupe consiste proprio nel cercare di abbattere questa divisione per provare a vedere oltre, concentrandosi sui veri protagonisti di questa stagione: i giovani.
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“ALPHA, THE RIGHT TO KILL” DI BRILLANTE MENDOZA
Brillante Mendoza, uno dei più affermati registi filippini che, grazie a numerosi premi internazionali è conosciuto in tutto il mondo, torna al Torino Film Festival anche quest’anno con Alpha, the Right to Kill, un film claustrofobico e di forte e immediatamente esplicita denuncia sociale. Girato in bassa risoluzione e con uno stile erede del cinema-verità, il film filippino immerge fin da subito lo spettatore tra le strade, i mercati e le case di una città labirintica, in cui anche i valori morali sembrano aver perso il loro punto di riferimento: infatti, nonostante la polizia sia una presenza ubiqua, la criminalità e l’immoralità pervade trasversalmente l’intera società.
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“SALON KITTY” DI TINTO BRASS
Il maestro del cinema erotico Tinto Brass, memore de Il portiere di notte di Liliana Cavani e del viscontiano La caduta degli dei, di cui, tra l’altro, condivide anche due attori quali Helmut Berger e Ingrid Thulin, affiancati dalla bella e affascinante Teresa Ann Savoy, dirige nel 1976 un nazisploitation provocatorio, nel quale sesso e potere si fondono e si confondono. Salon Kitty segna anche una svolta nella filmografia del regista: se prima le sue pellicole erano più impegnate e politiche, a partire da questo lungometraggio il regista prende la strada dell’erotico. Continua la lettura di “SALON KITTY” DI TINTO BRASS
“Chronicles of the Time of Troubles” di Vladymir Eysner
Chronicles of the Time of Troubles ritrae il periodo confuso e travagliato del passaggio dall’URSS alla Russia, dal 1989 al 1991. La perestrojka rappresenta un’epoca tragica e complessa, di profondi cambiamenti che sconvolgono la società. Il documentario del regista russo Vladymir Eysner, senza delineare i tragici avvenimenti che portano dalla caduta del muro di Berlino fino alla dissoluzione dell’URSS, indaga i processi sociali che rendono quest’epoca così difficile. Continua la lettura di “Chronicles of the Time of Troubles” di Vladymir Eysner
“The Death of Stalin” di Armando Iannucci
Armando Iannucci gode di fama internazionale per le sue satire politiche; e in una commedia dissacrante sulla morte di Stalin non deve stupire che Steve Buscemi interpreti Nikita Chruščёv. Il cast di fama internazionale che, tra gli altri, vanta attori quali Simon Russell Beale, Jason Isaac e Michael Palin, è il valore aggiunto della farsa del regista scozzese. Continua la lettura di “The Death of Stalin” di Armando Iannucci
“LAURI MÄNTYVAARAN TUUHEET RIPSET – THICK LASHES OF LAURI MÄNTYVAARAN ” DI HANNALEENA HAURU
L’esplosione di un bouquet, il rapimento dello sposo e una fuga in motocross sull’acqua bastano alla regista finlandese Hannaleena Hauru, al suo primo lungometraggio, per introdurre un coming of age grottesco, surreale e con numerose situazioni da cartoon. Continua la lettura di “LAURI MÄNTYVAARAN TUUHEET RIPSET – THICK LASHES OF LAURI MÄNTYVAARAN ” DI HANNALEENA HAURU
“Pagine nascoste” di Sabrina Varani
Per scrivere il suo nuovo libro, la scrittrice Francesca Melandri compie una lunga ricerca tra Italia ed Etiopia, sul passato di suo padre Franco durante la dittatura fascista, trovando in lui una persona profondamente razzista che, una volta finita la guerra, ha preferito eliminare dalla memoria la sua connivenza con il regime. Nell’indagine sul genitore, però, la scrittrice si imbatte inevitabilmente in racconti collettivi riguardanti la guerra d’Etiopia, che scopre essere stata una delle pagine più violente della storia italiana. Continua la lettura di “Pagine nascoste” di Sabrina Varani