“Suburra” di Stefano Sollima – 1

Cinclinazione alla violenza e alla rabbia di una generazione senza via di scampo

Quello che viene ritratto in Suburra, l’ultimo film di Stefano Sollima, è un quadro complesso. La sua protagonista è Roma, la città eterna, simbolo di un’Italia che si dimena affannosamente in un presente più che mai contraddittorio. Quello che il regista romano porta avanti ormai da quasi dieci anni è un discorso sulla violenza, le sue forme e le sue modalità, declinate in un contesto che è quello del film di genere. Il modus operandi è ormai consolidato, il soggetto viene prelevato da una fonte letteraria (Cataldo, Bonini, Saviano) per poi essere rielaborato attraverso il linguaggio cinematografico.

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“Hele sa hiwagang hapis” (“A Lullaby to the Sorrowful Mystery”) by Lav Diaz

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Andrea Bagnasco

Translation by: Silvia Cometti, Miriam Todesco

When watching an eight-hour movie, the story starts vanishing in one’s mind, what one remembers of the past gets blurred, preventing him from linking all the points, what one may think about the future becomes little by little unsure and one finds himself lost, tightly attached to the present and to this monumental film by Lav Diaz.

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“Hele sa hiwagang hapis” (“A Lullaby to the Sorrowful Mystery”) di Lav Diaz

Quando guardi un film di 8 ore tutto è strano, dopo un po’ la storia svanisce dalla tua testa, quello che ricordavi del passato è annebbiato impedendoti di ricollegare tutti i punti, quello che puoi pensare del futuro diventa poco a poco incerto e ti ritrovi perso e aggrappato al presente e a questo monumentale film di Lav Diaz.

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“Sono Guido e non Guido” di Alessandro Maria Buonomo – Conferenza stampa

C’è un poeta, in Italia, che pochi conoscono, ma che quando fa i reading riempie le sale di gente. Questo poeta è Guido Catalano, torinese d’origine, che quando aveva diciassette anni ha scelto di diventare una rockstar e, da un certo punto di vista, oggi, che di anni ne ha quarantacinque, ci è riuscito (anche se non nel senso classico del termine).

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“Ilegitim” by Adrian Sitaru

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Matteo Ambrosino

Translation by: Riccardo Abba, Barbara Lisè

 

Ilegitim is a film directed by the Romanian filmmaker Adrian Sitaru, it was presented at Berlin Film Festival and won the Golden Duke at Odessa Film Festival. The film portrays with great sensitivity the subject of incest between twin brother and sister.

The movie, a collective and domestic drama, revolves around Victor, a widowed doctor with a lumbering past as an antiabortionist whistle-blower during the dictatorship. A severe guilt that breaks the family apart when, during a dinner, the truth emerges: Victor allegedly impeded many abortions in order to uphold both the law and personal ethical beliefs.

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“Ilegitim” (“Illegitimate”) di Adrian Sitaru

Ilegitim è un film del regista rumeno Adrian Sitaru – presentato al Berlino Film Festival e vincitore del Golden Duke dell’Odessa Film Festival – che mette in scena con estrema delicatezza il tema dell’incesto tra un fratello e una sorella gemelli.

Dramma corale e familiare, il film narra di Victor, medico vedovo con un passato ingombrante da delatore antiabortista ai tempi della dittatura. Una colpa gravissima che spacca la famiglia quando questa verità viene a galla durante un pranzo: Victor avrebbe impedito a molte donne di abortire sia per far rispettare la legge sia per ragioni etiche personali. Continua la lettura di “Ilegitim” (“Illegitimate”) di Adrian Sitaru

“Gipo, lo Zingaro di Barriera” di Alessandro Castelletto – Conferenza stampa

Banlieu, ”borgate”, “barriere”, così sono state chiamate le periferie, spazi nei quali “confinare” ciò che non ha importanza che si veda o che non si vuole vedere, barriere, appunto, fisiche e psicologiche che Gipo Farassino ha sempre voluto abbattere e, anzi, innalzare ad arte, nelle storie e nei personaggi delle sue canzoni. E così, a tre anni dalla morte dello chansonnier torinese, l’ Yves Montand di via Cuneo, l’esigenza di ricordare il grande Gipo sorge spontanea nei cuori di Alessandro Castelletto (regista) e Luca Morino (musicista e cantante del gruppo Mau Mau), che si sono avvalsi dell’aiuto di Valentina Farassino (produttore, nonché figlia del cantautore) e Paolo Manera (direttore Film Commission Torino Piemonte). Il progetto era già iniziato quando Gipo era ancora in vita, ma la sua scomparsa non ha fatto che rafforzare quella che era l’esigenza di raccontare il mondo di Gipo: la marginale umanità della “Barriera”.

