Il cambiamento climatico non è una favola e la regista ce lo dimostra.La regista Éléonore Saintagnan ci fa immergere in una strana atmosfera, quasi come se quello che ci propone fosse un film di fantascienza. Mi piace definirlo un lungometraggio di finzione ai confini con la realtà: un film che chiama in causa un mostro per parlarci di un tema di attualità, il prosciugamento dei laghi.
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“BIRTH/REBIRTH” BY LAURA MOSS
Article by Asia Lupo
Translation by Fabio Castagno
A little girl dies and is born again. This is the obsessive research of a maternity which makes the creation of life look like an unfulfilled purpose. What does the idea of parenting bodies and ideas mean? Can creation, intended as a prosthesis of ourselves in eternity, be a possible cure for death? The debut feature film Birth/Rebirth by director Laura Moss tries to answer these questions through the story of two totalizing and petrifying gestations.
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Una bambina muore e rinasce. La ricerca ossessiva di una maternità che fa del creare la vita uno scopo incompiuto. Che cos’è la genitorialità dei corpi e delle idee? La creazione, come protesi di noi stessi nell’eternità, può davvero essere una cura alla morte? Birth/Rebirth, lungometraggio di esordio della regista Laura Moss, prova a rispondere a queste domande attraverso un racconto di due gestazioni totalizzanti e pietrificanti.
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Article by Marco Di Pasquale
Translation by Chiara Rotondo
Since we were kids, when being first shown a geographical map, political boundaries seemed so obvious and natural to us that we were ready to be tested at school. They may have changed over time, but they remain precise and defined at all times. Paradoxically, it is precisely when at the boundaries that we realise how much those lines we saw reproduced on maps are actually invisible, and how much the very concept of a border is artificial, aimed at reassuringly determining every aspect of our existence. It is in one of those places, in the municipality of Oulx, on the border between Italy and France, that Virginia Bellizzi observes the numerous fleeting passages of migrants in search of a better future.
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Quando, fin da piccoli, ci viene mostrata per la prima volta una mappa geografica, i confini politici ci appaiono scontati e naturali, pronti per essere memorizzati in vista dell’interrogazione. Sono sì cambiati nel corso del tempo, ma restano precisi e definibili in ogni epoca. Paradossalmente, è proprio nei luoghi di confine che ci si rende conto di quanto quelle linee che vediamo riprodotte sulle cartine geografiche siano in realtà trasparenti e quanto il concetto stesso di confine sia artificiale, finalizzato a incasellare in modo rassicurante ogni aspetto della nostra esistenza. È in uno di questi luoghi, nel comune di Oulx, al confine tra Italia e Francia, che Virginia Bellizzi osserva i numerosi e fugaci passaggi di migranti in cerca di un futuro migliore.
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Article by Angela Borraccio
Translation by Rebecca Lorusso
The Spanish director Pablo Berger and the Arcadia Motion Pictures renew their collaboration to create their first 2D animated film. As with the previous Blancanieves (“Snow White”, 2012) – a black and white silent film – the director feels the need to reconnect with the essence of early 20th century cinema. For Robot Dreams he also looks back to the past, specifically to traditional animation, fascinated by its unlimited possibilities of storytelling and representation. Berger succeeds in tackling the challenge of the step-by-step technique – or, frame by frame – with ease, thanks to the habit of creating storyboards, which allowed him to integrate an ideal process for the development of animation.
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Il regista spagnolo Pablo Berger e l’Arcadia Motion Pictures rinnovano la collaborazione per creare il loro primo film in animazione 2D. Come per il precedente Blancanieves (2012) – muto e in bianco e nero – il regista sente il bisogno di ricongiungersi con l’essenza del cinema dei primi decenni del Novecento. Anche per Robot Dreams volge uno sguardo al passato, nello specifico all’animazione tradizionale, affascinato dalle sue illimitate possibilità di narrazione e rappresentazione. Berger riesce ad affrontare la sfida della tecnica a passo uno (frame by frame) con semplicità, grazie all’abitudine di creare gli storyboard che gli ha permesso di assimilare un processo ideale per lo sviluppo dell’animazione.
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Article by Valentina Testa
Translation by Alessia Licari
The sky burns above Leon (Thomas Schubert), a hopeless author, as he is writing a book without first having thought of an actual story. Concern is evident on his face while he repeats to himself that others do not understand him, his clothes are always black and he often hides in the shadows, he lies in wait at the blind spot of a door window to peek at other people’s lives. He has a tattoo on his chest, barely visible and which can only be glimpsed behind the hem of his shirt: it looks like the perfect picture to represent someone who is almost afraid to be part of the real world.
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Il cielo brucia sopra la testa di Leon (Thomas Schubert), autore senza speranza che sta scrivendo un libro senza avere una storia. Il cruccio cresce sul suo volto mentre si ripete che sono gli altri che non lo capiscono, e intanto si nasconde nei suoi vestiti sempre neri, si eclissa spesso in zone d’ombra, si apposta nell’angolo cieco di una porta-finestra a sbriciare le vite degli altri. Ha un tatuaggio sul petto di cui si intuisce solo qualche punta dietro l’orlo della camicia: sembra l’immagine perfetta per riassumere una persona che ha quasi paura di fare capolino nel mondo reale.
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Article by Valentina Testa
Translation by Giorgia Legrottaglie
In Milan’s Labanof, the Laboratory of Forensic Anthropology and Odontology at the University of Milan, Professor Cristina Cattaneo takes care of bodies without identities, which she calls “pure strangers.” These same bodies give their name to Valentina Cicogna and Mattia Colombo’s documentary: Sconosciuti puri (“Pure strangers”), which is dedicated to the struggles of forensic anthropologist’s work.
