2017. C. Richard “Dick” Johnson, stimato psichiatra, è costretto ad abbandonare la propria attività a causa dei primi sintomi dell’Alzheimer e a trasferirsi dalla sua casa di Seattle nell’appartamento newyorchese di sua figlia, Kirsten Johnson, celebrata documentarista dalla carriera ormai trentennale. La convivenza significa confrontarsi con le inevitabili conseguenze della malattia, e il padre decide di assecondare la figlia in un progetto solo in apparenza macabro: utilizzare le risorse del cinema per inscenare la propria dipartita, non una, ma molte volte, nelle modalità più variegate, in modo da rendere quel momento più sopportabile quando si presenterà.
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“UN CUERPO ESTALLÓ EN MIL PEDAZOS”, BY MARTIN SAPPIA
Article by Niccolò Buttigliero
Translated by Nadia Tordera
«Every noble, grandiose and impeccable instant is formed, filled, crumbled and recreated in a new instant that is created, formed, consumed, crumbled and redone in a new instant that is created, formed, filled, bent and connected to the next that announces itself, that is created, formed, filled and exhausted in the next that is born, that arises and succumbs and into the next that comes it arises, restores, matures and joins itself to the next that is formed… This continues without ending and stopping, without fatigue and accidents, with an immeasurable and monumental perfection» -Henri Michaux
«I wanted to do a show with a language I invented to bring people together for just one night. […] They insisted that I do it again but I didn’t want to». The theater of Jorge Bonino (1935-1990) is pure to the extent that every one of his works, words or actions is presence, an act inextricably linked to the moment in which it is expressed.
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«Nobile, grandioso, impeccabile, ogni istante si forma, si colma, si sgretola, si riforma in un nuovo istante che si crea, che si forma, che si consuma, che si sgretola e si riforma in un nuovo istante che si crea, che si forma, che si colma e si piega e si collega al seguente che si annuncia, che si crea, che si forma, che si colma e si esaurisce nel seguente che nasce, che sorge, che soccombe e nel seguente che viene, che sorge, si ripristina, matura e si unisce al seguente che si forma…E così senza fine, senza fermarsi, senza stanchezza, senza incidenti, con una perfezione smisurata e monumentale.» -Henri Michaux
«Volevo fare uno spettacolo con un linguaggio inventato da me, per riunire gente solo per una sera. […] Insistevano perché la rifacessi, ma io non volevo». Quello di Jorge Bonino (1935-1990) è teatro puro, nella misura in cui ogni sua opera, parola o azione è presenza, atto indissolubilmente legato all’istante in cui si esprime.
Continua la lettura di “UN CUERPO ESTALLÓ EN MIL PEDAZOS”, DI MARTIN SAPPIA“MAPPING LESSONS” BY PHILIP RIZK
Article by Arianna Vietina
Translated by Sofia Barbera
A line, a cut, a shot. These are the means used by director Philip Rizk for his ambitious project to tell the long and complex history of colonialism and its consequences that keep tormenting the most fragile territories, which now lack sustenance and are left in chaos. A fate they share with America which was conquered by cowboys, and Syria nowadays.
“MAPPING LESSONS” DI PHILIP RIZK
Una linea, un taglio, un’inquadratura. Questi sono gli strumenti usati dal regista Philip Rizk per tracciare il suo ambizioso percorso di ricostruzione della lunga e complessa storia del colonialismo e delle sue conseguenze che continuano a tormentare i territori più fragili, rimasti privi di sostentamento e in balia del caos. Una sorte condivisa dall’America conquistata dai cowboy fino alla Siria dei giorni nostri.
“AL LARGO” BY ANNA MARZIANO
Article by Francesco Dubini
Translated by Giulia Neirone
“A disorienting and extraordinary experience” that’s how Anna Marziano defines Al largo, her metamorphic and complex film, which combines philosophic research and cinematographic knowledge. The documentary wants to analyze the pain related to an illness, in a timeless context which connects the director’s personal experience and Nietzsche and Winnicott’s works.
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“Un’esperienza straniante e fantasmagorica”: così Anna Marziano definisce il suo Al largo, film metamorfico e complesso, che unisce ricerca filosofica e sapienza cinematografica. Il documentario si propone di frequentare il dolore legato alla malattia, in un terreno d’indagine atemporale che mette in dialogo l’esperienza personale dell’autrice con la lettura di Nietzsche e Winnicott.