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“Nessuno ci può giudicare” di Steve Della Casa e Chiara Ronchini

Il primo elemento che si nota in un film è il titolo e in questo caso è interessante osservare come venga estesa a una generazione intera l’affermazione “nessuno mi può giudicare”, che negli anni ’60 identificava la cantante Caterina Caselli, per la sua giovinezza e per il suo essere donna rockettara, e la sua amatissima canzone. Queste ebbero un successo tale da oscurare l’interpretazione originale della star americana Gene Pitney e da generarne un film.

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“La loi de la jungle” by Antonin Peretjatko

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Sofia Nadalini

Translation by: Silvia Restelli, Chiara Tomasetta

In my experience as spectator, in general, French films are either really serious or not serious at all (in both cases in a positive way, according to my point of view). La loi de la jungle belongs to the second category, not only because it is a really funny screwball comedy (and more), but also because it becomes really parodistic and satiric to a world, the one of the political and economic European laws, that is extremely bureaucratic, absurd and crazy, without any touch with reality.

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“La loi de la jungle” (“Struggle for Life”) di Antonin Peretjatko

Nella mia esperienza di spettatrice, i film francesi, di solito, sono o molto seri o molto poco seri (e in senso buono in entrambi i casi, sempre secondo il mio punto di vista). La loi de la jungle appartiene alla seconda categoria, non solo perché è una divertentissima commedia screwball (e non solo), ma anche perché assume toni fortemente parodistici e satirici verso un mondo, quello delle norme politiche ed economiche europee, estremamente burocratizzato, assurdo e folle, che non ha alcun contatto con la realtà.

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Gabriele Salvatores – A talk about cinema and music

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Mattia Capone

Translation by: Elisa Grattarola, Elena Salama

“I wanted to be a musician but since I wasn’t fast enough as a guitarist, I dedicated myself to the cinema”. Clever as always, Gabriele Salvatores introduces himself with these words at the event held on Monday 21st of November, entitled A talk about cinema and music.

In the suggestive location of the Intesa Sanpaolo Skycraper’s auditorium, we attend a very interesting conversation between the guest director of this TFF’s edition and Alberto Barbera, director of the Cinema National Museum. The meeting unravels as a chat between friends who love cinema, and this set up is widely appreciated by the audience in the room.

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Gabriele Salvatores – Una conversazione su cinema e musica

“Avrei voluto fare il musicista ma come chitarrista non ero abbastanza veloce, allora mi sono dedicato al cinema”. Brillante come sempre, Gabriele Salvatores si presenta così all’evento di lunedì 21 novembre, dal titolo Una conversazione su cinema e musica.

Nella suggestiva location dell’auditorium del grattacielo di Intesa Sanpaolo, abbiamo assistito a un interessantissimo dialogo tra il guest director di questo TFF e  Alberto Barbera, direttore del Museo Nazionale del Cinema. L’incontro si è dipanato come una libera conversazione tra amici appassionati di cinema, e la formula è stata davvero apprezzata da tutti i presenti in sala.

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“Hymyilevä mies” (“The Happiest Day in the Life of Olli Mäki”) di Juno Kuosmanen

Nell’estate del 1962 il campione americano Davey Moore sfida, a Helsinki, il peso piuma Olli Mäki, che viene spinto dal suo ambizioso manager verso il titolo mondiale. Il peso piuma però è un ragazzo di campagna a cui non interessano i soldi, egli pensa in continuazione al suo grande amore Raji.

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“Trasfiguration” (“The Transfiguration”) di Michael O’Shea – Conferenza stampa

Alla conferenza stampa di oggi era presente il regista di Trasfiguration, Michael O’Shea.