“Sconosciuti puri” di Valentina Cicogna, Mattia Colombo
Nel Labanof di Milano, il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università degli Studi, la professoressa Cristina Cattaneo si prende cura dei cadaveri senza identità, che lei stessa chiama “sconosciuti puri”. Sono questi stessi cadaveri a dare il nome al documentario di Valentina Cicogna e Mattia Colombo, Sconosciuti puri dedicato alle battaglie lavorative dell’antropologa forense.
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Article by Antonio Congias
Translation by Eleonora Torrisi
The colossal shadow of wind turbines looms intermittently over Maria Lukyanova’s face, the protagonist of Grace, as if to recall the centrifugal rage by which she is invested.
She closes her eyelids and imagines an escape from the van in which she has lived for as long as she can remember and where her father (Gela Chitava), has placed his last hopes. A dwelling where father and daughter travel through Russia’s remote provinces, screening old films in villages where the internet has not yet taken over. For the protagonist, the escape from her father and consequently from their life as a nomad – or rather, as «travelers», as the man points out – materializes in the sea, which she can only dream about through the images of female swimmers in an old television set and in the plastic attractions of a water park inside a shopping mall.
“GRACE” DI ILYA POVOLOTSKY
L’ombra colossale delle pale eoliche incombe a intermittenza sul viso di Maria Lukyanova, protagonista di Grace, quasi a richiamare la rabbia centrifuga da cui è investita. Chiude le palpebre e immagina una via di fuga dal van in cui vive da quando ha memoria e dove il padre, Gela Chitava, ha riposto le sue ultime speranze. Una dimora con cui padre e figlia attraversano le province remote della Russia, proiettando vecchie pellicole nei villaggi in cui internet non ha ancora preso il sopravvento. L’evasione dal padre e di conseguenza dalla vita da nomade – o meglio, da «viaggiatori», come sottolinea il genitore – per la protagonista si materializza nel mare, che può solo sognare attraverso le immagini di nuotatrici in un vecchio televisore e le attrazioni plastiche di un parco acquatico all’interno di un centro commerciale.
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Article by Romeo Gjokaj
Translation by Sebastiano Liso
No man ever steps in the same river twice, for it’s not the same river and he’s not the same man. This idea, which can be traced back to the Heraclitean philosophy of Panta Rei, “everything flows,” well represents the meta-cinematic spirit of Retake, Japanese director Kôta Nakano’s debut. The film was presented at the Nuovimondi (“New Worlds”) section of the 41st Torino Film Festival.
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Nessun uomo entra due volte nello stesso fiume, perché non è lo stesso fiume e lui non è lo stesso uomo. Una simile idea, riconducibile alla filosofia eraclitea del panta rei, “tutto scorre”, ben rappresenta lo spirito meta-cinematografico di Retake, debutto assoluto per il regista giapponese Kôta Nakano e presentato alla sezione Nuovimondi della 41° edizione del Torino Film Festival.
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Article by Fabio Bertolotto
Translation by Fabio Castagno
In Kleber Mendonça Filho’ debut film, O Som ao Redor (“Neighbouring sounds”, 2012), there’s a scene in which two people visit an abandoned cinema and the sound recalls films that used to be shown there in the past. Through this dimension, images manifest themselves as spectres that want to communicate with the living, echoing in crumbling and forgotten places. The last work of the Brazilian director, Retratos fantasmas (“Pictures of ghosts”) – presented at the International Documentaries Competition of the 41 st edition of the Torino Film Festival – is based on the same concept of returning images.
“RETRATROS FANTASMAS” di Kleber Mendonça Filho
Nel film di esordio di Kleber Mendonça Filho, Il suono intorno (O Som ao Redor, 2012), c’è una scena in cui due giovani visitano un cinema abbandonato e il sonoro evoca i film che in passato venivano proiettati in quella sala. Attraverso la dimensione sonora, le immagini si manifestano come spettri, echeggiando in spazi fatiscenti e dimenticati, per comunicare con i vivi. L’ultima opera del regista brasiliano, Retratos fantasmas – presentato nel Concorso Documentari Internazionali alla 41ª edizione del Torino Film Festival – si basa su questa stessa idea di ritorno delle immagini.
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Article by Marco Di Pasquale
Translation by Carolina Criscuolo
It’s tough to picture what thousands of young people must have felt when, after years under the regime, they suddenly had the chance to cross their country’s borders and freely explore cities like London, Paris, Rome, Madrid, or Amsterdam. It’s not surprising that László Csáki wanted to create an animated documentary to leverage drawing possibilities and convey the feelings of an entire generation in Hungary during the 1990s, following the breakup of the People’s Republic and the Soviet Union.
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È difficile immaginare cosa possano aver provato migliaia di giovani che, dopo aver vissuto per anni sotto regime, un giorno, improvvisamente, hanno avuto la possibilità di varcare i confini del loro Paese e vedere liberamente Londra, Parigi, Roma, Madrid o Amsterdam. Non stupisce quindi che László Csáki abbia voluto fare un documentario in animazione per sfruttare le possibilità del disegno e trasmettere le sensazioni e le emozioni che un’intera generazione ha vissuto in Ungheria negli anni Novanta a seguito del disfacimento della Repubblica Popolare e dell’Unione Sovietica.
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Article by Sara Longo
Translation by Lara Martelozzo
“What happens to a country when an entire page of its history is erased?” This is the starting point of Felipe Gálvez’s debut feature film Los colonos (“The settlers”). A raw and refined film that, through the journey of three men charged by landowner Jose Menéndez to find a
“safe” – meaning “cleansed” of Indians – route to the shores of the Atlantic, brings attention to the genocide of the indigenous Selk’nam people perpetrated at the beginning of the 20th century for long obscured by Chile’s official history.