Continua la lettura di “AL LARGO” DI ANNA MARZIANO“MÃES DO DERICK” (MOTHERS OF DERICK) BY DÊ KELM
Article by Valentina Velardi
Translated by Francesca Cozzitorto
Presented in the International section of the festival, the film is about the life of a non-monogamous and unconventional family made up of a nine-year-old boy, Derick, Tammy’s biological son, and his other three mothers who raised him: Bruna, Shiva and Ana.
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Presentato nella sezione Internazionale.doc, il film mostra la vita di una famiglia non monogama e anticonvenzionale composta da un bambino di nove anni, Derick, figlio biologico di Tammy, e dalle altre tre madri che lo crescono: Bruna, Shiva e Ana.
Continua la lettura di “MÃES DO DERICK” (MOTHERS OF DERICK) DI DÊ KELMU SLAVU LJUBAVI (IN PRAISE OF LOVE), BY TAMARA DRAKULIĆ
Article by Niccolò Buttigliero
Translated by Giulia Neirone
Black screen, wind. Then, human voices together with neighs. In a dusty and austere racecourse, a horse race is interrupted at its acme, through a freeze-frame. Who is the winner, is not for us to know.
At this moment U slavu ljubavi (In Praise of Love) re-starts for the first time. Black screen again, nature sounds again: everything is covered by chirps and bellows. Now, humanity is not even considered on the sound level. From untouched nature to animals. Long static shots, mesmerized by horse bottoms. It seems that Drakulić’s point of view is not special, it is just one of the many possible perspectives. The world flows spontaneously, through every breath. Doesn’t matter if anthropomorphic subjects leave the screen. It is not about décadrages, or the subversion of some rules. It is rather about not identifying ourselves with a hierarchical organization of the audiovisual material. Everything is on the same level, and Drakulić succeeds in giving back the undecidability of one single point of view..
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Schermo nero, vento. Poi, un vociare umano, commisto a nitriti. In un polveroso e spartano ippodromo, una corsa di cavalli viene interrotta al suo acme, con un ricorso ad un freeze-frame. A chi spetti la vittoria, non è dato saperlo.
Ecco che U slavu ljubavi (In Praise of Love) ri-comincia per la prima volta. Di nuovo nero, di nuovo rumori ambientali: a sovrastare ogni cosa sono cinguettii e muggiti. La presenza umana, stavolta, non è contemplata nemmeno sul piano sonoro. Dalla natura, incontaminata, si passa ai corpi animali. Lunghe inquadrature statiche, ipnotizzate da deretani equini. Lo sguardo di Drakulić non sembra porsi come un punto di stazione privilegiato rispetto ad altri, ma come uno dei tanti possibili. Il mondo viene lasciato fluire nella sua spontaneità, in ogni suo respiro. Non importa se i soggetti antropomorfici abbandonano il campo. Non è questione di décadrages, o di sovvertire una qualche regola grammaticale. Si tratta piuttosto di non riconoscersi in un’organizzazione gerarchica del materiale audiovisivo. Tutto è ugualmente meritevole di attenzione, e Drakulić è capace di restituirci l’indecidibilità di un punto di vista.
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«Ci abbiamo provato».
Tre semplici parole, una sorta di testamento. Una dichiarazione in apparenza sconfortata, che si rivela monito per il futuro, racchiudendo forse il senso stesso del documentario Herzog incontra Gorbaciov, diretto da Werner Herzog e André Singer nel 2018 e distribuito in Italia per pochi giorni questo gennaio.
“FUORI TUTTO” DI GIANLUCA MATARRESE
Torino, fine anni ’60. Le rovine della guerra sono solo un ricordo, il Belpaese è trainato dalla crescita industriale e parole come boom o miracolo economico guidano e plasmano l’immaginario nazionale. Qui due meridionali si conoscono, si innamorano, mettono su famiglia. Lei viene dalla Calabria, lui invece è pugliese, di Canosa. Cominciano come operai, poi decidono di mettersi in proprio e riescono ad aprire un negozio di calzature. Sono gli anni dei consumi di massa, i salari crescono e tutti possono permettersi un paio di scarpe nuove. È così che nasce Togo, il piccolo impero della famiglia Matarrese, una delle più grandi e redditizie cooperative piemontesi di vendita al dettaglio.