Nel film Trasfiguration vengono citati altri horror con lo stesso soggetto, il vampiro ad esempio Twilight di Catherine Hardwicke e Lasciami entrare di Tomas Alfredson. Ma l’obiettivo del regista non è quello di onorare questi film ma più che altro riprodurre il ritratto del serial killer, l’istinto di uccidere serialmente.

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“Smrt u Sarajevu” (“Death in Sarajevo”) di Danis Tanovic

 

“Il XX secolo inizia e finisce a Sarajevo” spiega un intervistato ad una giornalista durante una diretta tv sulla terrazza dell’Hotel Europa.

Siamo a Sarajevo, cento anni dopo la morte di Francesco Ferdinando e la città, la nazione e l’Europa si preparano ai festeggiamenti.

L’Hotel Europa, storico punto di riferimento della città, ospita le diplomazie europee per l’evento. La struttura versa in grossi guai economici, ed il direttore non paga lo staff da oltre due mesi. Ora, i lavoratori, vogliono manifestare la loro situazione davanti agli occhi dell’Europa, costringendo il direttore a chiedere aiuto alla malavita locale per intimidirli.

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“Go Home” di Jihane Chouaib

Il film di Jihane Chouaib, presentato nella sezione del TorinoFilmLab, si apre con l’arrivo in Libano di Nada che trascina affannosamente una valigia. La sequenza conduce immediatamente lo spettatore in quella che sarà la location protagonista del film, ovvero la casa dei nonni. La dimora è stata saccheggiata dei beni ma non del proprio passato, e grazie a Nada torna a risuonare di ricordi. La casa è la trasposizione della protagonista, o meglio della sua mente: gli affreschi sono rovinati, ma in alcuni punti sul muro Nada riesce a ritrovare un disegno che la ritrae insieme al fratello. Continua la lettura di “Go Home” di Jihane Chouaib

“Animal político” (“Political Animal”) di Tião

“Io sono il monolito. Sono un blocco di fredda roccia nera eretto in mezzo al deserto. Noi siamo un bosco di eucalipto. Chi ci guarda da lontano ci vede uno accanto all’altra, ma se il nostro osservatore si avvicina, si accorgerà che siamo più distanti di quanto crede”.  Così termina il flusso di coscienza del bovino di Tião alla fine di un viaggio surreale colmo di interrogativi irrisolti, ai quali, forse, non c’è risposta.

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“Animal político” by Tião

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Silvia Villani

Translation by: Andreea Catana, Francesca Sala

“I am the monolith. I’m a block of black, cold rock, standing in the middle of the desert. We are a forest of eucalyptus. Those who look at us from afar can see us one next to the other, but when the observer comes closer, he will realize that we’re far more apart than he thought”. That’s how the stream of consciousness of Tião’s bovine ends, at the end of a surreal journey full of unsolved questions, to which, maybe, there’s no answer.

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Conferenza stampa della Giuria del TFF34

“Edward Lachman, direttore della fotografia acclamato per il suo ultimo lavoro in Carol di Todd Haynes; Hadas Yaron, giovanissima attrice che ha vinto la Coppa Volpi a Venezia e subito dopo il Premio come miglior attrice proprio qui al Torino Film Festival; Mariette Rissenbeek, una donna che lavora nella promozione e diffusione del cinema tedesco in tutto il mondo; Don McKellar,  interprete del cinema di Cronenberg ed Egoyan e presente nella sezione Cose che verranno di questa edizione del TFF con Last Night; e infine Adrian Sitaru, regista romeno, paese che rappresenta il cinema più vitale e curioso degli ultimi anni in europa” così Emanuela Martini, direttrice del Torino Film Festival, presenta i cinque giurati del concorso della 34° edizione.

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Tre documentari sull’amore

Quest’anno la parola scelta dai curatori del Tffdoc è “Amore”. E ieri sera al cinema Massimo sono stati proiettati i primi due documentari di questa sezione: We Make Couples e Les amours de la pieuvre. Questi sono stati preceduti dal documentario di Jean-Daniel Pollet La femme aux cent visages che ci mostra ottanta opere d’arte – tra dipinti e sculture – regalandoci un bellissimo omaggio alla femminilità.

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Il magazine delle studentesse e degli studenti del Dams/Cam di Torino