A group of Cambodian women describes the joys and struggles of being mothers. Three Italian women talk about the difficulties they faced in having children and the path they chose to follow in order to build a family. Lia, a girl from Rome, recounts her daily challenges, both big and small, and reflects on what it means to be a daughter. All these stories, ordinary and extraordinary at the same time, have something in common: surrogacy.
Un gruppo di donne cambogiane descrive gioie e problemi dell’essere madri. Tre donne italiane raccontano delle difficoltà ad avere figli e della strada che hanno deciso di intraprendere per costruirsi una famiglia. Lia, una ragazza romana, espone sfide quotidiane, piccole e grandi, e riflette su che cosa significhi essere figlia. Tutte queste storie, contemporaneamente ordinarie e straordinarie, hanno in comune una cosa: la gestazione per altri (GPA).
The death of a brother, son, or friend is one of the worst tragedies a human being can experience. But how much time is left for individual mourning when an entire country is falling apart under the siege of settlers?
La morte di un fratello, di un figlio o di un amico è una tra le peggiori tragedie esperibili dall’essere umano. Ma quanto tempo rimane per il lutto individuale quando un intero Paese sta cadendo a pezzi sotto l’assedio dei coloni?
«I am not in danger, I am the danger». Walter White’s legendary line from Breaking Bad could easily serve as the plot twist in Untitled Home Invasion Romance, the directorial debut of Jason Biggs. The actor of American Pie (Paul Weitz, 1999) trades teen comedy for dark comedy and shows an unexpectedly sharp command of timing, both before and behind the camera. He does not reinvent the genre, but he navigates it with a confidence many veteran filmmakers lack.
«I am not in danger, I am the danger». La celebre frase pronunciata da Walter White in Breaking Bad potrebbe essere il plot twist di Untitled Home Invasion Romance, esordio alla regia di Jason Biggs. L’attore di American Pie (Paul Weitz, 1999) abbandona la teen comedy per la dark comedy, mostrando un controllo sorprendente dei tempi comici, sia davanti sia dietro la macchina da presa. Non reinventa il genere, ma lo gestisce con una sicurezza che molti registi più navigati non possiedono.
«How great is it to be white?». It is Joan Huang the one who has to answer this question in Slanted, presented at the 43rd TFF. Once she moved with her parents to the south of the USA, Joan began to be bullied for her Chinese origins until she became a teenager and decided to undergo plastic surgery to obtain the appearance of a young Caucasian girl.
«Quanto è bello essere bianchi?». È Joan Huang a dover rispondere a questa domanda in Slanted – presentato in concorso al 43° TFF. Trasferitasi con la famiglia nel sud degli Stati Uniti, Joan è vittima di bullismo per via delle sue origini cinesi fino a quando, da adolescente, decide di sottoporsi a un intervento di chirurgia plastica per ottenere le sembianze di una giovane ragazza caucasica.
With Mo Papa, her second fiction feature film after Mo Mamma (2023), Estonian director Eeva Mägi returns to explore the most fragile part of human relationships, this time choosing the bond between father and son. The film speaks with intensity and clarity: the story of a man who longs for an ordinary life and strives to act rightly, yet remains trapped by his past and unresolved traumas. Haunted by a city that condemned him and a stolen childhood, he is slowly driven toward self-destruction.
Con Mo Papa, suo secondo lungometraggio di finzione dopo Mo Mamma (2023), la regista estone Eeva Mägi torna a esplorare la zona più fragile delle relazioni umane, scegliendo questa volta il legame tra padre e figlio. Il film si esprime con forza e chiarezza: la storia di un uomo che, pur desiderando una vita ordinaria e sforzandosi di agire rettamente, non riesce a liberarsi dal proprio passato e dai traumi irrisolti. La città che lo ha giudicato e un’infanzia che gli è stata sottratta lo spingono lentamente verso la distruzione.
Presented to the 43rd Torino Film Festival’s documentaries competition, About a Hero ponders over the concept of representation itself during the era of generative technologies. A true-crime style mockumentary – guided by a fake AI generated Werner Herzog – intertwines the figure of the great German director with a sequence of real interviews: artists, scientists and philosophers who discuss the increasingly uncertain boundary between man and machine.
Presentato nel concorso documentari del 43° Torino Film Festival, About a Hero si interroga sul concetto di rappresentazione nel tempo delle tecnologie generative. Un mockumentary in stile true-crime – guidato da un finto Werner Herzog generato dall’intelligenza artificiale – che intreccia la figura del grande regista tedesco con una serie di interviste reali di artisti, scienziati e filosofi che discutono del confine, sempre più incerto, tra uomo e macchina.
Dal buio della sala, allo sguardo è concesso di contemplare le sponde di un piccolo fiume immerso nel verde, ma quello che sembra un limpido corso d’acqua è in realtà un ammasso di fanghiglia e cadaveri dilaniati, resti di una battaglia appena conclusa. Con Kubi, Kitano Takeshi torna alla regia con un dramma storico ambientato nel Giappone feudale, esattamente vent’anni dopo il grande successo di Zatōichi (2003), dedicato all’epopea del samurai cieco.
La 41ª edizione del Tff termina con la proiezione di Christine – La macchina infernale, horror del 1983 con cui Steve Della Casa decide di concludere i suoi due anni di direzione del festival. La scelta non è casuale: il film di John Carpenter fece parte, più di vent’anni fa, di una delle retrospettive dedicate ai cineasti americani poco compresi e un po’ snobbati dalla critica, come George Romero e John Milius. A quarant’anni dall’uscita nelle sale, Della Casa propone una lettura diversa di uno degli horror più riusciti e sottovalutati di Carpenter, tratto da uno dei romanzi più belli e trascurati di Stephen King. Un’opera rimasta in disparte, all’ombra dei film più noti del regista, come La cosa (The Thing, 1982) o Halloween (1978).
Il mondo tra cento anni. Nella Budapest del 2123 le persone sono costrette a donare il proprio corpo per il bene comune. La crisi ambientale ha infatti devastato il pianeta, ormai ridotto a una distesa arida su cui non cresce più nulla. Per questo motivo viene progettato un seme che, una volta impiantato, può trasformare l’essere umano in albero. Per la sopravvivenza dell’umanità, chiunque compia cinquant’anni deve subire questo processo.
È la storia di una Maria diversa quella raccontata da Paolo Zucca nel suo ultimo film presentato fuori concorso alla 41° edizione del Torino Film Festival, Vangelo secondo Maria, tratto dall’omonimo romanzo di Barbara Alberti.
Campi sterminati, cieli lividi, vento che soffia impietoso: questo il paesaggio di Runner di Marian Mathias, crudo dramma sociale che racconta la scoperta dell’amore nell’immutabilità del Midwest americano. La storia di Haas, una sorta di Dorothy contemporanea che, come la protagonista de Il mago di Oz, viene colpita da un “ciclone” che la mette in viaggio: la scomparsa del padre e il pignoramento della casa. Partita alla volta dell’Illinois per soddisfare le ultime volontà del defunto, torna con la consapevolezza di poter scegliere del proprio destino.
Il magazine delle studentesse e degli studenti del Dams/Cam di Torino
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