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Dopo Frastuono, presentato al TFF nel 2014, Davide Maldi realizza il secondo capitolo di una trilogia sull’adolescenza. Il film, presentato nella sezione TFFDOC/italiana, parte da un presupposto ben preciso: ricercare un contesto in cui dei ragazzi siano portati sin dalla giovane età a imparare un mestiere e, di conseguenza, ad accelerare il proprio percorso di crescita. Da qui deriva la decisione di segire il primo anno scolastico di una classe di cinque studenti di un istituto alberghiero.
“L’APPRENDISTATO” BY DAVIDE MALDI
Article by: Valentina Velardi
Translated by: Alice De Vicariis
After Frastuono, presented at the TFF in 2014, Davide Maldi makes the second chapter of a trilogy on adolescence. The film, presented in the section TFFDOC/italiana, starts from a clear premise: the search for a context where teens are encouraged to learn a profession at an early age, and so grow up faster. For this reason, Maldi decided to follow the first school year of an hospitality institute class composed of five students.
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Napoli è ormai città cinematograficamente mitologica. La genesi del mito la si deve, è chiaro, a Gomorra. Pietra miliare della metamorfosi napoletana, della sua trasformazione da città mediterranea, farsesca e fiera, a metropoli in mano alla camorra e al degrado, Gomorra sembra aver ridisegnato connotati e simbologia del capoluogo campano: e là dove c’eran Totò e Peppino a far ridere sotto al sole, oggi ci sono ragazzini con la pistola tra le mani. Così, dopo qualche anno in sordina, forse passato a riflettere sugli effetti nocivi di questa trasfigurazione immaginifica (si pensi all’apologia del sindaco De Magistris: “Napoli non è Gomorra. È la città della cultura”), nell’ultimo lustro diversi registi si son fatti coraggio e hanno ripreso il discorso iniziato da Garrone (via Roberto Saviano) e proseguito sulle cronache: per ultimi, oltre all’omonima trasposizione televisiva del capolavoro garroniano, La paranza dei bambini di Giovannesi e questo Selfie firmato Agostino Ferrente.
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Non bisogna farsi trarre in inganno dal titolo del documentario di Maxim Pozdorovkin The Truth About Killer Robots: non ci troviamo davanti a un lavoro di science fiction in cui le macchine si ribellano e uccidono gli umani, e quella a cui assistiamo è un’invasione graduale e più subdola. Il regista utilizza il pretesto dell’indagine sulla morte delle prime vittime di intelligenze artificiali per mostrarci come la tecnologia stia evolvendo, trasformando totalmente il nostro modo di fruire di determinati beni e servizi.
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Tra i grandi paradossi che segnano il continente africano vi è quello dell’inaccessibilità ai servizi basilari nonostante la grande disponibilità di risorse prime. È questo il caso della Nigeria che, nonostante possieda la più grande riserva di gas naturale in Africa e sia il maggior produttore di energia elettrica, può garantire accesso alla linea elettrica a meno del 50% della sua popolazione, e anche questo 50% ne può disporre per limitate fasce orarie, spesso interrotte da improvvisi blackout e malfunzionamenti.
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Una ricerca di dottorato che si trasforma in un viaggio e diventa un film. Un percorso durato più di tre anni e che ha attraversato tutta l’Italia allo scopo di provare a fare una mappatura di quello che potrebbe essere definito, oggi in Italia, il sistema dei generi. Normal di Adele Tulli è un susseguirsi di immagini che tentano di restituire quelle che sono le convenzioni sociali legate ai concetti di mascolinità, femminilità e sessualità di un paese che si racconta attraverso gesti, parole e rituali che sembrano ancora troppo “limitanti”.
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Gli antichi greci vedevano i loro migliori atleti come degli eroi, elogiavano ed elevavano quegli uomini rispetto alla massa, e gli artisti li cantavano in ogni modo: dall’esaltazione della perfezione dei corpi, rappresentata nelle statue, all’elogio delle loro gesta sportive nei componimenti, come quelli delle Olimpiche di Pindaro. Questa esaltazione cresceva con la consacrazione dell’atleta nella vittoria in una delle discipline sportive praticate proprio nelle Olimpiadi, manifestazione giunta fino a noi e alla quale, tutt’oggi, il mondo intero conferisce enorme importanza.
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