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“PACIFICTION” BY ALBERT SERRA

Article by: Irma Benedetto

Translated by: Alice Bettinelli

When approaching the work of Albert Serra, we cannot help but notice the great contradiction at the heart of his cinema: that between the setting of his images, which nestle in the past of the European history (from the 1980s of his debut film to the 1700s French – his favourite historical period – of La mort de Louis XIV and Liberté) and the sense of atrophy, of an absolute and out-of-time present that apocalyptically pervades his characters, always waiting for a climax that will never come, or that perhaps has already arrived.

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A spasmodic wait for the end that becomes nuclear paranoia for a Benoît Magimel called to play the ambiguous protagonist of Pacifiction, a diplomatic commissioner who has arrived in the former French colony of Tahiti to try to investigate unsettling rumours of an imminent resumption of dangerous atomic tests. Serra works on the extreme stylisation and opacity of the characters and on the exhibited artificiality of lights – as was already the case in the unforgettable finale of Liberté – to create a highly suggestive visual texture, a floating and uncertain space in which it is possible to perceive the abstraction of power in all its ruthless and pervasive senselessness. It is between half-voices and hints that the protagonist De Roller – designated intermediary between the politicians and the population – probes the island moving as if in a limbo – a somnambulist wandering in what seems to be an only-apparent state of life. The viewer is restrained in the hypnotic movement of the film, which concedes few clues and casts wide, unresolved grey areas, constantly moving to an unknowable off-screen that weights like an omen.

To duplicate and amplify the feeling of threat that travels under the skin, there is the eerie presence of the ocean, which with its surface engulfs and conceals. De Roller is driven by a desire for clarity that will never become tangible reality. In the most important dialogue-monologue of the film, the protagonist talks about a world that has lost the conception of time and memory, of a humanity that must have as its primary need that to illuminate, to see the withered skins of power that have already been embodied by the exposed and dying body of Jean-Pierre Léaud in La mort de Louis XIV. With Pacifiction, Serra continues his work on the perception of the present and the invisible decomposition of a frozen and motionless time, aiming his gaze for the first time at contemporaneity.

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“PACIFICTION” DI ALBERT SERRA

Quando ci si accosta all’opera di Albert Serra non si può fare a meno di notare la grande contraddizione che sta alla base del suo cinema: quella fra l’ambientazione delle sue immagini, che si annidano nel passato della storia europea (dagli anni ’80 del film d’esordio al 1700 francese – periodo storico da lui prediletto – di La mort de Louis XIV e di Liberté) e il senso di atrofizzazione, di presente assoluto e fuori dal tempo che pervade in maniera apocalittica i suoi personaggi, sempre in attesa di un climax che non arriverà mai, o che forse è già arrivato.

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Un’attesa spasmodica della fine che diventa paranoia nucleare per un Benoît Magimel chiamato a interpretare l’ambiguo protagonista di Pacifiction, un commissario diplomatico arrivato nell’ex colonia francese di Tahiti per cercare di indagare su inquietanti voci che vogliono un’imminente ripresa di pericolosi test atomici. Serra lavora sull’estrema stilizzazione e opacità dei personaggi e sull’artificialità esibita delle luci (come già avveniva nell’indimenticabile finale di Liberté) per creare una tramatura visiva di grande suggestione, uno spazio flottante e incerto in cui si riesce a percepire l’astrazione del potere in tutta la sua spietata e pervasiva insensatezza. È fra mezze voci e accenni che il protagonista De Roller, tramite designato fra i politici e la popolazione, sonda l’isola muovendosi come in un limbo: un sonnambulo che vaga in quello che sembra uno stato di vita solo apparente. Lo spettatore viene imbrigliato nel movimento ipnotico del film, che concede pochi indizi e lancia ampie zone d’ombra irrisolte, rimandando costantemente ad un fuori campo inconoscibile che grava come un presagio.

A duplicare ed amplificare la sensazione di minaccia che viaggia sottopelle è la presenza inquietante dell’oceano, che con la sua superficie inghiotte e nasconde alla vista. De Roller è guidato da una volontà di chiarezza che non si concretizzerà mai: nel dialogo-monologo più importante del film il protagonista parla di un mondo che ha perso la concezione del tempo e della memoria, di un’umanità che deve avere come necessità primaria quella di illuminare, di vedere le pelli avvizzite del potere che sono già state incarnate dal corpo esposto e morente di Jean-Pierre Léaud in La mort de Louis XIV. Serra continua con Pacifiction il suo lavoro sulla percezione del presente e sulla decomposizione invisibile di un tempo raggelato e immobile, puntando il suo sguardo per la prima volta sulla contemporaneità.

Irma Benedetto

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“LIBERTÉ” DI ALBERT SERRA

L’ultima opera di Albert Serra non è un film. Liberté è un esercizio compiuto di negazione e al contempo affermazione prepotente del cinema in quanto tale.

A determinare questa considerazione è la genesi stessa dell’opera: prima di essere un film, Liberté è stato una pièce teatrale dello stesso Serra. Innumerevoli messe in scena hanno subito questo processo; per troppe poche, la scelta è stata dettata dalla precisa volontà di sfruttare appieno le possibilità della rappresentazione tramite il nuovo mezzo. Liberté è un’indagine sulla finzione, è una teorizzazione sulle specificità del cinema: il montaggio, il fuori campo e – scontato ma spesso bistrattato – lo zoom. L’opera si inserisce dunque nella scia di un dibattito teorico che procede da oltre un secolo, dividendo gli intellettuali tra i sostenitori del cinema come arte completa e coloro che lo considerano mutilato, inferiore alle arti sue sorelle maggiori.

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